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Morire per la Polonia?

Cade un missile sul confine ucraino-polacco. Due cittadini polacchi morti. Il mondo mai così vicino alla terza mondiale dalla crisi di Cuba del 1962 o da quella del jet coreano del 1983.

Per i mass media nostrani, a botta calda, non ci sono dubbi: è un missile russo, Putin sta una volta di più forzando la mano, scherzando pericolosamente con la NATO e mandando un messaggio pesantissimo ai grandi della Terra riuniti a Bali nel G20.

Poi accade l’incredibile. E’ Jo Biden, il presidente americano, che in uno sprazzo di lucidità si affretta a smentire ciò che dovrebbe fargli gioco, a detta di analisti e commentatori di parte. Non è un missile russo. E’ ucraino.

A quel punto analisti e commentatori devono mettersi ad analizzare sul serio. Si riflette prima di parlare, contrariamente al solito, anche perché stavolta la posta in gioco è molto più alta dell’Ucraina: è il mondo intero. E il padrone stavolta non si aspetta che tu leghi l’asino da nessuna parte.

Se tu sei Putin, stai vincendo in Ucraina a mani abbastanza basse e stai tenendo in scacco quella NATO che voleva venire a piazzarti le sue testate nucleari sulla soglia di casa, comprometti tutto sfidandola apertamente (e sanguinosamente) provocandone l’intervento militare diretto?

Se la Polonia invoca l’art. 5 del trattato NATO (l’intervento degli alleati in caso di aggressione), è un bel casino. Come fai tu Occidente a dirle di no? A quel punto si spera solo che qualcuno sappia distinguere tra armi convenzionali ed armi nucleari, altrimenti il trattato di pace lo sigleranno un giorno scimmie simili a quelle del film di Charlton Heston del 1968.

Per fortuna, e non per caso, la Polonia non invoca nulla (sarebbe stata la seconda guerra mondiale di fila combattuta per intervenire in suo aiuto, dopo quella del 1939), pur incassando il sostegno del G20. Lo stesso sostegno lo incassa però l’ineffabile Ucraina, che pure molti col passare delle ore individuano come la probabile autrice di un gesto che aveva per fine proprio l’intervento NATO, ed il rimescolio di carte altrimenti già disposte chiaramente sul tavolo di gioco.

La partita in corso è, grazie a Dio, giocata da superpotenze spregiudicate quanto si vuole, ma a loro modo responsabili. In gioco ci sono i nuovi confini di un nuovo mondo diviso in due blocchi, trent’anni dopo la caduta del muro che divideva i precedenti. Nessuno vuole spingere il pulsante rosso nelle rispettive valigette, ma tutti vogliono massimizzare la rendita della propria posizione una volta seduti a quello che sarà, prima o poi, il tavolo della pace. Parafrasando Mussolini, avere il maggior numero possibile di morti e di rovinati da gettarvi sopra.

Continuiamo ad ascoltare, da mattina a sera, giornali e telegiornali che raccontano sciocchezze. Finché lo facevano a proposito del Covid, poco male (si fa per dire). Prima o poi sapevamo che saremmo usciti di nuovo di casa. Quando giocano con la prossima guerra nucleare, sono meno accettabili. La favola che raccontano potrebbe non essere a lieto fine.

Continuiamo a propagandare il fatto che l’unico cattivo sulla scena è Putin, che Zelensky è una vittima, e che l’Ucraina che aveva messo in conto ieri di spingere un po’ più avanti il mondo sulla strada dell’Armageddon merita il nostro sostegno. Noi invece ci meritiamo il pagamento dell’approvvigionamento del gas tre o quattro volte tanto quello che potrebbe e dovrebbe essere.

Ci si fa del male in tanti modi. L’Occidente come sempre li conosce tutti.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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