Calcio

L’ultima trasferta di Gianluca Vialli

Gianluca Vialli (Cremona, 9 luglio 1964 – Londra, 6 gennaio 2023)

Gianluca Vialli era un predestinato di cui il destino si era dimenticato strada facendo. La sorte gli aveva elargito doni preziosi: talento, carattere, carisma in campo e fuori, tutto meno forse quel pizzico di grinta in più che gli avrebbe consentito di mantenere fino alle estreme conseguenze il pronostico di attaccante italiano più forte della sua generazione, quella della seconda metà degli anni ottanta, uno dei più forti in assoluto, anziché fermarsi spesso ai confini del sogno.

Soprattutto in Nazionale, dove Bearzot l’aveva fatto esordire come riserva di Bruno Conti, avendo intuito subito (a differenza di quasi tutti i suoi colleghi) che il ragazzo di Cremona era un attaccante ma non un centrattacco. Potendo svariare a piacimento, avrebbe segnato i suoi gol più belli ed importanti. Costretto in un ruolo preciso, avrebbe vissuto e fatto vivere le sue delusioni più cocenti.

Piangeva abbracciato al suo amico fraterno Mancini un anno e mezzo fa, sul prato di Wembley dove aveva chiuso finalmente i conti con la sorte grazie ad una nuova generazione di Azzurri (momentaneamente) vincenti. A Londra era andato vicino a vincere la Coppa dei Campioni con la Sampdoria, superata ai supplementari da un Barcellona che non meritava più di lei.

A Londra sarebbe rimasto a fare l’allenatore, sponda Chelsea, aggiungendo al suo tribolato cursus honorum un’esperienza sofferta che avrebbe probabilmente costituito la base di partenza del suo libro The italian job, un saggio sulle differenze profonde tra calcio italiano e calcio inglese.

A Londra si è spento pochi giorni fa, vittima dello stesso sleale e letale avversario che aveva sconfitto poco prima un altro sampdoriano illustre, Sinisa Mihajlovic. Aveva finanziato tante ricerche sul cancro, Gianluca Vialli, ma dei cui risultati beneficerà qualcun altro, non lui.

Adesso piange tutto il calcio italiano, campo principale Genova. A Marassi Luca aveva vinto il suo primo scudetto, doppiato poi a Torino dove avrebbe vendicato anche la sconfitta di coppa (una coppa che nel frattempo era a venuta a chiamarsi Champion’s League) del 1991. Nel 1996, sotto la guida di Marcello Lippi che finalmente l’aveva riposizionato in campo secondo le vecchie intuizioni di Bearzot (non si diventa CT campioni del mondo per caso), ai calci di rigore contro l’Ajax campione in carica Vialli aveva portato la Juve, di cui era diventato capitano in breve tempo soppiantando il mai acclimatato Roberto Baggio, ad alzare quello che a tutt’oggi resta il suo ultimo trofeo con le orecchie vinto in campo europeo.

Ma il cuore di Gianluca era rimasto sul prato del San Paolo di Napoli, il 3 luglio 1990. Quel giorno, Maradona che ora dà il nome allo stadio era in campo, e si frapponeva tra l’Italia e la finale di un mondiale che a detta di tutti doveva vincere.

Penalizzato dai problemi fisici che lo avevano frenato per tutto quel mondiale, Vialli giocò da titolare contro l’Argentina senza poter incidere se non per l’assist all’ira di Dio Schillaci. Quel giorno, grazie alla mancanza di coraggio del povero Azeglio Vicini, tolse il posto al ben più efficace Baggio, e contribuì alla grande delusione di Italia 90. Anche se a tirare i rigori contro l’imbattibile Goygoechea lui non ci andò, era già negli spogliatoi.

Wembley, 12 luglio 2021

Ha fatto in tenpo a chiudere tutti questi conti con un destino beffardo, Gianluca. E ad abbracciare un’ultima volta il suo gemello terribile, Roberto Mancini. Adesso è a palleggiare in cielo con Mihajlovic, arrivato lassù pochi giorni prima di lui. Arrivato a Marassi, sponda blucerchiata, pochi anni dopo il suo traferimento in bianconero, tanto tempo fa.

Piange tutta l’Italia. Anche e soprattutto il fatto che attaccanti come lui non ne nascono più. Vialli era uno di quei giocatori che se ne portava dietro due, come si suol dire. Se non lo marcavi con attenzione, era gol. In Nazionale ne avrebbe segnati 16, praticamente la metà del recordman Gigi Riva, uno di quelli che l’hanno stimato di più giudicandolo quasi un suo erede. Niente male per uno che il destino aveva baciato in fronte alla nascita, salvo poi dimenticarsi di lui per strada.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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