Quando nel 2001 fu aggiustato e fatto ripartire, ci fu una sollevazione popolare. Ogni stazione ferroviaria ha il suo orologio. Quello di Bologna era qualcosa di più. Un simbolo, non un accessorio indispensabile per il viaggiatore trafelato e ritardatario, ma piuttosto un accessorio indispensabile per il viaggiatore della storia. Per non dimenticare, e per fortuna ci si accorse in quell’estate del 2001 in cui la ditta addetta alle manutenzioni ferroviarie fece – a stretto rigore contrattuale – quanto le competeva, che nessuno voleva dimenticare. Assolutamente no.
L’orologio di Bologna era fermo da 21 anni, dalle ore 10,25 del giorno 2 agosto 1980 quando la più clamorosa ed assassina di una serie di bombe clamorose ed assassine scoppiate a giro per l’Italia a partire dal 1969 rappresentò il culmine di quella che allora si chiamava – con scelta lessicale che definiremmo tristemente felice – la strategia della tensione.
Sono passati 40 anni, tanti processi, non si sa quanti memoriali, e ancora stamani in edicola escono settimanali che promettono nuove rivelazioni su quella che viene definita apertamente strage di stato. Ben vengano, non si scriverà mai abbastanza su Bologna, su quella bomba, su quegli anni, sulla guerra non più fredda che fu combattuta per le nostre strade, nelle nostre piazze, nelle nostre stazioni e sui nostri treni. Lo schema iniziale, le BR rosse che compivano rapimenti ed attentati ad personam ed i neri che invece compivano stragi di massa, Mario Moretti contro Giusva Fioravanti, si è complicato ben presto, tanto che oggi ricostruire quel periodo, i fatti reali, le loro motivazioni e spiegazioni è più complesso che ricostruire l’intera seconda guerra mondiale.
Bologna fu l’apice degli anni di piombo, durante i quali non passava giorno senza che nelle nostre orecchie risuonasse il rumore di fondo di un’esplosione, di una sparatoria, di grida disperate di feriti, dilaniati, sparati. Di vedove e orfani. Di ragazzi cresciuti di colpo, passati in un attimo dal boom economico e dal benessere al male di vivere di una guerra di cui non si capiva proprio la ragione. Non la si capisce tutt’ora.
Bologna, l’Italia ferroviaria tagliata in due da quella linea di sangue, l’orologio tondo con il vetro spaccato furono l’apice, anche se il culmine sarebbe stato otto anni dopo il rapimento di Aldo Moro. Allora, toccato nel cuore, lo Stato avrebbe cominciato a fare sul serio, eliminando perplessità e sospetti che invece a Bologna erano divampati con la stessa violenza dell’esplosivo.
Eccola qui la storia di quegli anni, quella che Sergio Zavoli avrebbe chiamato con sintesi efficace la Notte della Repubblica. La nostra storia segreta, sanguinosa, maledetta.
Piazza Fontana (1969), 17 morti e 88 feriti a causa della bomba esplosa alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, comunemente ritenuto l’inizio ufficiale della strategia della tensione e dei successivi anni di piombo, a cui si legano una serie di fatti mai del tutto chiariti come la morte del primo indiziato, l’anarchico Giuseppe Pinelli, e l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, identificato dai gruppi extraparlamentari di sinistra come il responsabile della morte di Pinelli
Gioia Tauro (1970), 6 morti e 66 feriti nell’attentato dinamitardo al treno Palermo-Torino, in concomitanza con la rivolta di Reggio Calabria per l’assegnazione del capoluogo regionale in attuazione dell’istituzione della Regione
Peteano (1972), subito dopo l’assassinio del commissario Calabresi – ascritto alla responsabilità di gruppi di sinistra – la risposta neofascista nella logica degli opposti estremismi fu l’attentato in cui persero la vita tre carabinieri e rimasero gravemente feriti altri due nell’esplosione di una cinquecento imbottita d’esplosivo a Peteano, frazione tra Sagrado e Savogna d’Isonzo, a 5 km da Gorizia
Questura di Milano (1973), esattamente un anno dopo l’omicidio del commissario Calabresi, 4 morti e 52 feriti per l’esplosione di un ordigno davanti alla Questura del capoluogo lombardo, mentre si scopriva un busto commemorativo del commissario
Italicus (1974), 12 morti e 48 feriti nell’esplosione della bomba sulla carrozza n. 5 dell’espresso Roma-Monaco di Baviera all’altezza della stazione San Benedetto Val di Sambro, subito fuori della grande galleria dell’Appennino, all’interno della quale si calcolò che i morti sarebbero stati molti di più
Piazza della Loggia (1974), 8 morti e 102 feriti in seguito all’esplosione di una bomba collocata in un cestino portarifiuti in Piazza della Loggia nel centro di Brescia, durante una manifestazione antifascista
Ustica (1980), 81 morti nell’esplosione sui cieli di Ustica del DC9 Itavia decollato da Palermo e diretto a Bologna, probabilmente in seguito all’impatto con un missile lanciato da aviogetti militari di nazionalità non meglio precisata
Stazione di Bologna (1980), 85 morti e 218 feriti, il tributo di sangue più alto che ne fa l’evento legato al terrorismo più tragico in assoluto della storia d’Italia, l’orologio della stazione per volontà della cittadinanza bolognese resterà fermo per sempre all’ora della strage, le 10,25 del mattino
Rapido 904 (1984), la riedizione della strage dell’Italicus il 23 dicembre 1984 – da qui il nome di strage di Natale – nello stesso punto di dieci anni prima, ma stavolta i terroristi attesero che il treno fosse entrato in galleria, risultato 17 morti e 267 feriti. E’ comunemente ricordato come l’ultimo atto della guerra dei terrorismi che ha insanguinato l’Italia per quindici anni, almeno a livello di stragi di massa.
P.S. a seguito delle proteste della popolazione, l’orologio della stazione Bologna è stato fermato nuovamente all’ora in cui è diventato tristemente famoso in tutto il mondo.
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