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L’Apprendista Stregone

Il 13 novembre 1940 Walt Disney ci riprovò, per la terza volta. La prima gli era andata benissimo, la favola di Biancaneve era passata sul grande schermo a cartoni animati dimostrandosi all’altezza dell’originale dei fratelli Grimm. L’incasso era stato notevole e resta uno dei più importanti di sempre al cinema.

La seconda volta ci si era messa di mezzo la Seconda Guerra Mondiale. Il Pinocchio di Collodi prometteva di avere più successo proprio in quella parte di mondo da cui la storia originale proveniva, la vecchia Europa. Peccato che in quel momento, il febbraio 1940, si trattasse di territorio nemico, anche se la guerra all’America non era stata ancora dichiarata. Il burattino dovette aspettare la fine delle ostilità per sfondare ai botteghini di tutto il mondo.

Johann Wolfgang von Goethe

Johann Wolfgang von Goethe

Stessa sorte sarebbe toccata al terzo lungometraggio. Fin dagli esordi, Disney era stato affascinato dal connubio cartoons – musica classica. Le sue Silly Simphonies, alla fine degli anni Venti, erano sembrate dare ragione alla sua intuizione, visto il successo ottenuto. Da allora aveva coltivato il sogno di realizzare cortometraggi più seri ed impegnativi delle farsesche Allegre Sinfonie, qualcosa dove «la pura fantasia si riveli», perché «l’azione controllata da un motivo musicale ha grande fascino nel regno dell’irrealtà».

Paul Dukas

Paul Dukas

Nel 1936 mentre ultimava il progetto Biancaneve, Disney cominciò a pensare anche ad una avventura di Mickey Mouse accompagnata da un grande classico musicale. L’Apprendista Stregone era una vecchia piece ricavata da una storia scritta nientemeno che da Johann Wolfgang von Goethe e messa in musica dal compositore francese Paul Dukas. Il progetto di vestire il Topo con i panni dell’apprenti sorcier prese vita lentamente ma irresistibilmente, ed ebbe una consistente accelerata allorché a Disney capitò di parlarne ad un altro predestinato, il direttore della Philadelphia Orchestra Leopold Stokowski. Il quale ne fu talmente entusiasta da accettare di collaborarvi inizialmente addirittura a costo zero.

Leopold Stokowski

La più classica delle avventure di Topolino nacque così, e intorno ad essa nacque e si sviluppò l’idea di un lungometraggio che utilizzasse altri pezzi celebri, traducendoli in disegni animati.

«Non abbiamo idea di cosa ci si può aspettare da una tale produzione», disse Roy Disney ad un certo punto, preoccupato dell’entusiasmo che non badava a spese del fratello Walt. Il lungometraggio doveva chiamarsi in origine The Concert Feature. Fantasia era inizialmente un titolo provvisorio, di lavorazione. Finì per rivelarsi il più adatto, perché il più semplice ed immediato. «Non è la sola parola, ma il significato che leggiamo in essa», spiegarono alla Disney illustrando la vera novità del nuovo cartoon: «Nel nostro materiale ordinario, la nostra musica è sempre dietro l’azione, ma su questo (…) noi dovremmo rappresentare questa musica – non adattarla alla nostra storia».

Il film si avvale di otto episodi, assemblati in una colonna sonora che a sua volta viene animata nell’intermezzo come se fosse essa stesa uno dei personaggi. Oltre all’Apprendista Stregone, Una notte sul Monte Calvo di Modest Musorgskij e l’Ave Maria di Franz Schubert; la Toccata e fuga in re minore di Johann-Sebastian Bach; il balletto de Lo schiaccianoci di Pëtr Il’ič Čajkovskij; la Sagra della primavera di Igor’ Fëdorovič Stravinskij; l’Entrée des petits faunes da Cydalise et le Chèvre-pied di Gabriel Pierné; la Danza delle ore, balletto preso dall’opera La Gioconda di Amilcare Ponchielli.

A fine esecuzuone, l’apprendista si precipita a fare le congratulazioni al maestro

Disney sperava che il film avrebbe portato la musica classica alle persone che, compreso egli stesso, erano fino ad allora «passate sopra a questo genere di cose». Ma gli Stati Uniti che vedevano la Seconda Guerra Mondiale avvicinarsi sempre di più alle loro coste avevano altro per la testa. Fantasia rischiò di essere un flop alla sua prima uscita, rischiando di travolgere la Company nel fallimento. Come Pinocchio, dovette aspettare il ritorno a tempi di pace per riscuotere il giusto successo di pubblico.

Nel frattempo, nel 1941, mentre già gli Zero giapponesi scaldavano i motori in vista dell’attacco a Pearl Harbor, la Disney si era già ripresa con il grande successo di Dumbo, l’elefantino volante.

Ma questa è un’altra storia.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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