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L’alba della nuova Europa

Se non è l’alba di una nuova Europa, di sicuro la lunga notte che ha caratterizzato la vecchia volge al termine. Siamo in quella fase delle ore piccole in cui il buio fitto comincia a farsi meno intenso stemperandosi in una tonalità vagamente lattiginosa, baluginante, che comincia a lasciare intravedere i contorni delle cose che ci circondano e che caratterizzeranno il nostro approccio con il nuovo giorno.

Di sicuro, all’alba del 27 maggio 2019 la Lega si sveglia come primo partito italiano, votata come tale dalla maggioranza relativa del 34,3% degli esercenti il diritto di voto (in flessione dell’1% rispetto al 2014, leggerissima controtendenza rispetto ad una media europea che ha visto gli elettori continentali recarsi alle urne in numero più consistente rispetto al passato).

Nei giorni antecedenti il voto, un noto settimanale politico italiano aveva titolato Un uomo solo nel mirino, riferendosi al segretario – ministro Matteo Salvini e alludendo sia – letteralmente – alla violenza effettiva o minacciata di cui è stato fatto oggetto, sia – politicamente – al fatto che la tornata elettorale europea si è trasformata alla fine in un referendum pro o contro l’uomo nuovo della Lega, della politica italiana, della politica e del destino europei.

Come nel 2014, c’é ancora un Matteo a sovrastare tutto e tutti. Non è più Renzi, che pochi mesi dopo aveva già sperperato il capitale accordatogli da elettori che speravano riformasse in senso progressista istituzioni e politiche italiane, nel frattempo intercedendo presso i partners comunitari egemoni (Merkel, Hollande) con cui sembrava avere ottimi rapporti affinché allentassero il rigore verso l’Italia.

No, adesso il Matteo che domina e va di moda è Salvini, a cui gli elettori – disillusi da cinque anni di cattiva ed iniqua politica comunitaria accompagnati ad una situazione interna resa sempre più critica dalla crisi economica complicata da quella dei migranti – hanno dato mandato per cambiare tutto, o almeno il più possibile.

L’uomo che da oggi esce dal mirino di bene o male intenzionati ha da tempo posizionato l’Italia che governa da un anno nel campo di coloro che vogliono cambiare l’Unione Europea. I sovranisti, o nazionalisti, o euroscettici, sono in aumento in tutto il continente. Non avranno sfondato, come gongola quel quotidiano nazionale che stamattina titola Ombre nere e che riprende e fa da grancassa alle esternazioni di uno Zingaretti che parla di «vittoria perché abbiamo tenuto», in perfetto stile vetero-DC, e che nel farlo finisce ad assomigliare all’agente Catarella piuttosto che al fratello commissario Montalbano. Non avranno sfondato, dicevamo, ma si sono avvicinati di molto al portone della Bastiglia.

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Il Parlamento di Strasburgo

Gli euro-entusiasti – sia perché dallo status quo che hanno contribuito a creare beneficiano tutt’ora e intenderebbero continuare a farlo, sia perché interessati a rappresentare il mondo come vogliono gli editori di riferimento piuttosto che come si è delineato stamattina ad urne ormai scrutinate -, parlano di possibile maggioranza tra Popolari e Socialisti Democratici, sottostimando tuttavia la sostanziale novità di quest’ultima tornata elettorale. Per la prima volta da quando si vota per eleggere il Parlamento Europeo, cioé dal 1979, queste due forze non hanno più la maggioranza assoluta. Non bastano più a se stesse, e all’egemonia franco-tedesca che avevano assicurato. Adesso necessita loro una alleanza con i Liberali, che presenteranno ovviamente il conto. Ancor più lo faranno i redivivi Verdi, se e qualora si rendesse necessario cooptarli.

La maggioranza alternativa di Popolari e Sovranisti non ha i numeri (367 seggi su 751) per governare, fermandosi secondo i primi, frettolosi calcoli attorno ai 350. Ma il vento che soffia da destra è forte in Europa, ed i numeri – una volta ricostituiti e riassestati i gruppi parlamentari a Bruxelles e Strasburgo -, potrebbero cambiare.

Per il momento, la cosa certa è che la Francia abbandona Macron, la Germania attenua di gran lunga il suo entusiasmo per frau Merkel, l’Inghilterra non piange la May e non sconfessa la Brexit. I nuovi leader europei si chiamano Marine Le Pen, Nigel Farage, Viktor Orban e – udite, udite – Matteo Salvini. Che in questa augusta compagnia, a differenza del Matteo predecessore, non appare tra l’altro l’ultimo arrivato.

Cambierà molto anche nel nostro quadro politico nazionale. Non come auspica Zingaretti e come forse si preparava a gestire Mattarella. Il governo non cadrà, anzi funzionerà più solerte e spedito di prima nell’attuazione del contratto di governo, perché i 5 Stelle, pesantemente ridimensionati, adesso sanno di non avere alternative all’andare a casa, se Conte fallisce. Il PD si è ripreso i voti dei non renziani, o degli scontenti della gestione Di Maio. PD e 5 Stelle tuttavia non avrebbero né i numeri né le idee giuste e condivise per governare insieme. Se si tornasse a votare, sarebbero in molti anche tra i grillini ad andare a casa senza pensione, senza vitalizi e senza nemmeno forse redditi di cittadinanza.

Luigi Di Maio

Luigi Di Maio

Stamattina Salvini ostenta lealtà agli impegni contrattualizzati, e Di Maio ostenta di crederci. Entrambi sanno di avere alternative peggiori a quello che stanno facendo insieme. Se il pentastellato infatti non ha altri potenziali alleati a cui appoggiarsi, il leghista al contrario ne ha, ma di quelli che non lo convincono per nulla. Berlusconi e Meloni tra l’altro si escludono a vicenda.

Conviene mantenere gli impegni presi tra sé e con gli italiani. La campagna elettorale è finita. Il campo avversario sbaragliato, o quantomeno ridotto a gloriarsi di aver tenuto. L’Europa non è più un continente ostile.

Se questa non è un’alba di un giorno di sole……

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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