Calcio

L’Italia siamo noi. Addio Croazia.

Avevamo già pronto l’articolo sull’ennesima eliminazione ignominiosa della nazionale azzurra, seguito da necrologio sulla crisi irreversibile ed epocale del nostro calcio. I bambini che non giocano più a pallone per le nostre strade, i procuratori che si ingrassano percependo percentuali su improbabili soggetti buffi provenienti dai terzi mondi, piuttosto che su ragazzi di un vivaio nostrano e Primavere che peraltro non esistono più (del resto, mettetevi nei panni di una mamma che deve portare un figliolo alla scuola calcio rischiando la frattura del setto nasale causata dalla borsettata di una facinorosa appartenente alla torcida avversaria, oppure semplicemente interessata mamma di un altro talento minorile in concorrenza…..

Avevamo pronto tutto questo ed anche di più, dalla quella sera in cui le furie rosse ci hanno matato con un autogol di Calafiori. Mettendoci a rischio eliminazione e riaprendo ferite che la vittoria di Mancini e Vialli tre anni fa sembrava averci rimarginato. Gli spagnoli quando fanno qualcosa sembrano sempre i toreros di Sangue e Arena, e poi godono di buona stampa da sempre, a differenza di noi. Una sconfitta normale (dopo due nostre vittorie nette nel 2016 e nel 2021) era sembrata per noi l’orlo del baratro, ma che diciamo, della nostra fine secondo Jim Morrison, ma che diciamo, l’anno zero dell’Italia.

La Spagna, insomma, ci aveva azzerato certezze faticosamente raggiunte, vincendo una normale partita, di quelle che da sempre ci mettono però con le spalle al muro. Prossima partita, dentro o fuori, come tante altre volte comprese le annate in cui poi abbiamo inciso il nostro nome del basamento della leggenda.

All’OK Corral ci aspettava dunque la Croazia, nostra bestia nera se mai ce n’é stata una. Non ci abbiamo mai vinto, a partire da quel 1994 in cui si era presentata (una delle tante figlie non si sa quanto legittime della dissolta federazione jugoslava) a Palermo per qualificarsi all’Europeo di Inghilterra 1996 e aveva battuto a sorpresa gli azzurri vicecampioni del mondo di USA 94 (un titolo che se proprio lo vogliamo dire ci stava anche stretto). Loro avevano Davor Suker, noi avevamo Roberto Baggio, con la caviglia ristabilita dopo il rigore maledetto di Pasadena. Vinsero loro, e avrebbero continuato a farlo fino al colpo di mano di Sendai, Sud Corea, allorché l’arbitro inglese Poll fece la prova generale di quello che sarebbe stato la volta dopo l’arbitraggio di Byron Moreno, detto l’infame. Tante scuse della Federazione, ma noi a casa, e ben prima del golden gol di Ahn.

Da allora, loro erano cresciuti fino ad issarsi ad una finale mondiale, quella di Russia 2018. Scrivemmo allora che concettualmente non si poteva tifare Croazia, con Modric e compagni abbiamo un conto aperto, calcistico ma soprattutto extracalcistico, che risale abbastanza indietro e abbastanza nel profondo dei rispettivi spesso sanguinosi rapporti. Per quanto non sempre il massimo della simpatia, scrivemmo, i cugini francesi non ci hanno mai cacciato nelle foibe. Tifammo allez la France, e vedemmo dunque piangere Modric & c. più che volentieri per la sconfitta finale.

Da quel mondiale ci eravamo autoesclusi giocando con la Svezia a Milano peggio che nel 1958 in Irlanda del Nord. Siamo genio e sregolatezza, in percentuale di ingredienti variabili, e quando ci gira male restiamo a casa o ci torniamo presto. Conte el conducador dopo il rigore di quell’idiota di Pellé aveva lasciato la panchina a Ventura, l’acchiappabidoni, e mentre a Spalato si illudevano di poter portare oltre Adriatico la Coppa del Mondo, a Milano la FIGC si domandava, come Lenin tanti anni prima: Che fare?

Stellone italico? Oppure qualcosa di calcisticamente buono nel sangue volenti o nolenti ce l’abbiamo? Nel 2021 i ragazzi irresistibili Mancini e Vialli, il compianto Vialli che aveva ereditato il posto di Gigi Riva, avevano vendicato il flop russo con gli interessi. Come già altre volte Wembley era diventato erba di casa mia, e Donnarumma aveva vendicato decenni di lotterie dei rigori girate male, da Italia 90 in poi.

Poi, di nuovo eliminati dai mondiali, quelli del Qatar 2022. Battuti da una Macedonia del Nord ancora più improbabile della Corea del Nord del 1966. La bella squadra dell’europeo itinerante post Covid si era disciolta al sole, Mancini aveva accolto offerte arabe da Mille e una Notte, il povero Vialli era passato a miglior vita, sulla panchina azzurra era arrivato un fighter.

Luciano Spalletti, uno che dovunque è stato ha fatto casino, ha fomentato guerre civili tra i tifosi, ha gestito il fine carriera di Totti come fece Agroppi con quello di Antognoni, cioé male. Ma per il resto ha gettato semi che hanno germogliato dovunque. Perché nel calcio – come ha detto ieri notte – alla fine ci si crede sempre.

Presentando l’Europeo 2024 von Deutscheland, Lucianone aveva detto: tutti forti, sì, ma noi siamo l’Italia. Qualcuno degli addetti ai lavori o degli iscritti ad una utenza sportiva a cui andrebbe proibita la visione del calcio se non accompagnati da un adulto, aveva storto la bocca, abituati come siamo da decenni di Francia o Spagna, basta che se magna. Gli spagnoli non sono più bravi di noi a giocare a calcio, hanno solo organizzato meglio le loro cantere e si sanno vendere meglio in fronte al mondo. I francesi idem, anche se poi li abbiamo ridicolizzati più volte, da Colombes e Peppin Meazza in poi.

L’Italia da anni gioca a fatica, al cospetto degli esteti spagnoli, francesi ed argentini (parliamone, Messi ci ha messo quasi vent’anni a vincere la coppa del mondo). Però lo faceva anche prima, ricordate il preliminare di Vigo di Galizia nel 1982? o quello di New York nel 1994? o quello di Toluca nel 1970? E le varie eliminazioni per un soffio altrettanto esile, 1954, 1958, 1962, 1966, 2010, 2014? Avevamo in questi casi le squadre zeppe di campioni, eppure via subito a casa, con le cuffiette di Balotelli a far dire ai tifosi le ultime bestemmie.

Insomma eccoci qua, tutti a dire noi siamo l’Italia, senza sapere cos’é l’Italia. L’Italia, lo diceva Gianni Brera e basterebbe, è quella che tira fuori il meglio di sé soltanto se la mettono con le spalle al muro. Certo, queste ultime annate non sono state proprio da Dom Perignon del ‘62, in quanto a talenti calcistici. Per rivedere un Rivera o un Baggio forse ormai bisogna andare suu Netflix. Però questi ragazzi in azzurro corrono e si dannano l’anima, quelli del 2021 che fecero a meno di uno Spinazzola per vincere il titolo, questi del 2024 che sembravano una candidata alla retrocessione dell’ormai inguardabile campionato italiano degli sciagurati giorni nostri, e poi invece alla fine…….

Il destino sembrava averci preparato l’ennesima insultante beffa, con i croati pronti ad eliminarci ed a sbeffeggiarci come fanno da 80 anni a questa parte (e meno male che non possono più farlo fisicamente, come al tempo delle foibe). Ma Spalletti, dicendo noi siamo l’Italia sapeva cosa diceva. Siamo con le spalle al muro, finalmente, è il nostro karma. Gli osannati spagnoli che hanno fatto? 1-0 per una sfortunata autorete di Calafiori. I croati che fanno? Aggrappati a nonno Modric e poi tutti dietro, come la peggiore neopromossa.

Poi scende sulla destra Calafiori, si, quello dell’autorete. C’é libero Zaccagni a sinistra, tutto solo ma con uno specchio della porta non liberissimo. E allora cosa fa? Mi viene da scomodare Alessandro Del Piero e anche Fabio Grosso, benemeriti della nostra repubblica calcistica. Tiro al giro, come sappiamo fare solo noi, non è patrimonio né degli odiati croati, né degli odiosi spagnoli.

Risultato? Si va a Berlino, anche questa volta, vero Fabio Caressa? Ti ricordi? Gli altri, Germania compresa, siano pure convinti di aver già vinto, noi giochiamo con le spalle al muro. Stai a vedere che anche questa volta le lacrime cocenti non tocchino a qualcun altro.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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