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Matteotti ucciso due volte

In questo frangente di rinnovato fervore repubblicano e democratico, fa decisamente effetto la mancata rievocazione di uno degli eventi più importanti della nostra storia contemporanea. Passato decisamente sotto silenzio, se non per pochi discorsi di circostanza con cui è trascorsa la mattinata alla Camera dei Deputati e nell’aula comunale romana del Campidoglio. Roba da addetti ai lavori, nel fragore di un silenzio generale delle istituzioni e del paese che fa particolarmente vergogna perché alla memoria di che trattasi (o in questo caso non trattasi) dovrebbe essere invece dedicata questa nazione intera ed il regime repubblicano che non è sempre stato dato in essa per scontato. Anzi.

Il 10 giugno 1924 la polizia segreta di Benito Mussolini e del fascismo che stava conquistando il potere assoluto sequestrava e uccideva un giovane deputato socialista di nome Giacomo Matteotti, l’unico che si era alzato alla Camera a denunciare i brogli nelle recenti elezioni a vantaggio dei fascisti, nonché quelli che secondo le annunciate inchieste del deputato sarebbero accaduti di lì a poco.

La storia di Matteotti e del paese che per riconquistare la libertà anche in suo nome avrebbe dovuto aspettare vent’anni ed una sanguinosa guerra civile è raccontata in altra parte del giornale. Qui preme sottolineare la mancata celebrazione di una ricorrenza – addirittura un centenario – che avrebbe dovuto essere automatica nel nostro calendario politico e civile e che invece è stata – come detto – relegata agli atti di qualche sonnacchiosa aula parlamentare e comunale. Non ce ne vogliano Giuliano Vassalli e Valdo Spini, ma piuttosto che le loro noiose rievocazioni per pochi addetti ai lavori ci saremmo aspettati ben altri discorsi. A cominciare da quel Mattarella che ormai non perde occasione per aprire bocca su tutto (absit iniuria verbis, ma….. era questo il potere presidenziale di esternazione previsto dalla nostra Costituzione, di cui tutti in questi giorni si riempiono la bocca?) e che questa volta è rimasto – a parere di chi scrive – vergognosamente in silenzio. Seguito da tutti i rappresentanti istituzionali a tutti i livelli, anche il più infimo.

Se questo paese nel 1945 ha potuto indossare nuovamente una veste pulita e ripresentarsi al mondo a cui aveva fatto una ignobile guerra lo deve principalmente a uomini come Giacomo Matteotti. Dovrebbe essere un nume tutelare della nostra patria, a questo punto, e invece è una delle figure relegate ad un silenzio rotto soltanto da qualche citazione di circostanza. Qualche tema a scuola, qualche piazza intitolata, e poi fine.

Si era dato a proposito per certo, nel toto esame di maturità, che il coraggioso deputato del Polesine avrebbe meritato almeno una traccia tra quelle destinate ad essere svolte nella prima prova scritta. Macché, non ce ne voglia in questo caso chi venera la memoria della sig.ra Montalcini o segue il prof. Galasso nelle sue considerazioni esistenziali sulla bomba atomica. In occasione del centenario del martirio di Giacomo Matteotti, impegnare i nostri ragazzi maturandi a riflettere su una simile figura e sulla sua importanza nella nostra società ancor oggi assai faticosamente democratica sarebbe stato più che un atto dovuto, sarebbe stato un battesimo di civiltà e di libertà per quei nostri ragazzi stessi. E invece, silenzio.

Come spiegare questo silenzio distratto? Matteotti non è l’unico nell’epoca moderna a subire un simile trattamento, basti pensare a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sempre più distanti dalle prime pagine. Ma se possibile, questo centenario silenzio su Matteotti è ancora più grave. Perché è un silenzio su chi ha consentito a questo nostro sciagurato paese di ripresentarsi con la camicia e la faccia pulita alla comunità internazionale nel dopoguerra. Quando, come sottolineò De Gasperi, tutto ci era contro fuorché la personale cortesia di pochi.

«Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai», è una frase che Matteotti ha consegnato al nostro futuro, per le mani dei magistrati coraggiosi e di tutti coloro – pochi – che hanno reso l’Italia un posto degno dove vivere. Matteotti ha battezzato l’Italia. Non meritava questo oltraggio, essere ucciso una seconda volta, forse peggiore della prima.

Forse è colpa della nostra indole, siamo una massa di cialtroni, dal Primo Cittadino all’ultimo. Quasi non sappiamo nemmeno perché siamo al mondo, in questa parte di mondo.

O forse c’é anche in questo caso un po’ di italico fastidio nei confronti di chi è più virtuoso, onesto, coraggioso, capace di noi. Quella di Giacomo Matteotti è una delle figure che mettono in difficoltà e soggezione i tanti mediocri di cui si compone la nostra comunità nazionale. Qualcuno verso cui provare invidia e voglia nello stesso tempo di gettare l’oblio per non provare più quel disagio.

Brutto, bruttissimo questo centenario mancato. Non vorremmo che la sua spiegazione fosse da ritrovare in uno dei tanti aforismi di Indro Montanelli, testimone di quelli e di altri tempi: «In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire. Lo diceva Mussolini: “Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori”?»

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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