Buona la prima per il professor Conte. Decisamente molto buona. Al G7 canadese prima uscita per il nuovo premier alla guida del governo gialloverde, appena il tempo di giurare, incassare la fiducia delle Camere e via sull’aereo diretto in Quebec. Un esordio da brividi, un po’ come ti insegnavano a nuotare una volta: giù dalla barca e arrangiati, o impari o bevi.
La tentazione è quella di limitare le impressioni al glamour, alla facciata. E già queste sarebbero assai positive. Fa effetto, un grande effetto vedere finalmente un capo di governo italiano non sfigurare sbiadito, grottesco, in vario modo impresentabile al cospetto degli altri leader del summit più importante tra quanti ne propone a scadenze regolari e straordinarie la ribalta internazionale.
Al G7 Giuseppe Conte non sfigura affatto accanto ai Macron, ai Trudeau, anzi. Non è intimorito da Trump, dalla Merkel, anzi. Parla inglese correntemente ed è in inglese che si rivolge all’alto consesso, illustrando la politica estera del governo italiano. Una politica estera da stato sovrano, indipendente per quanto lo consente la realtà dei rapporti di forza internazionali, ma non un millimetro di meno. A ben vedere, qualcosa del genere non succedeva dai tempi di Bettino Craxi, due repubbliche fa.
E’ proprio nella sostanza, più che nella apprezzabile forma, che il presidente del consiglio Conte registra il primo successo della sua neonata carriera politica, alla sua prima uscita. La strada gli è stata preparata a suo tempo dai suoi due vice, Salvini e Di Maio, i leaders dei movimenti che sostengono il suo governo. Soprattutto quello della Lega ha fatto il viottolo, come si suol dire, tra Mosca e Washington negli ultimi due anni, per preparare la ricollocazione internazionale dell’Italia da attuare una volta al governo. La base della politica estera italiana è stata ed è soprattutto questa.
Quando l’aereo di Conte atterra a La Malbaie, Quebec, Canada, Vladimir Putin ha già registrato e sottolineato pubblicamente con soddisfazione che nell’Unione Europea «qualcosa si sta muovendo». Qualcosa di buono verso la Russia, la fine in prospettiva di quelle assurde sanzioni che hanno rischiato di dare il colpo di grazia all’economia di vari paesi del vecchio continente nei tre anni seguiti alla nuova guerra di Crimea, e non è un mistero né per Putin né per chicchessia che buona parte dell’iniziativa di questa probabile svolta sia italiana. Da oltreoceano, per parte sua, Donald Trump ha già espresso apprezzamento per il nuovo corso italiano, salutando il nuovo governo che non fa mistero alcuno di sentire ora più che mai – e finalmente – come un alleato determinante e prezioso.
I giochi sono già fatti, ed il professore che parla correntemente la lingua dei potenti e si trova perfettamente a suo agio in mezzo a loro come se nella vita non avesse mai fatto altro che questo ha buon gioco – ci si perdoni il bisticcio di parole – a scoprirli sul tavolo.
Nel G7 che segna l’uscita allo scoperto della amministrazione statunitense a proposito della resa dei conti con chi ha messo in difficoltà negli ultimi anni l’economia americana (la UE a guida franco-tedesca, la Cina, per citarne soltanto due), si registra anche l’uscita allo scoperto della nuova amministrazione italiana, per chi non ne avesse ancora compreso le intenzioni.
Fedeltà atlantica, fedeltà europeistica, fedeltà ai trattati ed agli accordi, tutto riconfermato. Ma il tempo in cui l’Italia si disponeva quietamente nel suo posto di fanalino di coda in tutte le organizzazioni internazionali è finito. Non siamo e non saremo mai né una superpotenza né una potenza (se non industriale, a condizione però di fermare la svendita operata e/o favorita dai governi PD del nostro patrimonio economico), ma non saremo più neanche – se l’azione di questo governo avrà successo – l’ultima ruota di un carro che per di più va in direzione ostinata e contraria ai nostri interessi nazionali.
Mentre Donald Trump illustra le proprie iniziative a proposito di dazi e della denuncia di fatto del WTO, e chiede nello stesso tempo il reintegro della Russia nel G8, Giuseppe Conte lamenta la solitudine in cui è stata lasciata l’Italia a proposito della questione migranti, e non solo. Nello stesso momento Putin esprime soddisfazione per le novità europee nella chat governativa con la sua gente. E a Roma Matteo Salvini si prepara a dire il primo NO della storia italiana ad una nave di scafisti, di mercanti di uomini travestiti da ONG finto-solidale, l’Acquarius che passerà alla storia come il primo banco di prova del nuovo corso italiano (e che in queste ore staziona provocatoriamente nelle acque maltesi rifiutando qualsiasi destinazione che non sia il suolo italiano).
Troppe coincidenze, per non essere parte di una strategia complessiva di cui quella nostrana fa parte integrante. America e Russia, che vanno molto più d’accordo di quanto sembri, stanno sovvertendo un ordine mondiale che sembrava solido come una pietra tombale, durante l’amministrazione Obama e l’apogeo di Frau Merkel alla guida di una UE che assomigliava tanto al lebensraum teorizzato da una precedente amministrazione germanica. Ha ragione Tusk, siamo in presenza di una sovversione, ma lo era anche quella di Winston Churchill nell’estate del 1940 rispetto all’ordine di allora – si chiamava ordnung -, e vivaddio, non gliene saremo mai abbastanza grati per i secoli a venire.
La sovversione di Trump e Putin consiste nello scardinare la Fortezza Europa isolando la Germania, al fine di poter regolare i rispettivi conti individualmente con essa. Gli americani da sempre sono interessati ad un mondo il più libero e prospero possibile, non solo in ossequio alle idee fondanti di Thomas Jefferson e Benjamin Franklin, ma anche perché la loro «economia da 18.000 miliardi di dollari» – come ha fatto rilevare il segretario USA al commercio Wilbur Ross – ha bisogno di un mercato che sia veramente libero (e benestante) per vendere i suoi prodotti. Anche la Russia, per prosperare, ha bisogno della fine di sanzioni e boicottaggi ridicoli, dagli eventi sportivi a quelli economici e politici. In più, siccome rifornisce di gas mezzo continente europeo, possiede la chiave del rubinetto anche del nostro benessere, e ci impone di scegliere con estrema attenzione le nostre battaglie.
In questo contesto che definisce i cosiddetti paletti entro cui può muoversi la politica estera di un paese di seconda fascia come l’Italia, finalmente possiamo dire di avere un governo dotato di una strategia nazionale e nazionalista (dove con questo termine è da intendersi la corretta valutazione degli interessi del nostro paese) perfettamente inquadrata in quella complessiva del blocco di cui fa parte. Questa volta siamo schierati dalla parte degli Alleati, per capirci, USA, Russia e una Gran Bretagna che ormai è vicina alla Brexit operativa. E siamo anche sotto i riflettori puntati addosso a noi da quella gran parte dei membri dell’Unione Europea che aspettano solo di vedere se le intenzioni e le idee italiane saranno tradotte in azioni efficaci dal governo Conte. Per venirci dietro entusiasticamente, con buona pace di Martina e dei resti a brandelli del PD.
La sensazione, al di là della buona figura fatta dal premier Conte grazie alla sua preparazione, al suo savoir faire ed al suo aplomb piacevolmente british, è che l’Italia si stia ponendo come parte attiva di un processo – iniziato ufficialmente proprio in questi giorni nella ex colonia francese del Quebec – che dovrebbe mettere pesantemente in discussione un ordine mondiale che faceva acqua da tutte le parti, che era funzionale soltanto agli interessi delle componenti più parassitarie dell’economia globale, e che in epoca recente era diventato insopportabile per la stragrande maggioranza della popolazione italiana ed europea.
Grazie anche alle posizioni di quel governo che l’Italia ha saputo conquistarsi – per usare una metafora mutuata dal basket – con il classico tiro da tre punti sulla sirena finale (quando ormai i presagi di sventura erano mortalmente opprimenti come nella notte più buia), siamo adesso ad assistere all’agonia della vecchia UE come l’abbiamo conosciuta finora proprio grazie anche e soprattutto alla nostra iniziativa. UE che rischia di saltare non per le posizioni del prof. Paolo Savona sull’euro, ma piuttosto per quelle dei burocrati di Bruxelles, di organizzazioni non governative e non rispondenti a nessuno, di mafie e camorre varie (ed aggiungiamoci, allo stato dei fatti, anche un Vaticano insolitamente silente in questi giorni, potenza della discussione sull’IMU da applicare alle sue proprietà immobiliari?).
Il braccio di ferro che si gioca attorno alla nave Acquarius e a tutto quello che ne seguirà ha come posta in gioco proprio il nuovo ordine europeo e mondiale. Ed il nostro futuro, che per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale o quasi abbiamo mostrato di sapere e potere riprenderci in mano.
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