Va in scena Matteo Vs. Matteo, e l’Italia riscopre i dibattiti televisivi. L’ultima volta, se non andiamo errati, erano sempre stati loro due i protagonisti, Salvini e Renzi, si parla di qualcosa come dieci anni fa. In America li fanno da una vita questi confronti televisivi, il primo storico fu quello tra Kennedy e Nixon per le presidenziali del 1960. Da allora per loro son diventati quasi programmi di intrattenimento, mentre noi caschiamo sempre dal pero, entusiasmandoci per roba che dalle nostre parti arriva sessant’anni dopo, quando già magari altrove se ne sono stancati.
Certo, sempre meglio delle piattaforme Rousseau e della democrazia cybernetica made in Casaleggio. Qui i due leader se le possono dare di santa ragione (o almeno dare questa impressione, un po’ come succede nel wrestling), e le rispettive tifoserie entusiasmarsi per ogni colpo messo a segno, proibito o meno che sia.
Personalmente, crediamo che questi show lascino il tempo che trovino. I candidati escono dallo studio con gli stessi consensi che avevano – o non avevano – prima di entrarvi. Non a caso il Matteo della Lega ha buon gioco a chiudere i conti con quello del PD – pardon, di Italia Viva – con l’unica frase che non ammette repliche, l’unico dato di fatto che perfino in una democrazia da operetta come la nostra non è controvertibile: «Ma se io ho il 33% e tu il 3, ci sarà un motivo?»
Certo che c’é. La gente la sua idea se l’é fatta da tempo. Li ha provati tutti e due sul pezzo, tra l’altro. Uno riempie le piazze dovunque va, l’altro i social network di insulti ogni volta che appare. Ne sappiamo quanto prima, ma ne sapevamo già quanto basta. La serata si chiude in positivo soltanto per Bruno Vespa, che conferma di essere giornalista di razza e mette a segno l’ennesimo scoop.
Mentre va in scena Porta a porta, a Palazzo Chigi va in scena la Finanziaria. Ed è lo spot migliore che Salvini potesse commissionare, oltretutto a costo zero (per la Lega, non per gli italiani). Dicono più a proposito di chi vincerà le prossime elezioni (se mai si terranno) gli escamotages della banda bis-Conte che qualsiasi dichiarazione dell’ex Ministro dell’Interno.
Stamattina, anche la stampa amica (del governo) fatica a nascondere le perplessità circa le fanfaronate di Giuseppi, che il Matteo della Lega ha sfidato a partecipare al prossimo confronto televisivo all’americana ma che intanto deve confrontarsi con l’opinione pubblica. Commenti positivi sugli obbiettivi a suo dire tutti centrati stamattina se ne leggono veramente pochi, a parte quelli di Di Maio che si sente di aver sconfitto l’ennesimo stato esistenziale dell’umanità.
Saranno contenti a Bruxelles delle furbate monetarie digitali, della rivalutazione millesimale delle pensioni e degli investimenti verdi del governo del professore. Dall’Alto Adige (pardon, dal Sud Tirol) in giù, la gente italica non pare esserlo altrettanto.
Ieri mattina, mentre Conte faceva manovra per mettere a punto le sue manovre e si preparava a fare nottata come uno scolaretto la sera della Befana, l’Istat ha pubblicato uno studio secondo cui il 12, 1% del PIL di questo paese è sommerso, o addirittura proveniente da attività illegali. Si parla di 192 miliardi di euro al nero.
Ma francamente, a leggere gli interventi di cabotaggio di questa finanziaria di cosa si parla non lo si sa più. Se bis-Conte vuole davvero lottare contro l’evasione come Elliot Ness fece con Al Capone, avrà un bel da fare. E, aggiungiamo, avrà da farlo in molti dei collegi elettorali a cui attingono le forze che attualmente lo sostengono. Di Joker, da quelle parti, ce ne sono diversi, e molto più seri ed inquietanti di quello apparso sul maxi schermo napoletano domenica scorsa.
Nel frattempo, la Lega e FdI crescono, e non hanno ancora speso un euro di campagna elettorale. Tutta gentilmente offerta da PD e 5 Stelle. Gli italiani aspettano di poter ringraziare.
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