Giuseppe Conte annuncia le sue perplessità sulla TAV Torino-Lione così come è stata concepita e realizzata fino a questo momento (perplessità che traggono fondamento dalla analisi costi-benefici consegnata dal team Ponti al Ministero per le Infrastrutture e Trasporti) e dichiara di volerne investire il partner francese e la stessa Unione Europea che del progetto complessivo è il nume tutelare. Il progetto va rivisto, l’Italia spende troppo sul versante dei costi, quanto ai benefici è tutto da discutere, e non soltanto per il ministro pentastellato Toninelli.
I giornali, i media in generale, parlano di governo mai così sull’orlo della crisi. Sai che novità. I giornali, i media in generale, l’hanno fatto tutti i giorni, nei nove mesi trascorsi da quando il presidente Mattarella, obtorto collo quam magis semper (più che mai), conferì l’incarico di governo a questo professore di diritto dell’Ateneo fiorentino che fino ad allora conoscevano solo gli addetti ai lavori, ma che da allora si è imposto all’attenzione non solo nazionale come grande mediatore tra componenti dell’esecutivo che fino a poco prima – diciamo così – avevano poca dimestichezza l’un con l’altra. Nonché tra componenti di una Comunità Europea fino a quel momento concepita come una congrega di bulletti prepotenti.
I suoi luogotenenti governativi Salvini e Di Maio hanno proceduto spesso, da allora, più d’amore e d’accordo di quanto ai giornali, ai media in generale, sia piaciuto raccontare, essendo buona parte di essi simpatizzanti dell’altra parte, quella che si vedrà la legislatura dal divano dell’opposizione. E quando il disaccordo c’é stato, ecco il premier Conte pronto a mediare con una capacità che lo propone come uno dei più abili uomini di governo, se non addirittura statisti, che abbiamo avuto nella nostra storia.
Le crisi, vere o presunte, sono sfilate via ad una ad una, senza lasciare segni se non quelli dell’inchiostro sulla carta di quei giornali di cui si diceva sopra. Tutte fino all’ultima, quella della Diciotti che nelle intenzioni di qualcuno doveva costare il posto al ministro Salvini (e anche la libertà personale) e il governo a Giuseppe Conte, alla Lega e ai Cinque Stelle, riaprendo i giochi per l’agonizzante Partito Democratico.
Sulla TAV stavolta volano parole grosse. «Siamo in due ad avere la testa dura, vediamo chi ce l’ha più dura», s’ode a destra lo squillo di tromba di Salvini. «Il ministro Salvini minaccia la crisi di governo? Irresponsabile!», da sinistra risponde lo squillo di Di Maio (la citazione del Giuramento di Pontida è d’obbligo). Mai i due ragazzi irresistibili del governo gialloverde si erano mostrati in pubblico così distanti, figurarsi così astiosi l’un con l’altro. Lo stesso Conte pare avere un tono di voce più stanco del solito quando annuncia l’intenzione di passare la palla al tavolo internazionale, per trovare una soluzione che il tavolo di Palazzo Chigi, il Consiglio dei Ministri, non sembra in grado di trovare.
E’ vera crisi? Da domenica i giornali, i media in generale, parlano di un PD rinato, in rimonta, un raggio di speranza per un paese che non ne ha più, e che per dirla con il vecchio sceneggiatore Camilleri si stava preparando per una nuova marea nera fascista. In questa narrazione un governo in rotta come le truppe di Cadorna a Caporetto si inserisce in questa narrazione a pennello.
Ci permettiamo, come al solito, di suggerire quella lettura tra le righe che la politica, sotto qualunque cielo e qualunque repubblica (la prima, la seconda o la terza) impone. A maggio ci sono elezioni che improvvisamente sono diventate un nuovo bivio storico, almeno per un paio di attori della commedia suddetta.
Se la Lega pare prepararsi a contare l’incremento di voti con il pallottoliere (e ce ne vorranno diversi, se i sondaggi – quelli reali, non quelli commissionati dai giornali, dai media in generale – dicono il vero), Cinque Stelle in calo e PD in virtuale rimonta si preparano ad un testa a testa, o quantomeno a rimettere in discussione le sentenze del 4 marzo 2018, che parevano passate in giudicato.
La Tav è una questione di bandiera, su cui si ricompatta o meno il proprio elettorato e si aumentano o si diminuiscono i consensi in prospettiva. Alla base leghista Salvini non può andare a dire che la TAV non si fa, con buona pace del professor Ponti e di tutte le perplessità del premier Conte (di estrazione politica pentastellata), e dei colleghi Di Maio e Toninelli. Allo stesso modo, alla base grillina non può dire il contrario Di Maio, già alle prese con alcuni sofferti cambiamenti da apportare al Movimento che deve diventare Partito, per non parlare delle correnti sotterranee ribelliste che invece vorrebbero riportare il Movimento al Blog di Grillo e poco più.
In medio stat PD, che è interessato al business della TAV che lui stesso ha messo in piedi e nello stesso tempo a fare le scarpe ai Cinque Stelle vendicando il 4 marzo 2018 come se fosse un’ode manzoniana, senza aver realmente riflettuto sulle ragioni di esso e senza riflettere soprattutto che il ceffone che eventualmente restituisse ai grillini lo prenderebbe assai più forte dai leghisti (poi chi glielo va a dire al vecchio antifascista Camilleri?).
Come se ne esce e come va a finire? Semplice, i due ragazzi irresistibili e ultimamente comprensibilmente anche un po’ stressati smorzano un po’ i toni, e lasciano fare a Conte che ha già trovato la soluzione a tutto, mentre loro ripetono slogan più innocui di quanto sembri, che servono solo a tranquillizzare i rispettivi iscritti ed elettori. Unione Europea e persino Francia hanno già fatto sapere di essere disposte a ridiscutere il carico economico che grava sull’Italia. I tempi sono cambiati, i Quisling (*) di sinistra che avevano firmato gli accordi penalizzanti per il nostro paese sono all’opposizione oppure per la strada a fare marce antifasciste dove si dibattono pubblicamente tra l’altro questioni importanti come: meglio frocio, fascista o interista?
La TAV va fatta, ormai le popolazioni della Val di Susa il torto l’hanno subito, trattate appena un po’ meglio – ma non troppo – degli Indiani d’America che dovettero sgombrare di fronte al Cavallo di Ferro di Union e Central Pacific. Il progetto è di quelli che determinano il progresso, nel bene e nel male, e che storicamente non si possono fermare. Conte ha dimostrato che quando parte per risolvere una cosa, non torna mai a casa a mani vuote. Ci sarà soddisfazione per tutti, poi arriveranno le benedette elezioni europee. Dopodiché ognuno potrà andare in pace.
Oppure continuare a fare il bene che ha fatto negli ultimi mesi. Ogni riferimento al partito Democratico è assolutamente assente.
(*) Vidkun Quisling era il capo del governo fantoccio instaurato dai nazisti in Norvegia dopo la loro occupazione di quel paese nella primavera del 1940
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