Chissà se questo Chelsea finirà per alzere la Champion’s League femminile, come pronostica in conferenza stampa Antonio Cincotta al termine dell’ottavo di andata che vede la Fiorentina soccombere per 1-0 dopo una prestazione più che positiva. Di certo, abbiamo molto da imparare dal calcio inglese, anche a livello di ladies.
Quando si sale nel Nord Europa, del resto, il divario è tangibile e non soltanto per la forza delle avversarie sul campo. Basti pensare che questo importante ottavo di finale si gioca a Kingsmeadows, che per quanto suggestivo è uno dei meno importanti nella quindicina di impianti sportivi di cui è dotata la capitale inglese. In questo stadio solitamente gioca il Wimbledon, club di terza divisione la cui sede è a due passi da quella del celeberrimo tempio del tennis. In questo quartiere, a Kingston nell’estremo sud ovest della Greater London, una volta si incoronavano i re sassoni (il toponimo significa Pietra dei Re) ed in epoca assai più recente ma non meno drammatica qui venivano costruiti gli apparecchi che vinsero la Battaglia d’Inghilterra, i Sopwith Camel e gli Hawker Hurricane.
Forse era troppo chiedere a questa Fiorentina di vincere la propria Battaglia d’Inghilterra personale portando via punti da qui. Forse è eccessivo paragonare la prestazione delle ragazze viola a quella dei Leoni di Highbury, lo stadio dell’Arsenal dove la Nazionale di Vittorio Pozzo il 14 novembre 1934 arrivò quasi a pareggiare i conti con quella inglese dopo una partita epica, un 3-2 in parziale rimonta che fu il primo risultato prestigioso ottenuto dagli azzurri al cospetto dei maestri d’Oltremanica.
O forse no. Perché le leonesse di questa Fiorentina Women’s il cuore ce lo mettono sempre, e ieri sera hanno dovuto metterci anche qualcosa di più. Malgrado il turnover reso obbligato dagli impegni ravvicinati (tre giorni fa questa squadra era a La Spezia a vincere la Supercoppa italiana) che ha visto rimanere inizialmente in panchina elementi del calibro di una Bonetti e di una Clelland, le ragazze scese in campo non si sono fatte intimorire dall’avversario, dalla cornice, dall’occasione, dal tradizionale arrembaggio che tocca subire alle squadre italiane quando vengono a giocare in casa di quelle inglesi, che si tratti di maschi o femmine. E nemmeno dal rigore concesso dalla signora Frappart, della Federazione francese, dopo appena 7 minuti per un fallo di mano della Breitner che ha acuito per la Fiorentina la pendenza di una partita già in salita portandola fino a quella dei tapponi dolomitici del Giro d’Italia.
Succede che la Cuthbert vada via sulla destra con un break improvviso e metta in mezzo un cross pericoloso. La Breitner è in caduta, ed il suo braccio sinistro è decisamente staccato dal corpo quando il pallone vi impatta. Fallo involontario, ma rigore purtroppo altrettanto ineccepibile a termini di regolamento. Dal dischetto, la capitana inglese Carney trasforma con freddezza, anche se la Ohrstrom ci arriva quasi con la punta delle dita. Sarà alla fine l’unico gol del match, e l’unica imperfezione nella prestazione della mai abbastanza elogiata portierona svedese della Fiorentina, la quale soprattutto nel secondo tempo alza un muro di fronte alle giocatrici inglesi abilissime nell’affondare in contropiede o su azioni manovrate, consentendo così alle compagne di tornare a Firenze con le speranze di qualificazione ancora aperte.
E’ vero che l’avversario è forte, è vero anche che essere uscite con un gol soltanto al passivo da una serata difficile come questa è un buon viatico, oltre che un risultato di prestigio perlomeno pari al 3-3 con cui la Fiorentina salutò a Wolfsburg l’edizione dell’anno scorso, dopo la sconfitta in casa.
L’anno in più non pare trascorso invano, questa squadra è in crescita, e si merita per quello che sta facendo vedere ad ogni sua uscita almeno il 50% del pronostico tra due settimane tra le mura amiche del Franchi. La Fiorentina non ha avuto tante occasioni per pareggiare il rigore iniziale, asfissiata spesso e volentieri dal pressing instancabile delle avversarie britanniche. Ma qualcuna sì, e ha dimostrato che alla difesa inglese si può far male.
«Si può fare», dice Stephanie Ohrstrom, che prende il microfono dopo mister Cincotta. «Ce la giochiamo, non sono imbattibili. Noi siamo più forti di quello che crediamo».
Se lo dice lei, abbiamo il dovere perlomeno di crederci. Dare to fly.
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