Nei momenti critici di una lunga storia spesso vissuta ai margini e nell’ostilità di un continente che non l’ha mai amata ed ha sempre segretamente desiderato di sottometterla ed annientarla, l’Inghilterra non ha mai avuto paura di affidare le sue sorti ad una donna. La resistenza dei Celti all’invasore romano ai tempi di Cesare era stata guidata da una regina, Boadicea, raffigurata dalla celebre statua posta a Westminster. La resistenza all’Invencible Armada ed al cattolicesimo della Controriforma era stata guidata da un’altra regina, la Grande Elisabetta, che aveva dato il via al destino imperiale della nazione nell’età moderna. Altre due grandi regine detengono il record di longevità, Vittoria di Hannover ed Elisabetta II Windsor. Il paese di Francis Drake e di Horatio Nelson ha spesso avuto come comandante in capo una donna. Non se n’è mai fatto un problema, e non se n’è mai pentito.
Margaret Hilda Roberts era di umili origini, e lo sarebbe rimasta anche dopo il 1990, a differenza di tutte quelle figure che l’avevano preceduta nel pantheon femminile britannico e malgrado il titolo di duchessa di Kesteven ricevuto da una sovrana che non l’amava, ma che non poteva che ringraziarla così per i servigi resi. Elisabetta II la chiamava la figlia del droghiere, intendendo sprezzantemente sminuirla ai propri occhi prima che a quelli dell’opinione pubblica. In realtà Margaret Roberts coniugata Thatcher era l’unica donna, anzi l’unico essere inglese vivente, in grado di stare al suo pari come personalità e prestigio, se non addirittura di sovrastarla.
Era nata il 13 ottobre 1925 a Grantham, nel Lincolnshire, Midlands Orientali, figlia appunto del droghiere locale nonché pastore metodista della comunità. Cresciuta nel mito di Winston Churchill come tutti gli inglesi della sua generazione, aveva la passione della politica nel sangue ed era inevitabile che per cultura ed estrazione sociale esercitasse quella passione nel Partito Conservatore, i cosiddetti Tories. Alla politica si affacciò ufficialmente alle elezioni politiche del 1951, a Dartford nel Kent – paese che sarebbe diventato famoso un giorno per aver dato i natali alla rockstar Mick Jagger -, dove si era trasferita per lavoro. Il distretto era tradizionalmente in mano al Labour Party, ma la giovane Roberts per poco non riuscì nell’impresa di rovesciare le sorti del seggio parlamentare. In quell’anno divenne Mrs. Thatcher, sposando il collega di partito Denis. Nel 1953 le nacquero due gemelli, il turbolento Mark (che le avrebbe dato non pochi grattacapi) e Carol.
L’elezione alla House of Commons le arrivò nel 1959, e due anni dopo aveva già un incarico di sottosegretario nel Governo di Harold McMillan, poi travolto dal celebre scandalo Profumo. Negli anni sessanta, Maggie – che un giorno sarebbe diventata la donna più odiata da liberal e laburisti – si sarebbe imposta all’attenzione dell’opinione pubblica per il sostegno a provvedimenti controversi ma decisamente progressisti, come la depenalizzazione dell’omosessualità maschile e dell’aborto. Nel 1970, con il ritorno dei conservatori al potere con Edward Heath, sarebbe diventata Ministro per l’Istruzione, fino alla caduta di quel governo nel 1974. La sua leggenda avrebbe preso il via allora, Thatcher the milk snatcher, la ladra di latte, così soprannominata per la sua decisione di sospendere la distribuzione di latte gratuito ai bambini nelle scuole del Regno.
Nel 1975 raccolse l’eredità di Heath diventando la prima donna segretario del Conservative Party britannico. Nel 1979, quando il governo Labour di Wilson andò in crisi, lei era pronta a guidare il partito alle elezioni, ed a vincerle. Per la prima volta nella storia di Albione, una sovrana donna conferì l’incarico a formare il governo ad un Primo Ministro donna.
Per undici anni, Maggie rubò la scena a tutti, dalla sua Regina alla principessa triste Lady Diana che di lì a poco avrebbe sposato l’erede al trono, al presidente americano Ronald Reagan che avrebbe cambiato la storia della Guerra Fredda e del mondo, al Papa di Roma che avrebbe favorito più di tutti quel cambiamento, Giovanni paolo II.
Come Boadicea, prese in mano il comando delle operazioni – e con successo – sia nella crisi degli ostaggi all’ambasciata iraniana di Londra che nella Guerra delle Falklands – Malvinas dichiarata contro l’Inghilterra dalla Junta militare argentina di Leopoldo Galtieri, dove non si fece scrupolo di utilizzare i buoni rapporti con un’altra Junta, quella cilena di Augusto Pinochet (“Chi si trova in guerra, non si può far distrarre da complicazioni diplomatiche, deve superarle con ferrea volontà”, una frase storica degna del suo modello ideale, W. Churchill).
Come la Grande Elisabetta, affermò il principio che il Governo di Sua Maestà non si fa ricattare da nessuno. Sulla volontà metallica della Iron Lady andarono ad infrangersi sia i tentativi delle Trade Unions, i sindacati inglesi che le sollevarono contro i minatori e gli autotrasportatori in scioperi generali rimasti epici, sia i militanti dell’Irish Republican Army, l’I.R.A., i cui provisionals detenuti nelle carceri inglesi inscenarono uno sciopero della fame per il recupero dello status di prigionieri politici (anziche delinquenti comuni) a cui Maggie non cedette, lasciandoli morire ad uno ad uno – a cominciare dal capo storico Bobby Sands – prima di acconsentire ad una mediazione di compromesso.
Allo stesso modo dei golpisti argentini e dei provisionals irlandesi, mise in ginocchio gli hooligans del calcio che dopo la strage dell’Heysel a Bruxelles avevano ridotto ai minimi termini l’immagine dell’Inghilterra, una volta culla dello sport e della civiltà moderna. In cinque anni favorì una campagna di ammodernamento degli impianti sportivi e di restringimento delle misure di sicurezza i cui benefici durano ancor oggi.
Dette avvio ai lavori del Tunnel sotto la Manica, fino a quel momento più una figura mitologica che un progetto destinato a realizzare un’impresa epocale, unire l’Inghilterra al Continente per via di terra. Dette avvio alla privatizzazione delle maggiori imprese pubbliche del paese, a cominciare dalla British Airways e dalla British Telecom. Riformò lo Stock Exchange, la storica Borsa di Londra tornando ad attirare capitali da tutto il mondo come ai tempi gloriosi dell’Impero.
Trattò la restituzione di Hong Kong alla Cina e del mantenimento alla ex colonia di uno status comunque privilegiato anche dopo il rientro nello Stato comunista cinese. Trattò a fianco di Ronald Reagan soprattutto il complesso procedimento diplomatico che portò all’ascesa in Unione Sovietica di Mikhail Gorbaciov e la dissoluzione del Blocco Comunista, del Patto di Varsavia, del Muro di Berlino, della Guerra Fredda e di tutto ciò che aveva terrorizzato il mondo intero fino alla sua epoca.
La quale epoca, peraltro, era destinata a finire un attimo dopo la certificazione del suo più grande successo, la sconfitta planetaria della Sinistra Radicale. Nel 1990, pochi mesi dopo la riunificazione delle Due Germanie, il mondo parlava già un linguaggio nuovo, e prefigurava nuovi scenari. Con i quali Maggie non era più adatta a confrontarsi. Come era successo al suo idolo W. Churchill subito dopo la vittoria sul Nazismo, il paese la ringraziò pensionandola subito dopo quella sul Comunismo.
Nel novembre 1990, il Partito le si rivoltò contro. Il motivo fu la poll tax, la riforma fiscale che introduceva la tassazione egualitaria per tutti gli abitanti di un distretto, fossero essi ricchi o poveri. Stavolta, l’establishment parlamentare ed economico andò dietro alla rivolta popolare. Maggie, per quattro voti, fu sfiduciata dai Tories e dovette recarsi a Buckingham Palace a rassegnare le dimissioni nelle mani di una Regina Elisabetta che segretamente gongolava. Lasciando per l’ultima volta quel numero 10 di Downing Street che era stata casa sua per undici anni, con gli occhi velati di lacrime che la stampa non mancò di immortalare, impietosamente.
Il suo posto fu preso, nel partito e nel governo, dall’ex delfino John Major. Ma l’astro nascente era un altro, e cresceva nelle file dei vecchio nemico, il Labour. La Thatcher era sconfitta, ma il thatcherismo rimase in voga, ed il suo interprete principale fu Tony Blair, un ragazzo scozzese che per la prima volta avrebbe avuto il coraggio di imporre al suo partito la mitigazione della nozione di uguaglianza a favore di quella di libertà, codificata una volta per tutte dalla Lady di Ferro.
“Non siamo veramente liberi senza libertà economica”, fu il testamento politico della signora Thatcher, la cui onda lunga è arrivata fino alla Brexit votata nel giugno scorso dal popolo inglese, che evidentemente non l’ha dimenticata. Negli anni trascorsi fra la sua caduta e la sua scomparsa, avvenuta al Ritz di Londra la mattina dell’8 aprile 2013, Margaret Thatcher vide nascere e crescere – ed avversò fortemente – l’Europa di Maastricht. Condannò aspramente il governo laburista che vi aveva aderito, mantenendo invece un atteggiamento di singolare simpatia personale per il Premier Blair che lo guidava.
L’avevano preceduta nella tomba di 10 anni il marito Denis, e di 9 l’ex Presidente U.S.A. Ronald Reagan, insieme al quale aveva dato il proprio nome ad un’epoca. Le sue ceneri sono state sepolte accanto a quelle del marito nel giardino del Royal Hospital di Chelsea a lei intitolato, una casa di cura e di riposo per veterani dell’esercito inglese. Quell’esercito di cui era stata uno dei più grandi comandanti in capo di sempre.
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