Accadde Oggi Evidenza

Mata Hari

(Leeuwarden, 7 agosto 1876 – Vincennes, 15 ottobre 1917)

«Sono nata a Giava e vi ho vissuto per anni, sono entrata, a rischio della vita, nei templi segreti dell’India, ho assistito alle esibizioni delle danzatrici sacre davanti ai simulacri più esclusivi di Shiva, Viṣṇu e della dea Kālī, persino i sacerdoti fanatici che sorvegliano l’ara d’oro, sacra al più terribile degli dei, mi hanno creduto una bajadera del tempio. Conosco bene il Gange, Benares, ho sangue indù nelle vene»

Aveva costruito bene il suo personaggio Margaretha Geertruida Zelle, figlia di un agiato proprietario terriero di sangue assolutamente olandese. Ai giornalisti francesi assetati di particolari circa la vita privata di colei che negli ultimi scampoli di Belle Epoque si era imposta come la più celebre ed esotica ballerina del suo tempo, accostata a icone classiche come Lola Montez, la Bella Otero, Cléo de Mérode e Isadora Duncan, aveva avuto buon gioco a raccontare la propria vita romanzandola in una miscela in cui verità e menzogna avevano senz’altro un comune denominatore: il fascino irresistibile.

Con il marito, Rudolph McLeod

Con il marito, Rudolph McLeod

Margaretha vantava diversi crediti con una vita iniziata nel segno delle migliori promesse e poi complicatasi a seguito di batoste che avrebbero messo in ginocchio chiunque. Dell’agiatezza iniziale di famiglia all’altezza del 1890, lei appena quattordicenne, non rimaneva più niente. I suoi genitori, Adam Zelle e Antje van der Meulen, si separarono e scomparvero presto di scena, lasciando i figli (quattro in totale) alle prese con un lunario difficile da sbarcare.

Il patrigno di Margaretha aveva le migliori intenzioni circa la sua figliastra, ma non altrettanto il direttore della scuola privata che lei frequentava per diventare maestra d’asilo, e che la molestò sessualmente.

La discesa agli inferi dell’ex ragazza di buona famiglia proseguì con il matrimonio con un militare in convalescenza reduce dalle colonie olandesi d’Indonesia. Il capitano Rudolph Mcleod dovette sembrarle un buon partito, prima di rivelarsi un geloso maltrattatore ubriacone. A quel punto Margaretha era in Indonesia, prima a Sumatra e poi a Giava, seguendo la carriera del marito. Il suo destino mise in fila il primo passo verso il compimento il giorno che come moglie del governatore di Giava assisté ad una rappresentazione di danze tradizionali. Ne fu talmente affascinata ed entusiasta da volere a tutti i costi impadronirsi di quell’arte.

Nonah

Nonah

Tornata in Europa nel 1902, dopo la tragica morte (non si sa se provocata) del primo figlio e la sottrazione da parte del marito della figlia minore Jeanne Louise (che lei chiamava affettuosamente Nonah, in lingua malese: piccola), una Margaretha senza più né arte né parte si trovò per sbarcare il solito lunario costretta ad avventurarsi in una terra di nessuno le cui incerte coordinate erano il varietà, la prostituzione, il sottobosco mondano popolato da più o meno ricchi amanti a cui accompagnarsi, sia in patria che nella Parigi che viveva gli spiccioli del sogno di una eterna Belle Epoque.

Bruciando rapidamente le tappe di una carriera incredibile da ballerina esotica e da spogliarellista di gran lusso, nel 1905 Margaretha debuttò all’Olympia, la cattedrale del varieté nella città che il varieté l’aveva inventato. «La donna che è lei stessa danza», scrissero entusiasti i giornali. Margaretha ed i suoi balli giavanesi più o meno addomesticati ma di sicuro grandissimo effetto conquistarono in breve tempo Parigi e l’Europa. Era tempo per lei di dotarsi di un nome che stesse al passo con la sua leggenda. Il suo impresario, tale m.sieur Guimet, collezionista di cose preziose provenienti dall’oriente, rese omaggio al pezzo più pregiato della sua collezione indovinandone il nuovo nome di battesimo. Mata Hari, in lingua indonesiana l’Occhio dell’Alba.

MataHari210807-004Nessuno poteva allora immaginare che quel nome sarebbe diventato sinonimo di ben altro che la danza, e del raffinato e forse innato erotismo che faceva accorrere da tutta Europa i viveurs per assistere agli spogliarelli della ballerina venuta dall’oriente. Margaretha aveva il complesso del seno piccolo, e per tale motivo non concluse mai i suoi spettacoli togliendosi il reggiseno. Ma per il resto, concesse pressoché tutto di sé all’appagamento della fantasia di un bel mondo che non aveva chiesto di meglio che innamorarsi perdutamente di lei.

Per dieci anni, Mata Hari fu il nome più prestigioso sui cartelloni dei teatri parigini e delle principali capitali d’Europa. Finché un giorno, nella lontana Serbia contesa come di consueto da imperi inconsapevoli che l’orologio della storia scandiva le loro ultime ore, andò in scena uno spettacolo diverso. E la parola passò dalle Folies Bergère ai cannoni.

MataHari210807-005Mata Hari rimase presa in mezzo alle devastanti correnti profonde di un mondo improvvisamente impazzito, e pare proprio che la sua scelta di entrare nel gioco più pericoloso di quel mondo in guerra, lo spionaggio, fosse dettata come al solito dall’improvvisa mancanza di mezzi di sostentamento.

La bella ed esotica ballerina che rubava l’anima agli uomini diventò l’agente H21 dello spionaggio che rubava segreti militari per il Kaiser di Germania quasi per caso. A Berlino, dove si era ritrovata ad un certo punto senza bagagli, senza soldi e senza soprattutto più arte né parte, fu reclutata nientemeno che dalla più celebre delle spie tedesche di tutti i tempi: la mitica Fraulein Doktor, sulla reale identità della quale a tutt’oggi non esiste certezza (i documenti concernenti la sua identità pare fossero distrutti durante la battaglia di Berlino nel 1945).

Mata Hari portò il suo fascino indiscusso nel grande gioco, facendosi reclutare come amante di lusso da una parte e dall’altra, carpendo segreti a pezzi grossi francesi, tedeschi e loro alleati. Finché il controspionaggio francese, le Deuxième Bureau, capì il suo gioco e la reclutò per il doppio gioco, come usa nel mondo dei servizi segreti.

MataHari180807-001Avrebbe forse sbarcato anche quel lunario Mata Hari, perché tutto sommato i segreti da lei divulgati non sembra di poter dire che spostassero sostanzialmente alcuno degli equilibri delle forze in campo. A condannarla fu la sua avidità, conseguenza forse dei traumi adolescenziali di una ragazza che più volte si era trovata a passare dans l’espace d’un matin dal benessere all’indigenza. Le sue richieste economiche alle due centrali spionistiche di Berlino e Parigi divennero esorbitanti, in cambio di informazioni che lasciavano spesso il tempo che trovavano. Ad un certo punto, i tedeschi decisero di disfarsi di lei, e per una volta incontrarono il favore dei francesi, decisi a fare altrettanto.

Mata Hari divenne nota al mondo come spia internazionale la mattina del 13 febbraio 1917, allorché fu arrestata dalla Gendarmerie francese nella sua camera dell’albergo Elysée Palace di Parigi. Da quel momento, cessò di essere una leggenda del varietà e della danza esotica, per diventare una leggenda dello spionaggio. La più celebre spia di tutti i tempi.

Il processo intentatole confermò che la sua fama era più che altro dovuta ad una concezione romantica di quello che Rudyard Kipling aveva battezzato come il grande gioco. Confermò anche tuttavia che la Francia era in preda alla solita psicosi che da quasi cinquant’anni la vedeva soggiogata dal terrore di una nuova sconfitta con i prussiani. Gli uomini che le avevano concesso ogni potere sulle proprie anime d’improvviso scoprirono di avere paura di quel suo potere assoluto femminile.

MataHari210807-006Per l’Occhio dell’Alba non ci fu alcuna pietà. Condannata a morte in nome di quel popolo francese che aveva fatto la fila per assistere alle sue danze dei sette veli, Mata Hari visse la sua ultima alba il 15 ottobre 1917 nel cortile del carcere di Vincennes, mentre la legavano al palo per essere fucilata da un plotone di dodici soldati scelti tra i veterani dalle trincee della Grande Guerra. Si presentò elegantissima anche in quella circostanza, ed esercitò il suo fascino su tutti i presenti perfino negli ultimi istanti di vita. La direzione del carcere le aveva negato la possibilità di indirizzare un’ultima lettera alla figlia, l’ormai adolescente Nonah, ma le sue ultime volontà arrivarono lo stesso al cuore della nazione che l’aveva prima idolatrata e poi condannata.

MataHari210807-007Dei dodici tiratori veterani che componevano il plotone d’esecuzione, ben otto sbagliarono il colpo di proposito, tre la presero di striscio ed uno solo la colpì al cuore. Il colpo di grazia dell’ufficiale comandante del plotone si rivelò inutile. Inutile sarebbe stato anche lo spregio di gettare i suoi resti in una fossa comune, insieme agli altri detenuti del carcere. Ma Mata Hari ormai era un mito, e a nessuno sarebbe stato consentito di portare fiori sulla sua tomba.

Ironia della sorte: Il capitano francese Georges Ladoux, ufficiale controllore di Mata Hari nel Deuxième Bureau, venne arrestato quattro giorni dopo l’esecuzione di lei con la medesima accusa: spionaggio a favore della Germania. Prosciolto in un primo momento, venne nuovamente incarcerato e ci vollero quasi due anni prima che fosse prosciolto definitivamente e reintegrato nel grado, andando poi in pensione con quello di maggiore.

Se esiste anche un paradiso delle spie, è da quello che Mata Hari assisté tuttavia poco dopo all’ultima beffa intentatale da quel destino che le aveva promesso molto e poi mantenuto assai poco. Nonah Mc Leod, figlia di Margaretha Zelle e di Rudolph Mac Leod, alta e slanciata e di carnagione scura, molto somigliante alla madre anche nel carattere, rimasta a vivere con il padre, morì improvvisamente alla vigilia di partire a sua volta per l’Indonesia, il10 agosto 1919. Aveva ventuno anni. A quel punto l’occhio della madre si era chiuso per sempre.

MataHari210807-008

«Il più grande crimine che ho commesso è stato quello di essere una donna indipendente ed emancipata in un mondo dominato dagli uomini»

 

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

Lascia un commento