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Non è la nostra Nazionale

Grasso, Boldrini, Scalfarotto, Soros, Zingaretti, Von der Leyen, Gentiloni, Renzi, Rackete, Saviano, Fratoianni. In panchina Conte (Giuseppe).

Voglia di scherzare? Per niente. E’ la formazione che domani sera lo speaker dell’Olimpico di Roma potrebbe benissimo annunciare prima di Italia – Grecia, valevole per la qualificazione ai Campionati Europei di calcio. Che potrebbero anche essere gli ultimi, perché di questo passo non ci sarebbe da meravigliarsi se ci trovassimo iscritti in un futuro prossimo alla Coppa d’Africa.

Dice: ma siete razzisti? Per niente. Siamo soltanto stufi, arcistufi, e questa maglia verde della Nazionale non è la goccia che fa traboccare il vaso semplicemente perché il vaso è traboccato da tempo. La maglia realizzata da Puma non è un capolavoro di arte rinascimentale, un inno alla verde speranza, un tentativo di esplorazione di nuove strategie di marketing, come è stato inneggiato dalla solita stampa compiacente. E’ nella migliore delle ipotesi una emerita boiata, e nella peggiore un altro tentativo di mettere in crisi identitaria la nostra nazione.

Dal loggione si leva stentoreo il commento: non è la maglia dell’Italia, è quella della Nigeria!

Dagli torto. A parte il logo della Puma che ci casca a fagiolo per motivi faunistici, quel verde e quello scudetto che non è più bianco, rosso e verde ma di color oro, più che al Rinascimento fa pensare alle divise di chi non ha mai vinto una mazza, non di chi è quadricampione del mondo.

Andate a dire a francesi, inglesi, brasiliani o argentini di rinunciare anche temporaneamente ai loro colori nazionali di sempre per far posto ad un simile esperimento artistico e politico-sociale. E si parla di paesi che, Brasile a parte, hanno vinto meno di noi. L’azzurro è parte della nostra storia al pari della bandiera tricolore. Da Casa Savoia (dal cui stemma fu prelevato nel 1910 all’atto della costituzione della rappresentativa nazionale) al dopoguerra repubblicano, i nostri portacolori si sono sempre chiamati orgogliosamente azzurri. Quelle maglie, di varia tonalità e tessuto, hanno sempre avuto quel colore di base, mentre con il tempo si caricavano di vittorie, di stelle, di gloria.

C’é bisogno di dirle queste cose? Evidentemente sì, in un paese che sta rinunciando alla propria identità su tutti i fronti ed in tutti i campi. Quei signori elencati all’inizio dell’articolo non scenderanno in campo a Roma domani sera, ma saranno nel prossimo futuro in prima linea per distruggere la nazione Italia a cominciare dai suoi simboli. Se ne abbiamo uno di cui essere orgogliosi, insieme a quelli delle Forze Armate e di chi protegge la nostra incolumità ogni giorno a prezzo della sua, è proprio quella maglia azzurra con lo scudetto verde sormontato dalle quattro stelle mondiali (che sono rimaste nella versione renaissance Puma chissà perché, visto che la nostra mission ormai è accogliere anche e soprattutto chi, tra le altre cose, ha dimostrato di essere sportivamente buono a nulla, la Francia almeno qualche giocatore in grado di vincere un Mondiale l’ha tirato fuori, noi siamo fermi a Balotelli).

No, con profondo rammarico di italiani convinti, diciamo che la nostra nazionale non è quella che scende in campo domani sera con quella orrenda maglia verde. Non ci rappresenta, non ci interessa. Per quei colori, tifi chi non ha patria ne orgoglio nazionale. Perché della patria che avrebbe avuto in sorte ha dimostrato di fregargli meno che niente.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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