Calcio

Nazionale e Mancini anno zero

Sono le ore 21 del 14 maggio 2018 quando Roberto Fabbricini, dall’inizio di quest’anno commissario straordinario della Federazione Italiana Gioco Calcio, dà l’annuncio che tutti ormai attendono: Roberto Mancini è il nuovo commissario tecnico della Nazionale italiana. Che non parteciperà ai prossimi mondiali di Russia, ma che almeno adesso sa da dove e come ripartirà il suo anno zero.

Trattativa senza grossi ostacoli. Rescisso il contratto con lo Zenit San Pietroburgo, il tecnico di Jesi ha troppa voglia e ambizione di legare il proprio nome alla rinascita della Nazionale azzurra, in parallelo a quella della Federazione di cancellare prima possibile l’onta della mancata partecipazione alla kermesse planetaria per la seconda volta nella sua storia.

Mancini lascia la Russia nel momento in cui le più forti squadre del mondo si apprestano a sbarcarvi, per disputarsi la Coppa che l’Italia ha vinto quattro volte e che stavolta vedrà passare di mano in televisione. Dichiarazioni di rito, parole come emozione e aspirazione che sembrano scontate, tutte meno queste: «voglio riportare l’Italia sul tetto del mondo». Per la F.I.G.C. un commento su tutti: «la scelta è stata determinata dal fatto che tutti i fattori che ritenevamo necessari si assommano nel nome di Roberto Mancini».

E andiamo, e che Dio ce la mandi buona, perché il calcio italiano non è mai sembrato così in crisi come adesso. Ha un bel dire il neo – CT che «la cosa più bella della Nazionale è che non bisogna andare a comprare giocatori in giro. Anche in momenti difficili in Italia si possono trovare giocatori di qualità». Se così fosse, perfino un tecnico scarso come Giampiero Ventura sarebbe riuscito a far salire gli azzurri sull’aereo per Mosca, invece di veder finire il proprio ritratto accanto a quelli di Napoleone e Hitler nella galleria dei reduci scornati dalle campagne di Russia.

Non è così, tanto che Mancini non fa mistero di voler rispolverare perfino l’Innominato. Che adesso si può tornare a nominare: Mario Balotelli. Del resto, la patria tornerà presto a chiamare gli azzurri alle armi, dopo il mondiale, e non c’é tempo per troppi esperimenti, come quelli che portarono in Nazionale un giovanissimo numero 10 della Sampdoria nel 1984, con la prima convocazione di Mancini da parte di Enzo Bearzot.

A settembre, una Federazione internazionale ormai in preda al delirium tremens ed attenta solo alle esigenze televisive (o presunte tali) ha stabilito l’avvio della Nation’s Cup, una trovata che andrebbe ad innestarsi sul prossimo campionato europeo come l’attinia sul paguro. Europeo che tra l’altro diventerà un torneo itinerante, con eliminatorie e fasi finali giocate un po’ in tutte le capitali continentali. La Nation’s dovrebbe diventare una specie di World Cup come nel Volley, e dispensare quattro dei sedici posti che danno diritto a giocare la fase finale dell’Europeo. Se non ci avete capito niente, tranquilli. La stessa cosa vale per gli stessi che l’hanno pensata.

E’ un predestinato o semplicemente un uomo fortunato Roberto Mancini? Ai posteri l’ardua sentenza. In ogni caso l’Italia pallonara avrà bisogno di entrambe queste sue caratteristiche. Aveva nemmeno vent’anni il fantasista di Jesi esploso nel Bologna l’anno che la Fiorentina si giocò lo scudetto con la Juventus fino all’ultima giornata, prima che gli azzurri trionfassero al mundial spagnolo, quando Paolo Mantovani lo prese per dare inizio al ciclo di quella Sampdoria dei campioni che vinse uno scudetto, ne sfiorò altri e si ritrovò a perdere una Champion’s dal Barcellona soltanto nei minuti finali di una partita arbitrata non in modo impeccabile. Finito il ciclo di quella Samp, ecco la Lazio di Cragnotti, un altro scudetto ed altre coppe europee. E sempre con in mezzo quel fantasista che incantava le tifoserie segnando poco ma facendo segnare tanto i compagni. Non sfondava mai in Nazionale Mancini, ma del resto combatteva contro altre maglie numero 10 che si chiamavano Roberto Baggio e Gianfranco Zola.

Aveva smesso da un anno con il calcio giocato, quando la Fiorentina di Cecchi Gori andò in crisi e l’allenatore Fatih Terim abbandonò una barca che cominciava a fare acqua. Serviva un allenatore ambizioso e di poche pretese, e al club manager Mario Sconcerti venne in mente lui, che era iscritto a Coverciano ma non aveva ancora il patentino. La deroga della Federcalcio fece epoca e spaccò come di consueto l’Italia, in questo caso pallonara, in due. Mancini si sedette sulla panchina viola, vinse una Coppa Italia e poi venne travolto dall’ultima drammatica stagione di Cecchi Gori. A gennaio era arrivato, a gennaio fu invitato ad andarsene, dagli stessi tifosi. Due anni sulla panchina della Lazio e un’altra Coppa Italia, poi i quattro anni all’Inter rimasta sola nel deserto di Calciopoli, quattro scudetti e nessun trionfo internazionale, per cui alla fine ecco il benservito di Moratti che ripiegò sul più affermato Mourinho.

Quattro anni al Manchester City, la priva volta con Balotelli in squadra, vittoria in Premier League e in Supercoppa inglese. Un anno al Galatasaray, con secondo posto finale. Ritorno all’Inter per due anni, con l’illusione del titolo d’inverno nel gennaio 2016 e la rimonta juventina nel girone di ritorno. Un anno di stop, e poi lo Zenit, è storia di pochi giorni fa. Quinto posto nel campionato russo, e rescissione del contratto non appena gli arriva la chiamata da Coverciano. Dove rimette piede finalmente quarant’anni dopo la prima volta, da ragazzino dell’Under 14.

 

Alla maglia azzurra il giovane predestinato (o semplicemente fortunato) non può resistere. L’ambizione di essere il generale Diaz e di portare l’Italia a Vittorio Veneto dopo la Caporetto di Ventura è troppo intensa e troppo allettante.

Ed è condivisa da un intero paese, costretto tra un mese alla televisione a guardare giocare gli altri. Auguri Roberto Mancini. E auguri all’Italia, che ne ha gran bisogno.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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