Gli spari che risuonarono a Manhattan la mattina del 21 febbraio 1965, ponendo fine al comizio di Malcom X ed alla sua stessa vita, furono una spinta potente anche se non ancora decisiva verso la fine del sogno collettivo degli afroamericani la cui apoteosi era stata celebrata due anni prima al Lincoln Memorial. Quel sogno di cui aveva raccontato Martin Luther King al culmine della marcia su Washington, che l’unico altro nero d’America con una fama pari alla sua aveva ribattezzato la buffonata di Washington.
Se il pastore King era l’incarnazione dell’illusione che la battaglia per i diritti civili della sua gente iniziata ai tempi del presidente Lincoln e tutt’ora aperta in quelli del presidente Kennedy potesse concludersi vittoriosamente e pacificamente, Malcom X era venuto su disincantato, ben presto conscio che ai sogni di uguaglianza dei neri i bianchi non erano disposti a concedere nulla, cento anni dopo la fine della Guerra Civile, e pieno di rabbia nei confronti dei suoi fratelli creduloni prima ancora che dei razzisti bianchi che avevano perseguitato la sua famiglia da che lui aveva l’uso di memoria. Suo padre era un predicatore battista, ucciso quando lui era piccolo dai sostenitori della supremazia bianca che beffardamente si facevano chiamare Black Legion. La madre era una meticcia, il suo sangue misto determinato dallo stupro che sua madre, la nonna di Malcom, aveva subito da un bianco. Finì in manicomio dopo la morte del marito, e per il figlio si aprirono e richiusero le porte degli orfanotrofi.
Il piccolo Malcom Little aveva imparato presto a maledire lo stesso Dio che gli altri neri pregavano, sognando di una redenzione di là da venire. Ciononostante, il suo destino da adulto avrebbe potuto essere quello di un ragazzo di talento, di intelligenza brillante, che con i suoi ottimi voti alla High School si stava costruendo un avvenire di riscatto sociale mirando all’esercizio di una professione importante.
Fu il suo insegnante prediletto, quello che gli aveva messo i voti migliori, a stroncare per sempre le sue ambizioni dicendogli senza mezzi termini che «diventare un avvocato di fama non era un obiettivo realistico per un negro». Qualcosa si ruppe per sempre dentro il ragazzo Little, e fu l’anticipazione di qualcosa che ben presto si sarebbe rotto anche nel cuore dell’America.
Abbandonato il sogno di emanciparsi dal lato nobile della legge, Malcom finì ben presto per conoscerne il lato peggiore, passando dai mestieri più umili (lustrascarpe, cameriere di treno) a quelli più illegali (spacciatore di droga, magnaccia, rapinatore). Aveva 20 anni quando il tribunale gliene comminò 10 di galera. In prigione, ebbe il primo incontro con la Nation of Islam, la setta dei musulmani neri che stava attirando i primi disillusi della via cristiana ai diritti civili di Martin Luther King e degli altri predicatori come era stato suo padre.
Elijah Muhammad era anch’egli un predicatore, ma di una religione diversa e con un temperamento ancor più diverso. Sostenitore della supremazia nera (la razza umana e la civiltà sono nate in Africa) e della religione islamica (in Africa prima dell’arrivo dei bianchi schiavisti la religione più diffusa era quella musulmana), Muhammad proponeva la creazione di una nazione nera separata dal resto degli Stati Uniti, ma sul loro suolo.
Malcom Little trovò affascinante la predicazione di Elijah Muhammad, ex galeotto come lui incontrato per di più in un momento in cui stava mettendo in discussione per proprio conto la sua stessa identità. Little, come tutti i cognomi della gente nera d’America, era un cognome da schiavo, attribuitogli da un padrone e certificato dalle autorità dopo il Proclama di Emancipazione di Lincoln.
Al principio degli anni ‘50, Malcom Little divenne Malcom X, dove la X stava per quel cognome africano originario che non avrebbe mai potuto conoscere, o ritrovare. Questa idea avrebbe fortemente influenzato il suo biografo ufficiale, quell’Alex Haley che avrebbe poi scritto il best seller Radici, dopo essere riuscito a ricollegare la storia americana della sua famiglia con quella africana originaria, attraverso la figura di Kunta Kinte, il guerriero divenuto schiavo.
Con l’affiliazione alla Nazione Islamica, Malcom X divenne El-Hajj Malik El-Shabazz, e con questo nome divenne in breve tempo il predicatore nero islamico più famoso d’America. Tanto da oscurare la fama ed il prestigio dello stesso Elijah Muhammad. Tanto da potersi addirittura permettere di stigmatizzare in pubblico il comportamento del leader più anziano, da lui criticato per la sua tendenza notoria ad accumulare più concubine e amanti di quanto lo stesso notoriamente di manica larga Islam tollerasse.
Quando Marin Luther King condusse la sua buffonata ai piedi del monumento a Lincoln e raccontò pubblicamente del suo sogno, I have a dream, Malcom X faceva già molti proseliti. Anche prestigiosi, come quel Cassius Clay che dopo aver parlato con lui divenne Mohamed Alì, gettò in un torrente della natìa Louisville la medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi di Roma e cominciò a far disperare l’America con il suo anticonformismo spinto fino al rifiuto dell’uniforme al momento della chiamata per la guerra del Vietnam. A differenza di Malcom X che si era finto malato di mente per non partecipare alla seconda guerra mondiale, a Mohamed Alì bastò essere se stesso per evitare quella del Vietnam, rimettendoci però gli anni migliori di carriera ed il titolo mondiale.
Messosi in urto con Elijah Muhammad e con i vertici della Nation of Islam, Malcom X ne uscì nel 1964 cercando di fondare un movimento autonomo, la Muslim Mosque. A quel punto John Kennedy era già nella tomba, a causa del primo di una serie di attentati che avrebbero spezzato il sogno americano e trasformato gli anni sessanta in un bagno di sangue se possibile ancora più tragico di quello che aveva luogo nel sud est asiatico.
Dell’attentato successivo, il bersaglio sarebbe stato lui. La Nation of Islam non aveva preso bene la sua defezione, e tre suoi membri andarono ad ascoltare il suo comizio a Manhattan la mattina del 21 febbraio 1965 armati di pistole. La violenza che secondo Malcom X si era ritorta contro JFK per il solo fatto di non averla saputa impedire o arginare, quella volta si ritorse contro di lui, che ne aveva predicato l’uso senza mezzi termini affinché la sua gente raggiungesse finalmente l’emancipazione.
Malcom X lasciò un’America di colore che credeva sempre meno alle utopie di King e dei buonisti di ogni fede e di ogni credo politico. La mano stava passando ai violenti, ed il paese era scosso dalla violenza quasi ogni giorno. Si marciava e, bianchi o neri, ci si scontrava con la polizia e la guardia nazionale per svariati motivi. Le fragole si macchiavano sempre più di sangue.
Quando toccò a King e poi a Bob Kennedy cadere sotto i colpi di attentatori più o meno misteriosi, la questione dei diritti civili degli afroamericani era pronta per passare nelle mani delle Black Panthers. Angela Davis e i suoi avrebbero finito per far rimpiangere Malcom X e farlo sembrare quasi un moderato. Mohamed Alì alla fine avrebbe riavuto il suo titolo mondiale. L’America non avrebbe più riavuto la sua vera o presunta innocenza.
Al funerale di Malcolm X, celebrato il 27 febbraio 1965 ad Harlem, parteciparono oltre 1.500.000 persone. Il suo corpo fu sepolto nel Cimitero di Ferncliff, ad Hartsdale, New York.
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