“Sono cresciuto ascoltando e guardando il genio pop di David Bowie. Era un maestro della re-invenzione, che continuava a riproporsi al meglio. Una perdita enorme”.
Il governo di Sua Maestà britannica nella sua lunga storia si è scomodato raramente a rilasciare pubblici statement a proposito di persone o eventi appartenenti al cosiddetto mondo dello spettacolo. Forse il precedente più clamoroso, ma anche l’unico, era stata la concessione del titolo di baronetti ai Beatles da parte di una giovanissima Regina Elisabetta negli anni sessanta, in piena era della swinging London. David Cameron, primo ministro di una Gran Bretagna ormai completamente diversa, rompe cinquant’anni dopo il riserbo per celebrare la scomparsa di un’altra monumentale icona dell’ultimo fenomeno culturale in cui la sua nazione è stata all’avanguardia nella storia contemporanea, il Rock and Roll.
David Robert Jones era figlio di Peggy Burns, cassiera di cinema, e Haywood Stenton Jones, impiegato di un orfanotrofio (in cui lui stesso era cresciuto) e reduce della Seconda Guerra Mondiale. Il piccolo David era nato a Brixton l’8 gennaio 1947. Due giorni fa aveva festeggiato il suo sessantanovesimo compleanno, unitamente all’uscita della sua ultima raccolta di inediti, Blackstar. Erano – e non lo sapevamo – le ultime ore di una lotta ormai pluriennale contro il male del secolo, un cancro devastante, ma soprattutto di una vita avventurosa che lo consegna alla posterità come la più grande rockstar britannica di tutti i tempi, ed anche se possibile qualcosa di più.
E’ perfettamente inutile adesso rievocare una storia personale che conoscono tutti. Ha molto più senso cercare di fermare su queste pagine sensazioni e sentimenti che questo ragazzo caduto sulla Terra del Rock oltre cinquanta anni fa (e come dice appropriatamente il premier Cameron ancora capace di sorprenderci con le sue trasformazioni e re-invenzioni di se stesso e della propria arte) ha fatto provare a intere generazioni di ragazzi come lui, invecchiati senza rendersene conto, almeno fino ad oggi, insieme a lui.
Era un grande attore David, oltre che un grande musicista, e forse è proprio ciò che l’ha reso unico, irripetibile. Con lui il rock ed il pop sono diventati glamour, dicono unanimemente adesso tutti i critici. Hanno acquisito cioè una veste grafica, visiva, che non ha eguali nell’arte di nessun altro dei giganti della musica che dagli anni sessanta in poi ha fatto da colonna sonora alle generazioni. Che a partire da quella denominata beat hanno sognato di cambiare il mondo così come lui riusciva a cambiare pelle, mantenendo sempre uguale a se stessa soltanto (si fa per dire) l’inconfondibile e splendida voce, fino all’ultima incisione uscita sul mercato pochi giorni fa.
Destinato a non passare inosservato per l’aspetto fisico che ne faceva un idolo delle teenagers (così come un’icona gay anche per certi suoi atteggiamenti giovanili), David colpiva per lo sguardo magnetico impreziosito dalla celebre eterocromia (il raro fenomeno delle due pupille di colori diversi) e dalla midriasi provocatagli dal pugno di un antico compagno della sua band originaria. La musica ce l’aveva nel sangue, a dieci anni sognava già di diventare l’Elvis Presley britannico, a venti era già una stella emergente del rock. C’era già un Davy Jones nel rock d’Oltremanica, era il cantante dei Monkees. E allora ecco il nostro eroe cambiare cognome, prendendo a prestito quello del celebre colonnello americano Jim Bowie, inventore dell’altrettanto celebre coltello.
Space Oddity, l’album ispirato all’allora recente primo viaggio dell’uomo verso la Luna, decretò nel 1969 il suo primo successo discografico planetario, nonché l’avvio della sua straordinaria carriera. Ziggy Stardust, poi soprannominato definitivamente il Duca Bianco, era un personaggio teatrale prima ancora che un rock singer. Le sue canzoni, un successo dietro l’altro per quasi cinquant’anni, aiutavano molto la costruzione di un personaggio il cui paradigma forse fu stabilito per sempre dalla celebre Changes.
Dopo la fase ambigua di Ziggy e quella della trilogia nazi-fantasy-esoterico-berlinese di Heroes, Low e Lodger, arrivarono gli anni del pop e del cinema. Due titoli su tutti, L’uomo che cadde sulla Terra, e Merry Christmas Mr. Lawrence. Poi gli anni della maturità, del matrimonio con la modella somala Iman Mohamed Abdulmajid, seconda moglie dopo Angela Barnett e seconda madre di una sua figlia, Alexandria Zahra “Lexi” Jones, sorellastra di Duncan avuto dalla prima moglie, meglio noto come Zowie Bowie. David e Iman si sposarono proprio a Firenze il 6 giugno 1992, nella Chiesa americana di Saint James in Via Rucellai. Sempre a Firenze aveva avuto luogo il 9 giugno 1987 il primo storico concerto italiano di David Bowie. L’arte aveva riconosciuto l’arte e se ne era innamorata.
E’ stato Zowie a dare l’annuncio della morte del padre. Così percossa, attonita la terra al nunzio sta, le parole di Manzoni scritte per la morte di Napoleone sono le uniche che ci vengono in mente per tentare di descrivere il vuoto altrettanto grande lasciatosi dietro da questo fenomeno che a modo suo ha segnato il proprio tempo altrettanto significativamente del celebre corso.
Addio, Duca Bianco. Ci credevamo immortali. Non lo siamo. E il giorno che ce ne accorgiamo senza possibilità di equivoci è comunque un gran brutto giorno.
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