Calcio

L’ultima bandiera

Il romano dagli occhi di ghiaccio. Ce li ricordiamo tutti, quegli occhi in primo piano, negli istanti che precedevano il momento più critico di quella che sembrava l’ennesima problematica, drammatica spedizione azzurra ai mondiali.

Italia – Australia, Kaiserslautern, 26 giugno 2006, Ottavi di Finale del Mondiale di Germania. Gli azzurri in dieci per metà partita, dopo l’espulsione di Materazzi. Gli aussies che d’improvviso sembrano diventati uno squadrone. Mettono alle corde i ragazzi di Marcello Lippi al punto di rendere inimmaginabile un miracolo come quello di dodici anni prima contro la Norvegia. Unica speranza di evitare l’ennesimo ignominioso ritorno a casa, di prolungare l’avventura che prometteva così bene, la lotteria dei calci di rigore.

Il rigore arriva, ma non è il primo della serie di cinque, dopo i supplementari. Al 1° minuto di recupero Fabio Grosso va via a Bresciano ed entra in area. Neill platealmente lo stende. L’arcigno arbitro Medina Cantalejo non può avere dubbi, e non li ha. Il problema è adesso, chi ci va sul dischetto a tirare uno dei rigori più pesanti della storia del calcio italiana?

Ci va lui. Ci era già andato a Rotterdam, terzo di una serie di azzurri che avevano resistito – anche lì in dieci – agli arrembaggi degli orange olandesi e, grazie alle parate di Toldo, si preparavano ad eliminarli clamorosamente dalla loro finale. Se ne uscì con un cucchiaio che irrise un mostro sacro come il portiere Van der Saar, e sancì il passaggio del turno dell’Italia. I tifosi non si misero le mani nei capelli, né sul cuore che aveva mancato di battere un colpo. Non era uno sconsiderato qualsiasi, un matto pur dotato come tanti. Era il migliore, uno dei migliori di sempre. Francesco Totti.

Sei anni dopo, eccolo di nuovo sul dischetto che scotta. Stavolta non ride Francesco. Non ha voglia di ridere, non ha in mente niente suggeritogli dal genio. Ha solo voglia di buttare dentro quel pallone, alle spalle del portiere Schwarzer, e di spingere avanti l’Italia, una volta di più.

E’ stata lunga e dolorosa la strada di Francesco per arrivare su quel dischetto. Dalla reazione scomposta alle malversazioni di Poulsen a Guimaraes, Portogallo, Europei del 2004 – una reazione che costò a lui tre giornate e all’Italia il probabile passaggio del turno, con il celebre biscotto scandinavo – all’infortunio che nel febbraio 2006, complice uno scontro con Richard Vanigli durante Roma-Empoli, gli era costato il perone e per poco anche la convocazione ai Mondiali di Germania.

Recupero a tempo record di Francesco. Er pupone ha un carattere d’acciaio. Quando serve, sa anche ridere di se stesso, come ha dimostrato diventando l’editor delle più divertenti barzellette su e di Francesco Totti. Quando serve altro, diventa una specie di Superman, caricandosi sulle spalle se stesso, Roma, la Roma, l’Italia, il Mondo, la sorte. E questo sport di cui è negli anni diventato l’ultima icona. L’ultima bandiera.

In Germania ci va, ma non è il Totti che trasforma in oro ogni pallone che tocca, è già un mezzo miracolo che ci sia. Lippi lo deve usare a dosi. Fino al 26 giugno. Al 91° di quell’Italia-Australia, il pallone si è fatto di cemento, il dischetto del rigore scotta. Chi ci va? Che domande, senza esitazioni ci va lui.

Gli occhi di Francesco per qualche istante sembrano quelli di Clint Eastwood. Poi, l’apoteosi tricolore. In quel momento, er core de Roma diventa definitivamente patrimonio nazionale. Cuore d’Italia. L’ultimo di una dinastia di numeri dieci leggendari. L’ultimo ad alzare la Coppa del Mondo. Da Kaiserslautern a Berlino, saranno altri a segnare i gol decisivi per prendersi quella Coppa, ma tutto nasce da lì, da quel rigore che nessuno voleva tirare. Senza del quale, una volta di più, il sogno sarebbe diventato incubo.

Compie oggi quarantasei anni Francesco Totti. E il primo da quando ha smesso di giocare. Lui avrebbe anche continuato. A quarant’anni non è la gamba a tremargli, come non gli tremava a trenta, a venti, a dieci. Ha chiuso a 250 gol segnati nel campionato italiano. A 24 lunghezze dal miglior realizzatore di tutti i tempi, Silvio Piola, eroe dei Mondiali del 1938. L’eroe di quelli del 2006 avrebbe continuato ad inseguire il mito, per diventare il migliore in assoluto, se solo la legge di natura glielo avesse consentito.

Francesco Totti

Francesco Totti e quella Coppa……

Ogni anno lo davano per finito. Ogni anno tutti scrutavano l’espressione del suo allenatore, quel Luciano Spalletti al posto del quale tutti avrebbero voluto essere e nessuno avrebbe voluto essere. E si chiedevano: lo metterà fuori er pupone stavolta?

Già, facile a dirsi. In quello che poi è stato il suo ultimo campionato in sole tredici partite il vecchio Totti é stato capace di mettere insieme qualcosa come 6 gol e 5 assists. La Roma attuale non è più uno squadrone, ma buona parte delle sue difficoltà nascono dal fatto che non c’é più lui, che faceva mezzo squadrone da solo. Che di squadroni romanisti ne aveva visti almeno altri due, e di tutti era stato l’indiscusso capitano.

Doveva finire alla Lazio, nel 1989, ma nel suo destino c’era la Roma, e soltanto la Roma. Fu il compianto presidente Dino Viola a strapparlo agli odiati cugini, avendone intravisto le potenzialità già a 12 anni. Fu Vujadin Boskov (quello che sapeva bene cosa c’era in testa di giocatori, e capì al volo cosa c’era nella sua) a farlo esordire in serie A, a sedici anni. Vittoria, come succede ai predestinati. Fu Carletto Mazzone, altro core de Roma, a lanciarlo.

Fu Carlos Bianchi, il problematico allenatore argentino del primo anno di gestione Sensi, a cercare di tarpargli le ali mettendolo in panchina perché immaturo. Francesco si riprese la maglia da titolare a furor di popolo romano, Bianchi fu messo in fuga. Da allora, la maglia numero dieci è stata soltanto sua, nessuno l’ha più messo in discussione. Nemmeno la sua fascia di capitano.

Nel 2001 con Capello arrivò lo scudetto, negli anni successivi una serie di sfortunate partecipazioni alla Champion’s League e tanti tentativi giallorossi di accreditarsi come unica antagonista effettiva prima della Juventus di Moggi e poi dell’Inter del Triplete. Altri scudetti sfiorati, altre Champion’s svanite. Tante offerte per andare a cercare fortuna altrove, dove sarebbero arrivate forse le vittorie ed i riconoscimenti.

Alle offerte rispondeva sempre mamma Fiorella, come quella prima volta in cui il figlio aveva appena dodici anni: «…..qualcuno bussò alla porta del nostro appartamento di Roma», racconta Totti. «Ad aprire andò mia madre Fiorella. Le persone che erano dietro la porta avrebbero potuto cambiare la mia carriera calcistica. Quando aprì la porta c’erano dei signori che si presentarono come dirigenti sportivi. Ma non erano della Roma: indossavano indumenti rossi e neri. Erano dell’AC Milan e volevano che andassi a far parte della loro squadra. A tutti i costi. Mia madre alzò le braccia al cielo. “No, no” rispose ai dirigenti e fu tutto ciò che disse “Mi dispiace. No, no”. Fine del discorso. Il mio primo trasferimento era stato rifiutato dal “boss.” Solo qualche settimana più tardi, venni scelto durante una partita giovanile e la Roma mi fece un’offerta. Sarei diventato giallorosso. Mia mamma se lo sentiva».

A quarant’anni suonati, Francesco Totti non ha in bacheca nemmeno un Pallone d’Oro. Come dice proprio mamma Fiorella, «Francesco a casa ne ha tre di palloni d’oro, la moglie e i tre figli». E va bene così. E’ un’ingiustizia del resto che lo accomuna a tanti. Viene alla mente un nome su tutti, quello di Giancarlo Antognoni, predestinato alla maglia viola come lui a quella giallorossa, core anche lui di un’intera città. Bandiera mai sgualcita, sopravvissuta ad un mondo che fu, e che continua orgogliosa a sventolare in un mondo che di bandiere non ne concepisce più.

Auguri capitano. Finché ha giocato Francesco Totti, ha giocato la nostra infanzia, ed il nostro mondo che non c’è più e non vuole saperne di sparire.

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«Molti mi chiedono, perché hai passato tutta la tua vita a Roma? Roma rappresenta la mia famiglia, i miei amici, la gente che amo. Roma è il mare, le montagne, i monumenti. Roma, ovviamente, è anche i romani. Roma è il giallo e il rosso. Roma, per me, è il mondo. Questo Club e questa città sono stati la mia vita. Sempre»

(Francesco Totti).

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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