«Onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare». Matteo Renzi il 19 febbraio 2019? No, Aldo Moro il 7 marzo 1977.
Chissà se l’ex segretario del PD ed ex presidente del consiglio è cosciente della citazione illustre che ha fatto sul post Facebook con cui ieri sera dava conto dell’arresto dei suoi genitori da parte della Procura della Repubblica di Firenze per bancarotta fraudolenta e false fatturazioni? Conoscendolo, c’é da immaginare di sì. Ci ha solo aggiunto il web, che ai tempi di Moro non c’era, il termine indicava solo in lingua inglese la tela deposta dai ragni sui muri e sugli stipiti di casa.
Aldo Moro, volente o nolente, è per Matteo Renzi un padre nobile di tutto quello che ha fatto nella sua ormai prevedibilmente breve ma intensa carriera politica. Il Partito Democratico di Renzi era arrivato ormai ad azzerare quasi completamente la sua componente post-comunista, privilegiando fino alle estreme conseguenze quella post-democristiana. Il boy scout di Rignano sull’Arno sognava un’Italia che strizzava l’occhio al mondo cattolico, clericale, e soprattutto lo strizzava alle sue filiazioni bancarie ed affaristiche nella società civile. E’ questa l’Italia che lui voleva cambiare (e per poco non c’é riuscito), è questo a suo dire che gli ha scatenato addosso la tempesta di fango.
Moro per Renzi è un padre nobile, e insieme un corso e ricorso storico calzante. Lo statista di Maglie in quella fine inverno del 1977 era un uomo alle prese con problemi politici e giudiziari. Un paese che ormai aspettava, chiedeva quasi il compromesso storico a chiusura degli anni di piombo lo spingeva a ritentare la sorte con un nuovo centro-sinistra più azzardato di quello di quindici anni prima (stavolta in ballo c’era il P.C.I., non il P.S.I., e le compatibilità con la NATO erano tese allo spasimo), mentre le indagini sugli scandali e le corruzioni di allora (era in pieno svolgimento la polemica sullo scandalo Lockeed, e Moro era stato a lungo indiziato di essere la famigerata Antelope Cobbler, la centrale di smistamento di tutte le tangenti americane) scuotevano dalle fondamenta il sistema della Prima Repubblica.
Ai parlamentari delle opposizioni che gli minacciavano una giustizia a loro dire superiore, quella delle piazze sempre più in rivolta, Moro rispose con quel «non ci faremo processare nelle piazze» che è passato alla storia e che ha dettato comportamenti analoghi ai suoi tanti veri o presunti eredi. Inutile ricordare che si rivelò per lui previsione tragicamente vana. Un anno dopo Moro finì in quella prigione del popolo dentro la quale avrebbe finito per rimpiangere quei processi di piazza che aveva orgogliosamente rigettato in Parlamento, a nome proprio e del partito che governava l’Italia da più di 30 anni.
Auguriamo ovviamente a Matteo Renzi un destino del tutto diverso, umanamente parlando, e ci associamo nella presente circostanza familiare a quel coro unanime che si è levato fortunatamente stavolta da tutte le forze politiche: «non c’é niente di cui gioire, evitiamo i commenti». Stavolta, aggiungiamo, la magistratura faccia il proprio dovere, e lo faccia bene. Nel paese c’é già chi parla del suo ennesimo intervento ad orologeria, che indaghi stavolta presto e con imparziale efficienza.
A Renzi ed al PD rivolgiamo soltanto una considerazione. Erano pronti a mandare alla forca Salvini per aver fatto quello che non avevano fatto loro: l’interesse nazionale, bloccando lo sbarco nel porto di Catania a clandestini senza diritto di accesso al nostro paese.
Adesso il fango segue un’onda di riflusso. Vuoi perché anche il terzo potere dello Stato è fatto di uomini, e gli uomini annusano sempre l’aria ed i cambiamenti di clima. Vuoi perché forse (il forse è giuridicamente d’obbligo, ad indagini aperte) la famiglia Renzi qualche motivo per subire la presente umiliazione (così la definisce il figlio ex segretario ed ex presidente del consiglio) qualche motivo può darsi che l’abbia offerto.
Se poi, come dice un altro sedicente perseguitato giudiziario Silvio Berlusconi, è giunto il momento di porre mano alla riforma della giustizia, gli archivi di questo giornale testimoniano che non possiamo che essere d’accordo.
Lascia un commento