Ombre Rosse

Le donne che salveranno il mondo?

Le donne combattenti curde

Parte l’attacco di Erdogan ai Curdi, e l’Occidente è pronto ad indignarsi, la cosa che gli riesce meglio almeno per le cause che vanno di moda. Peccato che lo faccia solo su Facebook, e solo contro gli americani, che si sono stancati di fare i poliziotti del mondo e hanno fatto presente che alla nostra sicurezza d’ora in avanti ci dobbiamo pensare da soli. Alla nostra sicurezza ed alla nostra faccia, visto che i Curdi che sono sotto attacco sono stati negli ultimi dieci anni i nostri migliori alleati, coloro che hanno combattuto realmente il terribile Isis, impedendo tra l’altro che portasse il Califfato a Roma come aveva predetto il Profeta.

Varrebbe la pena ricambiare, per motivi di moralità oltre che di opportunità. Perché la prossima volta (a cui manca poco, perché l’Isis approfittando della mossa dei turchi ha già ripreso i suoi attentati dinamitardi) non avremo altrimenti nessuno a fare il lavoro sporco per noi.

Ma è bastato un latrato di Erdogan («vi mando tre milioni di profughi siriani», come se fosse chissà che minaccia, magari venissero davvero, così – conoscendoli – in Italia c’è finalmente chi risiede per lavorare, anziché attendere il reddito di cittadinanza a casa o i sussidi statali ai migranti), e tutti giù a cuccia.

Si pubblicano poesie, scritte da donne coraggiose che maneggiano la penna altrettanto bene del kalashnikov, si fanno post che nelle intenzioni dovrebbero risuonare alti e fiammeggianti come il J’accuse di Emile Zola, e fine delle trasmissioni. La coscienza è a posto. La cena è in tavola.

Donna soldato del corpo statunitense dei Marines

Donna soldato del corpo statunitense dei Marines

Di recente scherzavamo a proposito di un eventuale Nobel per la Pace a Erdogan (abbiamo visto quasi di peggio in passato). Oggi ci punge vaghezza di riprendere in mano un articolo di qualche anno fa. Era il 2015, un 8 marzo di quelli consueti trascorsi tra mimose e sproloqui, e noi prendemmo a pietra di paragone dell’assurdità di tanti nostri discorsi, dibattiti e celebrazioni la condizione della donna in quella parte di mondo dove «si discute ancora se alle donne appartenga un’anima».

Era un momento in cui le donne curde avevano l’ammirazione dell’Occidente insieme al peso sulle spalle della propria salvezza, oltre che di quella dell’Occidente stesso. In un oceano di miseria (i mussulmani sono circa un miliardo, e la metà sono donne, private di qualsiasi diritto e riconoscimento, costrette a vivere forse peggio degli animali domestici), quelle donne in mimetica e con il fucile eccitavano l’immaginazione e spingevano l’opinione pubblica a prese di posizione altrimenti destinate a cause meno importanti, spesso più ridicole.

Ne riproponiamo alcuni passi. «…..quella parte immensa di mondo dove si discute ancora se alle donne appartenga un’anima. Non solo Islam, anche se l’Islam fa la parte del leone. Se si esclude quella parte della società turca, concentrata nella zona di Istanbul, che si sta opponendo – uomini e donne insieme – ai tentativi di Erdogan di riportare il paese di Ataturkai secoli bui, il resto offre un panorama desolante.

Eppure, è proprio dal mondo islamico che arrivano le icone di questo 8 marzo 2015. Sono le donne curde di Kobane, in tuta mimetica ed armate di kalashnikov, che meritano la foto di copertina. Se perdono la loro battaglia disperata, per loro non c’è il prete o l’imam o il bramino a imporre loro di chinare la testa, ma piuttosto un destino ancora più atroce. Vincere o morire. “Vittoria, contro ogni terrore, per lunga e dura che possa essere la strada, perché senza vittoria non sopravviveremo”, disse Winston Churchill parlando di libertà nella sua ora più buia e più grande.

Se cade Kobane, quelle donne sono attese da un destino inimmaginabile. O forse sì, visto che l’Isis ci inonda di filmati di ciò che riserva a chi non ossequia il Profeta. Altro che Afghanistan, o Charlie Hebdo. Se cade quella parte del Medio Oriente che ancora si rifiuta di velare sempre e comunque il volto delle donne, si torna indietro ai tempi delle Crociate, del Feroce Saladino, che poi non era così feroce come questi suoi epigoni spuntati a sorpresa dalle contraddizioni di questo ventunesimo secolo ancora più assurdo del ventesimo».

Ecco. Se vince Erdogan, e vincerà perché siamo una comunità continentale di cialtroni imbelli, non solo le donne curde, i curdi nel loro complesso, il mondo islamico, ma tutti quanti ritorniamo indietro di decenni, se non di secoli.

Non è più tempo di mettere fiori nei cannoni. Le donne curde l’hanno capito. E noi?

LauraBoldrini180308-001

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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