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Martin Eden, per gli amici Jack London

John Griffith Chaney London (San Francisco, 12 gennaio 1876 – Glen Ellen, 22 novembre 1916)

Uscì a puntate su una rivista, Pacific Monthly, a partire dal settembre 1908, e come accadeva allora ai romanzi a puntate, ai feuilleton di successo, fu subito ripubblicato in volume unico. Il suo autore era diventato famoso da poco. Si chiamava John Griffith Chaney London. Jack per gli amici, ma non ne ebbe mai molti.

Martin Eden era la sua autobiografia, anche se all’epoca in cui fu dato alle stampe pochi erano in grado di saperlo, di capirlo, prevederlo.

Era nato a San Francisco nel 1876, all’epoca in cui la Gold Rush, la corsa all’oro si stava spostando dalla California all’Alaska, che gli Stati Uniti avevano da poco acquistato dalla Russia. La sua famiglia era povera, e la maggior parte della sua istruzione primaria gli fu fornita dalla strada e dai riformatori.

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Ma aveva una gran testa ed una altrettanto grande determinazione, Jack London, e in qualche modo, facendo mille mestieri, riuscì ad entrare alla Berkeley University e a farsi da sé, in perfetta sintonia con quel sogno americano per cui avrebbe provato amore-odio per tutta la vita.

A Berkeley incontrò le due filosofie che avrebbero caratterizzato la sua vita e la sua opera: il darvinismo sociale e l’evoluzionismo che stavano alla base di quel capitalismo che in America si stava affermando senza limiti né freni; ed il socialismo nella versione anglosassone che si batteva per l’emancipazione delle fasce più deboli della società a suon di marce su Washington e di programmi di intervento pubblico che un giorno sarebbero confluiti nel New Deal di Franklin Delano Roosevelt.

A Berkeley scoprì di avere talento per scrivere. Inizialmente inseguendo lo stile dei suoi autori prediletti, Robert Louis Stevenson e Rudyard Kipling, e presto trovando il proprio. Gli mancava soltanto un’esperienza di vita di quelle formative, che gli fornisse l’Argomento con la A maiuscola.

Christopher Connelly e Capucine in Martin Eden (RAI, 1979)

Christopher Connelly e Mimsy Farmer in Martin Eden (RAI, 1979)

Aveva 21 anni nel 1897, quando si rinfocolò la Febbre dell’Oro con il diffondersi della notizia della scoperta di nuovi giacimenti auriferi nel Klondike. Si trasferì a Dawson City, come tanti americani ed europei attratti dalla chimera di un facile arricchimento. Nell’anno in cui rimase tra i ghiacci e gli stenti delle estreme propaggini del Nuovo Mondo, gli accadde più o meno di tutto. Tutto ciò che si ritrova nei suoi romanzi. Quando tornò in California, aveva con sé poche pepite d’oro, ma la ricchezza che si riportava a casa era un’altra, e aspettava soltanto di essere scoperta e riversata sulla carta.

Nel 1903 pubblicò quello che si rivelò il suo primo grande successo e che resta a tutt’oggi probabilmente il suo capolavoro. Call of the wild (Il Richiamo della Foresta), era la storia che aspettava dentro di lui da sempre, in attesa del momento giusto per uscire fuori e conquistare i lettori di tutto il mondo. L’avventura del cane Buck, che ritorna lupo dopo aver attraversato mezza America e quasi l’intera cattiveria e stupidità umana, è paradigmatica della filosofia di Jack London, improntata alla lotta per la sopravvivenza. E nello stesso è avvincente come poche altre, perché raccontata con lo stile tipico e rarissimo del grande scrittore capace di affascinare sia il pubblico infantile ed adolescente che quello più adulto e maturo.

Billie Keith Hughes

Billie Keith Hughes

Da lì in poi, Jack London entrò nella storia della letteratura, sfornando un best seller dietro l’altro, mentre nel frattempo trovava il modo ed il tempo di imbarcarsi come corrispondente in Manciuria per la guerra russo-giapponese. Con Zanna Bianca (White Fang) bissò il successo di Buck, con il Tallone di ferro (The Iron Heel) aprì la via al genere fanta-politico che avrebbe trovato seguaci illustri per tutto il ventesimo secolo, a cominciare da George Orwell. La vicenda di Ernest Everhard, giovane socialista americano alle prese con l’ascesa dell’oligarchia economica dittatoriale, con il senno di poi prefigura sia l’avvento dei totalitarismi del secolo in cui fu scritta, sia, a ben guardare, possibili sviluppi in tal senso anche nel secolo in cui stiamo vivendo.

E poi fu appunto la volta di Martin Eden, il giovane marinaio che sogna un futuro da scrittore accettato nell’Alta Società, rappresentata in primis dalla bellissima Ruth che sogna di sposare e la cui famiglia è la prima a non accettarlo. Nella fatica di vivere e nelle vicissitudini di Martin ci sono rappresentate e raccontate quelle vissute realmente da Jack, che probabilmente avvertiva già dentro di se – malgrado il successo – il senso di sconfitta morale che avrebbe condotto il suo protagonista al suicidio finale.

Orso Maria Guerrini, L'avventura del grande nord, RAI 1974

Orso Maria Guerrini, L’avventura del grande nord, RAI 1974

Un suicidio che sulle prime si credette che lo scrittore avesse commesso realmente, allorché fu ritrovato morto il 22 novembre 1916, a soli 40 anni, nella sua residenza di Glen Ellen nella Sonoma County in California, il ranch dove aveva investito buona parte dei suoi guadagni, perdendoceli. Il certificato di morte parlò di overdose di antidolorifici. Nei suoi viaggi pare che London avesse contratto gravi malattie come lo scorbuto e la sifilide. Al momento della morte pare fosse dedito pesantemente all’alcoolismo, e facesse frequente ricorso alla morfina.

Lo scrittore che aveva pubblicato la sua autobiografia a puntate come tanti altri facevano con i loro racconti di fantasia resta nella storia della letteratura come uno dei più grandi narratori di sempre. Da Daniel De Foe a George Orwell fino ai grandi autori di fantascienza del ventesimo secolo c’é un trait d’union che passa per l’opera di Jack london.

Da Martin Eden fu tratto uno sceneggiato molto ben fatto trasmesso dalla RAI nel 1979 per la regia di Giacomo Battiato, con protagonisti attori come Christopher Connelly, Vittorio Mezzogiorno (entrambi prematuramente scomparsi, come Jack London), Capucine, Mimsy Farmer. La colonna sonora era questa splendida canzone composta e cantata da Billie Keith Hughes, anche lui prematuramente scomparso.

L’altro brano è tratto da un altro sceneggiato RAI degli anni 70. L’avventura del grande nord era basato sugli scritti di Jack London e raccontava la sua avventura nel Klondike. Lo scrittore era interpretato sullo schermo da Orso Maria Guerrini, che dà la voce anche a questa suggestiva I wanna go.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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