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Lepanto

«Cercare di costringere alla propria religione genti che ne professano altre è una sciocca questione»

(Kevin Costner in Robin Hood Principe dei Ladri, 1991)

Lepanto (Ναύπακτος), 7 ottobre 1571

A Lepanto si giocò il destino dell’Europa, come a Salamina quasi 2.000 anni prima. Gli storici hanno raccontato che non fu una battaglia decisiva. La flotta turca sconfitta si riorganizzò nel giro di pochi anni, e fu in grado di riprendere ad essere una spina nel fianco dell’Europa cristiana come prima, più di prima, almeno per tutto il diciassettesimo secolo.

Ma in realtà la vittoria della Santa Alleanza cristiana fu decisiva eccome, per due motivi: impedì agli Ottomani di spalancarsi la porta del continente, come sarebbe successo in caso di loro vittoria al largo della vecchia fortezza veneziana, e invertì – psicologicamente parlando – la tendenza secondo cui la Sublime Porta di Istanbul per tutto il Cinquecento aveva accumulato vittorie su vittorie, creando quasi negli avversari il mito della sua ineluttabile invincibilità, inducendo in essi una rassegnazione confinante con la disperazione per cui ogni battaglia, ogni episodio di quella guerra plurisecolare, di quello “scontro di civiltà” come sarebbe stato chiamato un giorno, non poteva avere per i Cristiani altro obbiettivo che la mera sopravvivenza.

A Lepanto, i Cristiani mostrarono che al bisogno sapevano unirsi (sarebbe per la verità accaduto di rado, dopo l’abdicazione di Carlo V, l’unico imperatore d’Asburgo che aveva unificato politicamente e militarmente il continente europeo, e qualcuno – come i francesi – avrebbe più volentieri flirtato con gli Infedeli piuttosto che allearsi con i correligionari), ed imporre al Mediterraneo la loro legge, anziché subire quella dei Musulmani.

A Lepanto si formò una generazione che avrebbe ripreso confidenza con il proprio valore militare, senza più aspettare tremebonda la vela nera all’orizzonte che annunciava il valore militare altrui, nuove razzie, nuove invasioni, nuove conquiste della Mezzaluna. La Cristianità ristabilì l’equilibrio delle armi a Lepanto, e pose le basi affinché – dopo un altro secolo di guerre senza quartiere alternate da scambi politici e commerciali sotto traccia – entrambe le confessioni e le rispettive popolazioni avessero un futuro.

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La grande flotta era stata allestita per soccorrere la guarnigione veneziana assediata dai Turchi a Famagosta, ultima fortezza che resisteva a Cipro, e non ripetere l’errore commesso un secolo prima quando Costantinopoli era stata lasciata da sola a vedersela con le armate ottomane di Maometto II.

Papa Pio V era riuscito a fare il miracolo riunendo per una volta sotto un unico comando l’Occidente cristiano, cosa che non succedeva dalle Crociate (ed anche allora aveva funzionato efficacemente soltanto nella Prima, bandita da Urbano II, affidata al comando di Goffredo di Buglione e conclusasi con la presa di Gerusalemme).

Da allora, il pendolo della storia aveva oscillato, e l’Islam si era trovato a sua volta con l’inerzia dello scontro millenario con il Cristianesimo a proprio favore. Da Saladino in poi, le genti della Mezzaluna avevano dimostrato di sapersi riunire sotto un unico comando e di saper combattere come un sol uomo. Cosa che ai cristiani non era riuscita più.

Dal 1453 (caduta di Costantinopoli e sua trasformazione in Istanbul, la capitale dell’Impero Ottomano che aveva sostituito quello Romano d’Oriente) al 1571 (assedio di Cipro), lo scontro religioso – militare per il predominio nel Mediterraneo ed in Europa aveva assunto i contorni dell’incubo per le armi cristiane, sempre puntualmente sconfitte nelle battaglie importanti contro un avversario che sembrava destinato inesorabilmente a prevalere, per terra e per mare.

IND132961 The naval battle of Lepanto between the Holy League and the Turks in 1571 (oil on canvas) (detail) by Brugada, Antonio de (d.1863); Museu Maritim Atarazanas, Barcelona, Catalunya, Spain; Index; Spanish, out of copyright

Nel 1480, dopo la morte di Skanderbeg che aveva dato alla Sublime Porta il via libera alla conquista dell’Albania e dei Balcani, era sembrato addirittura che fosse venuta l’ora anche per la penisola italiana. I turchi erano sbarcati ad Otranto, l’avevano conquistata massacrandone la popolazione e chissà se non ne avrebbero fatto una testa di ponte per l’invasione, non fosse morto proprio in quel momento il Sultano Maometto II detto il Conquistatore, portandosi con sé il sogno di realizzare le profezie del Primo con la conquista della capitale della Cristianità.

Ma il vantaggio mussulmano restava, e per buona parte del Cinquecento il Mamma li Turchi! aveva risuonato con terrore un po’ dovunque. Gli Ottomani, discendenti dei Selgiuchidi che provenivano dagli altopiani dell’Asia Centrale, erano un popolo guerriero come pochi altri. E in poco tempo avevano saputo ovviare alla mancanza di tradizioni marinare allestendo una flotta in grado di portare la guerra santa dovunque, nel Mediterraneo. Inferiori come capacità marinaresche rispetto alle flotte veneziane, genovesi o spagnole, sopperivano con la capacità di combattere in mare come in terra, come un esercito compatto.

Dall’altra parte, il campo cristiano era diviso, come di consueto, e ciò facilitava il compito ai conquistatori della Mezzaluna. Dopo la Terza Crociata, i cristiani avevano ripreso a darsele di preferenza tra sé. La Quarta era stata una Crociata dei cristiani d’occidente contro quelli d’oriente, e si era risolta nel sacco di Costantinopoli. Dopo di allora, l’unità dell’Europa cristiana – malgrado l’esistenza nominale di un Sacro Romano Impero fondato al tempo di Carlo Magno proprio per favorirla – era stata una figura mitologica al pari dell’unicorno. Tutti ne parlavano, nessuno l’aveva mai vista. Venezia e la Spagna, i principali attori sullo scacchiere mediterraneo, si temevano a vicenda quanto e più di quanto temessero il Sultano, e c’era chi come la Francia aveva superato l’ostacolo religioso ed aveva preso a considerare i mussulmani come un utile alleato contro il suo vero nemico, la cattolicissima Spagna.

La grande flotta allestita grazie alle benedizioni ed alla diplomazia del Papa era destinata soltanto a vendicare la guarnigione veneziana di Famagosta, non potendo giungere in tempo a salvarla. La notizia dell’efferato trattamento subito dai cristiani (soprattutto dal comandante Marcantonio Bragadin) dopo la resa accelerò l’allestimento dell’Armada, che il 6 ottobre si schierò all’altezza del golfo di Corinto in attesa di quella ottomana che sopraggiungeva da est.

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Lepanto in greco si chiama Ναύπακτος (Naúpaktos) ed in turco İnebahtı. Fu lì che le due flotte si incontrarono, e fu deciso il destino d’Europa. Agli ordini di Don Giovanni d’Austria le navi cristiane armate dai veneziani, dai genovesi, dal Granduca di Toscana e dagli altri sovrani spagnoli ed italiani assommavano a 210 galere da guerra, su cui erano imbarcati 28.000 soldati, 13.000 marinai e 43.000 rematori. Di fronte avevano la flotta turca di Müezzinzade Alì Pascià, forte di 34.000 soldati, 13.000 marinai e 41.000 rematori imbarcati sul 210 galere da guerra ed un centinaio di brigantini corsari.

Tra il Dio cristiano e quello mussulmano, gli Dei del Mare preferirono accordare benevolenza al primo. Don Giovanni attaccò lo schieramento ottomano ricorrendo ad astuzie e tattiche marinare che l’avversario non era in grado di controbattere. Fu una dèbacle per i turchi, che nella battaglia navale persero 180 delle loro navi, 30.000 dei loro soldati e 15.000 degli schiavi ai remi, liberati dai cristiani.

La battaglia di Lepanto fu una vittoria di valore assoluto per il campo cristiano, anche se la sconfitta per quello mussulmano non fu – militarmente parlando – decisiva. Un anno dopo, la Sublime Porta era già in grado di allestire una nuova flotta che aveva ripreso razzie e scaramucce con quelle dei paesi cristiani, tornati a dividersi e combattersi tra loro come prima e più di prima.

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L’importanza di Lepanto sta nel fatto che mise fine al lungo periodo di vittorie turche, e chiuse la porta del Mediterraneo occidentale e delle sue coste alla Mezzaluna. Per la prima volta dopo la caduta di Costaninopoli, i cristiani riportavano una vittoria, e per giunta una grande vittoria. Psicologicamente, per l’Occidente fu la fine del Mamma li turchi!, anche se per oltre un secolo il pericolo sarebbe rimasto vivo, come avrebbero dimostrato la guerra di Candia alla metà del 1600 e l’assedio di Vienna alla fine dello stesso secolo.

Ma il sogno che era stato di Maometto I e di Maometto II di conquistare Roma e la Cristianità annegò nelle acque di Lepanto insieme ai 30.000 giannizzeri affondati da Don Giovanni e dai suoi cannoni. Dal golfo di Corinto una volta per tutte emerse e si consolidò una realtà in cui i due imperi i due mondi avrebbero dovuto imparare a coesistere, perché nessuno dei due, né quello cristiano né quello mussulmano, aveva dimostrato di avere le risorse per poter conquistare e sottomettere l’altro.

I Turchi erano arrivati al punto di massima espansione, o quasi, e gli Spagnoli – capofila dello schieramento occidentale – erano impegnati su troppi fronti e di fronte a troppi nemici (anche e soprattutto cristiani). Con il diciassettesimo secolo, inoltre, lo spostamento delle rotte marittime principali da quelle mediterranee a quelle atlantiche avrebbe avviato entrambi gli imperi ad un lento ma inesorabile declino.

Islam e Cristianesimo avrebbero dovuto imparare a convivere, o almeno provarci. A tutt’oggi, non ci sono ancora riusciti.

 

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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