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L’eredità di B.

Chissà quanta gente riempirà le strade di Milano oggi per le onoranze funebri del milanese più celebre dai tempi di Alessandro Manzoni. L’addio a Silvio Berlusconi promette sicuramente di essere un evento epocale, come non se ne vedono da tempo. Per i funerali di Enrico Berlinguer – per citare un altro leader carismatico che la nostra politica ha prodotto nel dopoguerra – si calcola che a Roma il 13 giugno 1984 ci fossero un milione e mezzo di persone. Oggi, l’ordine di grandezza dovrebbe essere nuovamente quello, se non addirittura superiore.

C’é da notare semmai che stavolta il grande assente sarà il fair play. Davanti al suo feretro, nei confronti del leader comunista perfino i più tenaci avversari ideologici e di schieramento non ebbero altro che parole di rispetto. Circostanza che non sembra destinata a ripetersi, il leader fondatore di Forza Italia è stato un uomo divisivo in vita, e lo resterà dopo la sua scomparsa e per chissà quanto tempo.

Silvio Berlusconi è stato un uomo che ha fatto parlare senza mezzi termini di genio, si prendesse in considerazione la sua attività imprenditoriale, quella politica, quella sportiva. Un uomo dalla personalità e dall’impatto sulla società tale da avere pochi riscontri, non solo nella storia d’Italia ma anche forse in quella del mondo occidentale. Tra i leaders eletti in regime di democrazia è stato quello che ha forse riscosso i maggiori consensi, e per il tempo più lungo. E’ stato anche quello che si è fatto gli avversari più animosi, tenaci, determinati a tutto pur di toglierlo dalla scena politica. Con le buone o con le cattive.

Quando sorprese il suo paese ed il mondo intero scendendo in campo nel 1994 e candidandosi alla guida della coalizione destinata a governare l’Italia sdoganando forze politiche che per convenzione erano state fino a quel momento escluse dalla possibilità di andare al governo come la Lega lumbard ed il Movimento Sociale Italiano, Berlusconi colse di sorpresa altre forze che dal canto loro sembravano – sicuramente si sentivano – finalmente ammesse, abilitate a vincere quella battaglia per il governo (la prima dopo il crollo della prima repubblica, di importanza pari a quelle del 1948, le prime dopo il fascismo).

La gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto, segretario della Quercia che ancora non riusciva a rinunciare al sottotitolo della falce e martello di comunista recentissima memoria, credeva di aver vinto senza nemmeno bisogno di giocare. Unico dei partiti sopravvissuti alla sconfitta a tavolino inflitta da Mani Pulite alla vecchia politica repubblicana, il PCI-PDS sembrava non avere più avversari e soprattutto di godere nel paese e nell’elettorato di un’aria nuova che il Muro di Berlino venuto giù aveva mosso in tutto il continente.

Non in Italia. La valanga di consensi che gli italiani riversarono su un uomo ed un partito che tre mesi prima non esistevano fu un fenomeno incredibile e senza precedenti o seguiti nella storia moderna. I Cinque Stelle di Beppe Grillo venivano da più lontano quando sbancarono la seconda repubblica nel 2013. Silvio Berlusconi scese in campo a gennaio 1994, venne, vide e vinse il 27 marzo successivo. Due mesi.

Con Silvio Berlusconi, nei primi anni di Mediaset

La sinistra che confidava di aver fatto un sufficiente restyling per avere quella agognata vittoria non si è mai ripresa da quella batosta, e non gliela ha mai perdonata. Come il suo amico Craxi, parimenti anticomunista, le cui spoglie mortali aspettano di essere ritraslate in patria da ventitre anni sommati ai sette di esilio in vita in quel di Hammamet, Berlusconi aspettava da quasi trent’anni la fine delle sue traversie giudiziarie per lo più palesemente provocate da un fumus persecutionis che il nostro ordinamento proibirebbe. Ma evidentemente non per l’uomo che teneva le sinistre lontano dal governo.

Per avere un giudizio storico più obbiettivo, chissà quanto Berlusconi ed il suo amico Craxi dovranno aspettare. Ci si scanna ancora sulle figure di Garibaldi e di Mussolini, trent’anni per una opinione pubblica e degli addetti ai lavori spesso esacerbati dalla faziosità ancora non sono nulla.

De mortuis nihil nisi bonum. Dei morti non si parla che bene. Eppure il campo avverso a quello del Cavaliere rigurgita di slogan e di affermazioni ingiuriose (e quello sarebbe poco, ogni botte spilla il vino che ha) e ingenerose nei confronti di chi, piaccia o no, la storia d’Italia l’ha fatta, e senza lasciare sul selciato nemmeno un morto, a differenza di una controparte che nella sua lunga e sanguinosa storia non può vantare meriti analoghi.

Dice Matteo Renzi: non ci si può aspettare il rispetto nella morte da parte di chi non sa cosa sia il rispetto in vita. Il leader di Italia Viva non è un mistero che aspiri ad ereditare quella parte di Forza Italia che ormai senza leadership confluirà nel cosiddetto terzo polo moderato, al netto di coloro che andranno ad ingrossare i contigui Fratelli d’Italia. Il giudizio di Renzi tuttavia appare fondato. La sinistra continua a fare danni a se stessa comportandosi da faziosa, immatura, incapace di governare un paese non solo con i discorsi ma anche (decennio trascorso alla mano) allorché le circostanze le mettono in mano un governo a cui le urne non l’hanno designata.

L’odio contro Berlusconi anche da morto avvelenerà questa giornata che poteva essere di riconciliazione nazionale almeno sotto l’egida del bon ton. La sinistra continuerà a qualificarsi per ciò a cui è contro (prima antifascista, poi antidemocristiana, antisocialista, antiberlusconiana, antimeloniana, e così via) e mai e poi mai per quello che propone di fare per il suo paese.

Silvio Berlusconi è stato il leader a cui un popolo frastornato e impaurito da una avanzata comunista che la maggioranza degli italiani non ha mai voluto e non vorrà mai ha potuto rivolgersi per salvaguardare il proprio avvenire. Ma c’é di più, è stato l’uomo a cui una Italia della piccola, media e grande produzione ha potuto rivolgersi – finché le vicissitudini giudiziarie ed i ribaltoni l’hanno permesso – perché la nostra economia restasse e si sviluppasse nel solco di un liberalismo occidentale che in passato aveva prodotto boom economico, benessere, una certa dose di libertà effettiva.

Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi

Queste cose si pagano se vai contro lo statalismo, le consorterie, i poteri giudiziari più o meno deviati e quant’altro governa sotterraneamente questo paese. Nel 2011 è chiaro ormai a tutti, anche a chi oggi sbertuccia la salma esposta nel Duomo di Milano per le esequie, che il governo Berlusconi uscito dal voto popolare nel 2008 fu abbattuto da un colpo di stato a cui parteciparono forze e figure istituzionali interne in combutta con altre esterne. I nomi sono quelli sulla bocca di tutti, non li ripetiamo. Berlusconi ha lottato negli ultimi dieci anni di vita non solo contro una salute che per legge di natura si è fatta sempre più precaria ma anche contro magistrati che non gli hanno dato quartiere, rinnovando gli attacchi nei suoi confronti come fanti della prima guerra mondiale usciti dalle trincee.

Ma tant’é, alla fine il bilancio di una vita e di un’epoca dice che la battaglia è vinta e non riconoscerlo non gioverà ad una sinistra ormai prossima al commissario liquidatore. Oggi a Milano in piazza Duomo e dintorni probabilmente la storia anticiperà in modo tangibile il suo giudizio finale su Silvio Berlusconi con una immagine di popolo che crediamo non avrà eguali per chissà quanto tempo.

Non è populismo, queste boiate lasciamole alla carta stampata inchiostrata dal PD. E’ democrazia. L’Italia, una buona parte d’Italia ringrazia l’uomo che ha eletto più volte per fare delle cose che lui poi ha fatto, conformemente al mandato popolare.

Ei fu, scrisse un altro milanese cominciando l’orazione funebre per un grande uomo della sua epoca. La storia di Silvio Berlusconi va in archivio, quella d’Italia continua. L’eredità Mediaset è da tempo sistemata in modo da assicurare una continuità aziendale che non provocherà dissesti né al patrimonio familiare né – rendiamoci conto – a quello nazionale di cui fa parte consistente. A differenza di ogni altra azienda nazionale, Mediaset in quarant’anni non ha mai conosciuto recessioni. Non ha mai fatto ricorso alla Cassa Integrazione. E anche questo vorrà dire qualcosa, al momento di chiudere per sempre il feretro dentro cui il suo fondatore riposa d’ora in poi.

Quanto all’eredità politica, crediamo che solo due figure tra le attuali siano in grado di intercettarla e tenerla in vita: Giorgia Meloni e Matteo Renzi. Ai posteri…..

Ti sia lieve la terra, cavalier Silvio Berlusconi, come a chiunque abbia fatto o creduto di fare l’interesse del suo paese, rispettoso del suo popolo. Il resto son chiacchiere ad uso e consumo di chi non ha più un nemico su cui avventarsi e da domattina non saprà più neanche come si chiama.

P.S. Tra poco qualche Scurati di turno darà alle stampe una biografia intitolata B. Risparmiate soldi, dateli piuttosto in beneficenza.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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