La scomparsa di Vincenzo Gallo, in arte Vincino, non può non riportare alla mente di una intera generazione l’immagine della sua creazione più celebre. Quella testata dal titolo disegnato su cubetti come quelli con cui avevamo giocato da bambini imparando l’alfabeto. Quel periodico settimanale che dette un senso nuovo ad una categoria letteraria fino a quel momento contenitrice di un po’ di tutto, ma mai veramente graffiante come sarebbe stata per merito suo da allora in poi, la satira.
Il nome stesso era evocativo. Il Male. Pino Zac, Sergio Saviane, Vincino, Jacopo Fo, Cinzia Leone, perfino un Vauro Sanesi non ancora ridotto a insopportabile rappresentazione di se stesso, scesero in campo nel settembre 1977 non per far sorridere ma per fare appunto del male, per squarciare la cappa degli anni di piombo, il conformismo sopravvissuto anche troppo a lungo al regime che l’aveva imposto, quando ancora per eccesso di satira si poteva finire in galera.
Dall’uscita del primo numero, Il Male ci costrinse a correre settimanalmente in edicola, per assistere alle nuove prodezze di una redazione che sembrava non avere paura di nulla, capace di dar voce a tutte le nostre pulsioni ribellistiche attraverso disegni e testi che strappavano ben più di un sorriso. Mostravano il re nudo come non era mai apparso. Dissacravano senza possibilità di scampo ciò che fino a quel momento era stato considerato sacro e intoccabile. Il presidente della repubblica, il papa, il presidente del consiglio, non si salvava nessuno. Istituzioni, religioni e modi di essere stravolti e travolti dall’umorismo di chi non ne poteva più del perbenismo. Della morale di Stato.
Dalle false prime pagine dei quotidiani che annunciavano notizie clamorose (Repubblica di Scalfari che commenta il funerale di Moro con il titolo Lo Stato si è estinto, L’Unità che annuncia per bocca di Berlinguer la fine tumultuosa del Compromesso Storico con la DC, il Corriere della Sera che annuncia lo sbarco degli extraterrestri, il polacco Trybuna Ludu che annuncia la fine del comunismo in Polonia e la nomina di papa Giovanni Paolo II a capo dello Stato, perfino il Corriere dello Sport che annuncia la squalifica dell’Olanda ai mondiali argentini del 1978 ed il ripescaggio della nazionale azzurra di Bearzot) fino alle iniziative clamorose ed iconoclastiche (il busto di Giulio Andreotti inaugurato a Villa Borghese con intervento della polizia e retata, la distribuzione della bustina di droga in allegato al giornale – in realtà erano 10 grammi di pepe -, il finto arresto di Ugo Tognazzi in qualità di capo delle Brigate Rosse, con l’attore che si prestò volentieri e commentò pubblicamente «Rivendico il diritto alla cazzata!»), la valanga satirica del Male non risparmiò niente e nessuno.
Il sistema provò inizialmente a reagire come aveva sempre fatto, e per la seconda volta dai tempi di Giovanni Guareschi un giornalista tornò in galera con l’accusa di vilipendio. Calogero Venezia, uno dei tanti giornalisti che si alternarono alla direzione del periodico al solo scopo proprio di spartirsi querele, denunce e arresti salvando le vere risorse grafiche del settimanale, trascorse dei giorni a Regina Coeli a causa di vignette dissacranti che avevano per bersaglio il papa polacco, Karol Wojtyla. In un codice penale che ancora prevedeva il reato di vilipendio della religione le risorse censorie non mancavano, anche se il comune sentire si stava allontanando rapidamente da quella normativa. Si ricorse addirittura, per soprammercato, all’accusa di vilipendio a capo di Stato estero, quale era il Vaticano, ma l’accusa non reggeva più come altre simili avevano fatto ai tempi di Guareschi e del Candido.
Il Male continuò a distinguersi per la sua vis polemica raccontando la storia d’Italia e del mondo a modo suo fino al 1982, anno in cui cessò le pubblicazioni. I ragazzi che erano corsi in edicola a prendere al volo l’ultimo numero stavano crescendo. Il paese stava crescendo. Se da un lato il Male aveva vinto, spezzando quella cappa di piombo conformista che l’aveva a lungo soffocato, dall’altro il suo tempo era finito proprio perché il pubblico si era evoluto, e la realtà si stava incaricando di superare clamorosamente la fantasia. Quando nel 1978 le sue vignette avevano raccontato il giallo (mai risolto) della morte misteriosa di Giovanni Paolo I qualcuno aveva potuto scandalizzarsi. Nell’82, con il banchiere Calvi appeso al Ponte dei Frati Neri a Londra, tutti erano più smaliziati e nessuno si scandalizzava più.
Il Male avrebbe vantato numerosi tentativi di imitazione, come la Settimana Enigmistica. Il più famoso resta forse il Cuore dell’Unità, anche se le vette satiriche del periodico di Zac, Saviane e Vincino non sarebbero state più raggiunte. Il tentativo da parte di Vauro (ormai mostro sacro rappresentativo soltanto di se stesso) e dello stesso Vincino di ridare vita al vecchio periodico nel 2011 ebbe scarsa fortuna e vita breve.
Nel 1985 ancora il Vernacoliere di Livorno aveva strappato sonore risate accusando Paperino di essere il grande manovratore occulto del terrorismo. Da allora, a far ridere ci ha pensato spesso e volentieri la politica da sola, senza intermediazione satirica. Le prime pagine dei quotidiani italiani sono diventate più auto-ironiche di quei lontani e gloriosi falsi con cui il Male ci deliziò – ed educò – per una breve ma indimenticabile stagione. La realtà, come disse un giorno Adriano Sofri, ha nel frattempo superato di gran lunga la fantasia, ed allora è il momento di chiudere.
Addio Vincenzo Gallo, addio al Male. Addio a quell’Italia così insopportabilmente conformista che tuttavia sapeva ridere anche di se stessa, forse più di adesso. E i Michele Anzaldi dei giorni nostri erano ancora ben di là da venire.
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