E finalmente, la gente che entrava nei cinema o nei negozi di musica prese a tenere a mente il suo nome così come quelli dei grandi interpreti delle storie che la sua poesia o le immagini che accompagnava raccontavano.
«Lessi il libro quando avevo 18 anni e la prima cosa che pensai fu: “Non vedo l’ora che ne traggano un film”. Ho atteso questo momento per 20 anni.». Peter Jackson, regista neozelandese fino a quel momento anch’egli conosciuto soltanto dagli addetti ai lavori, stava portando a termine un’impresa leggendaria: tradurre il poema epico per eccellenza dei tempi moderni, il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, in un kolossal cinematografico alla sua altezza.
In attesa dell’uscita del primo film della trilogia, La Compagnia dell’Anello, c’era tutta l’aspettativa possibile e immaginabile, che pervadeva generazioni che avevano lasciato briglia sciolta alla propria fantasia sulle pagine di Tolkien e che adesso non vedevano l’ora di scoprire se la fantasia di Jackson corrispondeva alla loro. Al Mito.
C’era tutta l’aspettativa possibile e immaginabile per vedere come se la sarebbero cavata Viggo Mortensen, Liv Tyler, Ian McKellen, Orlando Bloom, Christopher Lee, Cate Blanchett e tutto il resto del cast stellare reclutato dalla casa di produzione, la New Line Cinema per interpretare personaggi che ognuno portava scolpiti in testa e nel cuore al pari di quelli dell’Iliade, dell’Odissea, delle Saghe Arturiane.
C’era tutta l’aspettativa possibile e immaginabile per vedere come se la sarebbe cavata lei, Enya, l’ultima fata canterina di un mondo ormai scomparso e che stava tornando alla vita nella lontana Nuova Zelanda, la terra dove i discendenti dei Celti avevano un tempo migrato e dove la natura stessa sembrava essersi fermata ad uno stadio simile a quello dei tempi di re Artu, o del re Aragorn che era stato un ramingo e che adesso ritornava a sconfiggere l’Oscuro Signore, a distruggere il potere dell’Anello ed a reclamare il suo trono.
Enya non tradì le aspettative, come del resto nessuno degli eroi portati laggiù da Peter Jackson. La sua May it be, che chiude il primo capitolo della saga dell’Anello, è forse il suo capolavoro. Epica e struggente nel cantare la fine della Terza Era della Terra di Mezzo così come aveva saputo – involontariamente – cantare il crollo delle Torri Gemelle. C’erano Due Torri nel destino di Eithne Pádraigín Ní Bhraonáin (in inglese Enya Patricia Brennan). E il suo destino alla fine si era compiuto.
A sentirla cantare, viene ogni volta da pensare che al momento di lasciare i Rifugi Oscuri per Valinor, il paradiso della Terra di Mezzo, Dama Galadriel e gli Elfi abbiano condotto con sé anche lei, insieme al Portatore dell’Anello Frodo Baggins e a Gandalf il Bianco. Chiudendosi alle spalle un’epoca di magia irripetibile.
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