Napoleone. Personaggio che ha eccitato la fantasia di contemporanei e posteri come pochi altri, anche se non è stato gratificato da una adeguata produzione letteraria (se si eccettua la celebre poesia del Manzoni), romanzesca o cinematografica.
Soprattutto il cinema è in debito con Bonaparte. Dopo il leggendario Napolèon di Abel Gance, capolavoro del cinema muto, nessuno ha più saputo riportare efficacemente sulla scena il personaggio del piccolo grande generale diventato imperatore. Per non parlare dei comprimari della sua epoca. Ad Horatio Nelson, l’uomo che gli impedì di dominare anche sul mare, è dedicato un solo film memorabile, Il grande ammiraglio, 1941, di Alexander Korda. L’eroe di Trafalgar è interpretato da Laurence Olivier, il suo grande amore lady Emma Hamilton è Vivien Leigh, la Rossella di Via col vento.
Poi poco altro, film di maniera, assolutamente non memorabili. Rod Steiger e Renzo Palmer hanno dato il meglio di sé in altre circostanze, non nei panni di Napoleone.
Un po’ meglio è andata in campo letterario. Senza scomodare l’epopea di Guerra e Pace di Lev Tolstoj, che comunque rende giustizia alla Russia vincitrice (assieme al suo micidiale inverno) sulla Grande Armata francese più che al personaggio centrale della vicenda, per appassionarsi alla narrazione del tempo delle guerre napoleoniche abbiamo almeno tre autori ed altrettante serie.
La saga del capitano Hornblower il temerario, ambientata negli anni dopo Trafalgar e durante la guerra peninsulare iberica, rese famoso il suo autore Cecil Scott Forrester e contibuì alla fama anche di Gregory Peck, protagonista della riduzione cinematografica di Raoul Walsh nel 1951.
Bernard Conwell è famoso in patria e nel mondo per tutte le sue saghe avventurose che narrano la storia inglese fin dai tempi mitologici di re Artù, ma a fianco ad esse un posto non secondario lo occupa sicuramente quella di Richard Sharpe, giubba rossa agli ordini del duca di Wellington nella guerra contro Napoleone in Spagna e Portogallo. Da essa è stata finora ricavata soltanto una miniserie, che si avvale del carisma recitativo di Sean Bean come protagonista e della consueta accuratezza della TV inglese in sede di ricostruzione storica.
Ma è stato con Patrick O’Brian che parte del credito che l’età napoleonica ha con le arti narrative e rappresentative in genere ha cominciato ad essere saldato. Le avventure marinaresche di Jack Aubrey, Jack il Fortunato, impegnato nella lotta senza quartiere sui sette mari con la marina francese, hanno tenuto avvinti per tutta la durata della serie (da Primo comando, esordio del 1970, a L’ultimo viaggio di Jack Aubrey, pubblicato postumo nel 2004) non solo gli appassionati di storia ma anche quelli di navigazione a vela. A proposito della cui arte l’ex agente segreto e uomo dai mille mestieri O’Brian era in possesso di capacità descrittive senza pari.
Nel 2003, tre anni dopo la scomparsa dell’autore, il cinema si impadronì finalmente di quella storia, del suo protagonista e dell’età napoleonica che vi si respirava a pieni polmoni, affidando il tutto alle sapienti mani di Peter Weir – australiano che con quelle mani fatate aveva girato un capolavoro dietro l’altro: Picnic ad Hanging Rock, Gli anni spezzati (Gallipoli), Un anno vissuto pericolosamente, Witness-Il testimone, L’attimo fuggente, Green Card – Matrimonio di convenienza, The Truman Show. E anche in questo caso, capolavoro fu. Il suo film perfetto, se non addirittura il più bello.
Master e Commander deve tutto ad uno stato di grazia bilaterale, cioé vissuto da ambo i lati della macchina da presa: da un lato, come detto, il regista che omaggia da par suo la memoria ed il talento di Parick O’Brian, dall’altro il carisma recitativo di Russell Crowe, che dopo il Gladiatore ha consegnato alla storia del cinema un altro personaggio leggendario. Affiancato da un altrettanto efficace Paul Bettany nei panni del medico di bordo e voce narrante Stephen Maturin.
Voce narrante e partner suonante. Un grande film si chiude con una scena che vale da sola il prezzo del biglietto. I due ufficiali Aubrey e Maturin si ritrovano in quadrato alle prese con una nuova difficile impresa (magari possibile oggetto di un sequel che per una volta sarebbe ben accetto) e con lo scanzonato aplomb di una certa upper class britannica vi si dispongono duettando sulle note di Boccherini e della sua Musica notturna delle strade di Madrid, No. 6, Op.30.
Dopo Barry Lyndon, un altro geniale scorcio di un’epoca in cui perfino la guerra sembrava una nobile arte da raffinati gentiluomini.
Lascia un commento