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L’affaire Dreyfus

La mattina del 13 gennaio 1898 il quotidiano francese di orientamento socialista L’Aurore uscì con un editoriale a tutta pagina a firma di uno dei più grandi scrittori dell’epoca, Émile Édouard Charles Antoine Zola.

J’Accuse! Io accuso. Si trattava di una durissima requisitoria indirizzata sotto forma di lettera aperta al presidente della repubblica francese Félix Faure con la quale lo scrittore di Germinal denunciava le gravi irregolarità e in ultima analisi il complotto che aveva portato all’errore giudiziario più celebre del tempo e forse di tutti i tempi.

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Alfred Dreyfus

Nel 1894, un capitano dell’esercito francese di origini ebraiche, Alfred Dreyfus, era stato accusato di aver fornito informazioni segrete al nemico per antonomasia della sua patria, l’Impero prussiano. In poco tempo, Dreyfus era stato imprigionato, giudicato e condannato da un tribunale militare che agiva sotto la supervisione del ministro della guerra, del capo di stato maggiore ed in ultima analisi di tutte le principali istituzioni francesi.

Alla fine del XIX° secolo, la Francia che si apprestava a celebrare l’Esposizione Universale di Parigi del 1900 con l’intento di recuperare lo scettro di nazione guida della civiltà e del progresso era in realtà un paese che soffriva di complessi insuperabili, che lottava con se stessa e con il mondo per recuperare una sua identità (dove identità si traduceva con grandeur) ed in cui agivano forze profonde oscure ed oscurantiste.

La sconfitta di Napoleone III a Sedan nel 1870 aveva posto fine al mito creato da Napoleone I dell’invincibilità sostanziale delle armi francesi. La Germania si era eretta sul fianco orientale come un colosso al quale, malgrado facesse finta di nulla e si adoperasse concretamente per tessere alleanze che circondassero il nemico così come una volta era stata circondata lei, la Francia stava inconsciamente cedendo la supremazia europea.

La Comune di Parigi nel 1871 aveva inoltre istillato nella borghesia francese la paura dello spettro rosso che come avevano efficacemente descritto Marx ed Engels nel loro Manifesto si stava aggirando per l’Europa. La borghesia che una volta era salita sulle barricate per abbattere l’Ancien Regime adesso commissionava al barone Haussmann l’edificazione dei boulevards affinché a Parigi nessuno potesse più erigere barricate.

Emile Zola

Emile Zola

L’Europa che assisteva all’ascesa prussiana ed alla spasmodica attività francese per superare lo shock del 1870 era inoltre un continente attraversato dalle correnti impetuose e non più sotterranee dell’antisemitismo. Cominciava a diffondersi la leggenda nera dei Protocolli di Sion, del complotto giudaico per la distruzione del mondo cristiano, del sabotaggio degli ebrei dello sforzo militare francese, così come quarant’anni più tardi sarebbero stati accusati dai nazisti di aver compromesso lo sforzo militare del Kaiser germanico. Un odio bimillenario affiorava di nuovo come magma apparentemente inarrestabile.

Quando i servizi di spionaggio si resero conto che documenti militari riservati erano passati alla controparte tedesca, l’onore francese – prima ancora che la sicurezza nazionale – pretese un capro espiatorio ed Alfred Dreyfus sembrava fatto apposta per far quadrare tutti i cerchi. In realtà le ricostruzioni storiche successive avrebbero accertato con ragionevole certezza che la fuga di notizie era da imputarsi ad un losco individuo, tale capitano Ferdinand Esterhàzy, che da tempo faceva il doppio gioco tra lo stato maggiore del suo paese e quello nemico e che era stato corrotto da quest’ultimo a causa dei forti debiti di gioco.

Dreyfus fu condannato durante un processo a porte chiuse. Come Mata Hari vent’anni più tardi, si dichiarò innocente, ma nessuno stette a sentirlo. Il 5 gennaio 1895 nel cortile dell’Ecole Militaire al Champ de Mars di Parigi gli furono strappati i gradi e spezzata la sciabola da ufficiale. Dopodiché venne avviato a quella che il tribunale militare aveva stabilito come sua ultima destinazione in questa vita: l’Isola del Diavolo.

Steve McQueen e Dustin Hoffman nel film Papillon del 1973

Steve McQueen e Dustin Hoffman nel film Papillon del 1973

La Guyana era il luogo in cui la Francia si liberava senza pietà dei suoi figli indesiderati, come avrebbe raccontato molti anni più tardi un altro suo ospite, Henrì Charriere in arte Papillon. Se la farfalla dopo molti tentativi era riuscita a fuggire, poco prima che la madrepatria decidesse la chiusura della colonia penale, l’esile capitano ebreo non aveva altra speranza di sopravvivere al luogo inospitale, alle condizioni di prigionia durissime ed all’ignominia che l’aveva privato ingiustamente della sua vita e della sua posizione sociale se non grazie ad una mobilitazione dell’opinione pubblica.

Furono uomini coraggiosi come Georges Picquart, capo del servizio informazioni dello Stato Maggiore francese, ed Émile Zola appunto che mettendosi contro tutto l’establishment politico-militare e la buona società transalpina a quel tempo fortemente clericale ed antiebraica, portarono alla riapertura delle indagini.

Jaccuse180113-001Sull’Aurore del 13 gennaio 1898 si leggeva, tra l’altro: «Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffamazione. Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alla gente che accuso, non li conosco, non li ho mai visti, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale. E l’atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l’indagine abbia luogo al più presto. Io aspetto».

Zola aveva elencato tutti i nomi delle figure pubbliche implicate nel complotto che aveva scaricato la responsabilità dello scandaloso affaire sulle spalle del povero Dreyfus. Le quali non tardarono a reagire, come egli si era atteso. Rinviato a giudizio per vilipendio alle forze armate ed altri reati, Zola si salvò soltanto grazie alla solidarietà dei suoi compagni di partito e di vari intellettuali come André Gide ed Anatole France, che gli pagarono tra l’altro le spese processuali. Condannato ad un anno di prigione, Zola fu costretto a fuggire in Inghilterra.

Negli stessi giorni Picquart veniva degradato ed alla fine costretto al congedo. Ma ormai la macchina che avrebbe spalato via il fango si era messa in moto, l’opinione pubblica non poteva più ignorare i fatti, o l’assenza di essi.

Nel 1902 Émile Zola morì misteriosamente a causa delle esalazioni di monossido di carbonio provocate dalla stufa del suo appartamento. Vent’anni dopo alcuni individui avrebbero dichiarato di essere stati assoldati per provocare l’incidente. I resti del coraggioso scrittore riposano oggi nel Pantheon di Parigi tra i grandi di Francia, come Alexandre Dumas e Victor Hugo.

Georges Picquart

Georges Picquart

La riabilitazione di Dreyfus, che Zola non aveva potuto vedere, dovette attendere fino al 1906. Il 12 luglio di quell’anno la Corte di Cassazione annullò definitivamente il suo processo, dichiarando infondate le accuse. Come conseguenza, l’ufficiale venne reintegrato nell’esercito, dove però poté rimanere soltanto un anno a causa delle condizioni di salute rese precarie dal lungo soggiorno all’Isola del Diavolo. Georges Picquart venne eletto in quei giorni alla Camera dei Deputati, ed a seguito della positiva soluzione del caso a cui tanto aveva contribuito, reintegrato anch’egli nelle forze armate. Sarebbe arrivato a ricoprire la carica di ministro della guerra, prima di morire per una caduta fortuita da cavallo.

Né Esterhàzy né chi lo aveva coperto furono mai processati e tantomeno perseguiti in alcun modo. La Francia andò incontro al nuovo secolo ed alle catastrofi che esso avrebbe presto riservato a lei ed al mondo intero combattuta tra il clima di ritrovata speranza nel progresso e nel liberalismo di cui una volta era stata il principale alfiere, e quello che ancora veniva reso torbido da rigurgiti di sciovinismo, antisemitismo e clericalismo.

A Dreyfus fu sparato da un giornalista di destra mentre assisteva nel 1908 alla traslazione delle spoglie mortali di Émile Zola al Pantheon. La ferita al braccio fu leggera, e tutto sommato scosse più l’opinione pubblica della vittima. La Francia stentava a far pace con se stessa. E quando Alfred Dreyfus morì il 12 luglio 1935 (esattamente 29 anni dopo la sentenza che l’aveva riabilitato) nuovi orrori si preparavano ad avventarsi contro il suo paese e contro i suoi correligionari.

Sulla tomba di Alfred Dreyfus nel cimitero parigino di Montparnasse si legge, in francese ed in ebraico: Qui giace il tenente colonnello Alfred Dreyfus, ufficiale della Legion d’onore. La Legion d’onore se l’era guadagnata a Verdun, nella battaglia forse più sanguinosa di quel carnaio che era stata la Prima Guerra Mondiale.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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