Televisione

Non è mai troppo tardi

Alberto Manzi

C’é stato un tempo in cui la Costituzione della Repubblica Italiana dettava norme che né lo Stato né i cittadini potevano ignorare, perché le sentivano prima di tutto come proprie, regole irrinunciabili di civiltà conquistata a caro prezzo. Perché sì, quella Costituzione era costata lacrime e sangue agli italiani. E sui suoi 138 articoli e le sue disposizioni transitorie che comunque avevano la loro ragion d’essere si erano trovati tutti d’accordo.

L’articolo 34 era stato uno dei più sentiti e condivisi. «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».

Diritto….. La repubblica aveva ereditato dal liberalismo e dal fascismo una popolazione che viveva ancora in condizioni medioevali di miseria e di analfabetismo. Dove con quest’ultimo termine si identificava il ritardo culturale e civile di coloro che non sapevano né leggere né scrivere e nemmeno mettere il proprio nome in calce ai documenti che pure erano chiamati a firmare. La famosa croce era ancora più diffusa di quanto si potesse pensare.

scolarescaNovecento210914-002Il censimento del 1951 aveva fotografato un’Italia ancora drammaticamente renitente all’alfabeto. Dal 78% registrato all’indomani dell’Unità d’Italia si era passati con immane fatica per effetto della Legge Coppino che nel 1877 aveva istituito l’obbligo scolastico per tutti, maschi e femmine, per un minimo di due anni poi elevati a tre, e la Legge Corbino che nel 1921 aveva portato quell’obbligo a cinque anni e dichiarato l’analfabetismo ufficialmente come piaga nazionale ancora da debellare al 27% alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.

Il fascismo, malgrado i suoi programmi di riqualificazione sociale e civile di una popolazione che viveva ancora in condizioni più simili a quelle dei secoli bui che a quelle di un paese che aspirava a prendere il posto che gli spettava nel consesso delle nazioni più importanti, aveva lasciato in questo campo sostanzialmente le cose come stavano, e così le aveva ereditate la repubblica.

Nel 1951, la media nazionale dell’analfabetismo identificava il problema nel 4% della popolazione circa a Nord, nel 15% al centro e nel 25% al Sud e nelle Isole. Cifre che cozzavano ancora drammaticamente con il dettato costituzionale e impegnavano i governi repubblicani e le istituzioni in genere ad uno sforzo straordinario per colmare una lacuna non più tollerabile.

scolarescaNovecento210914-001Nel 1962 una nuova legge avrebbe elevato l’obbligo scolastico ai quattordici anni di età ed alla terza media del ciclo scolastico nazionale. Ma la situazione di fatto era quella del decennio precedente. I bambini ed i ragazzi a quel tempo erano ancora forza lavoro imprescindibile, ed era già tanto se a molti, soprattutto nelle comunità rurali, veniva consentito di portare a termine almeno il ciclo elementare.

Contro la piaga plurisecolare dell’analfabetismo, a partire dalla fine degli anni 50 scese in campo un soggetto nuovo, che aveva ancor meno anni della nostra Costituzione, ma che intendeva all’epoca la funzione pubblica in modo altrettanto serio. La RAI Radio Televisione Italiana a quel tempo faceva veramente la sua parte per restituire ai cittadini il canone che pagavano in termini di servizio effettivo.

L’intuizione geniale dei vertici dell’Ente radiotelevisivo fu quella di comprendere il ruolo di sussidiarietà che le trasmissioni via etere potevano assolvere, quanto e forse in quel momento più di quello a cui potevano assolvere le aule in cui maestrini e maestrine dalla penna rossa facevano il possibile per attirare l’attenzione di bambini e bambine della più disparata provenienza sui programmi ministeriali. E di comprendere anche che la particolarità del mezzo tecnico a disposizione, veicolato in un sempre maggior numero di case degli italiani da quella scatola che emanava quella strana e suggestiva luce azzurrina, offriva opportunità che il Ministero della Pubblica Istruzione non poteva permettersi.

Nel 1958 la Rai aveva varato una a trasmissione a carattere sostitutivo, cioè che aveva nientemeno che l’ambizione di consentire il completamento del ciclo di istruzione obbligatoria ai ragazzi residenti in località prive di strutture scolastiche. Si chiamava Telescuola, e fu calcolata per essa una audience di qualcosa come quattro milioni di ascoltatori.

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Ma la svolta ebbe luogo due anni dopo, allorché la RAI varò una trasmissione che più che nella storia sarebbe rimasta nella leggenda della televisione e della nostra società. Non è mai troppo tardi, Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta.

La trasmissione era prodotta in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione, e andava in onda nella fascia preserale, alle ore 18 circa, l’ora in cui tutti smettevano di lavorare e avevano finalmente un po’ di tempo da dedicare alla propria emancipazione.

A dirigerla fu chiamato uno di quei personaggi che all’epoca la nostra cultura produceva in quantità, e la nostra televisione ospitava più che volentieri.

Alberto Manzi sembrava fatto apposta per il ruolo di educatore che aveva assunto nei ranghi scolastici e avrebbe portato fin sul piccolo schermo, ma limitarlo a quel ruolo appariva perfino ingeneroso.

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Autore letterario soprattutto per ragazzi, intellettuale dall’ironia garbata e pungente al pari di un Flaiano e di un Petrolini, aveva fatto tante cose e svolto tanti mestieri a cavallo della guerra e dopo di essa, per approdare infine tra i ranghi degli insegnanti elementari della scuola pubblica, senza disdegnare collaborazioni anche con i padri Salesiani.

Nel 1955 aveva dato alle stampe il suo romanzo più famoso, ed anche più educativo: Orzowei. Una storia di emarginazione e di riscatto, quasi una versione delle Avventure di Pinocchio riadattata al ventesimo secolo.

La RAI lo chiamò nel 1960 a condurre la trasmissione che avrebbe riconciliato i suoi telespettatori più attempati ed in ritardo culturale con l’alfabeto ed in ultima analisi con il loro stesso futuro. Il maestro Manzi avrebbe tenuto le sue lezioni via etere fino al 1968, anno in cui l’azienda – insieme alla Costituzione – poté ritenere la sua missione sostanzialmente compiuta. Non si conoscono i dati dell’audience relativi agli otto anni di lezioni del maestro Manzi, dal lunedi al venerdi di ogni settimana. Ma si conoscono quelli scolastici del milione e mezzo circa di studenti di età avanzata che grazie a lui conseguirono almeno la licenza elementare.

AlbertoManzi210914-004Come Cincinnato, dopo il 1968 Manzi ritornò al suo orticello, la scuola elementare dove avrebbe insegnato fino all’anno della sua pensione, nel 1992. Quell’anno, la RAI gli chiese di riportare in vita la sua vecchia trasmissione, ma stavolta avendo per obbiettivo gli extracomunitari che nel frattempo venivano a stabilirsi nel nostro paese. Il maestro rispose di nuovo presente.

Nel frattempo si era presentato nuovamente ed argutamente alla ribalta per la sua avversione alla celebre riforma scolastica che sostituiva i voti in pagella con le famigerate schede di valutazione. Manzi si rifiutò di compilarle, con una frase che è diventata un aforisma: «Non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest’anno, l’abbiamo bollato per i prossimi anni».

Al Ministero che insisteva perché si adeguasse, il maestro rispose con un altra uscita delle sue, all’apparenza acquiescente ed in realtà assai beffarda. A tutti i suoi allievi appose il giudizio: «fa quel che può, quel che non può non fa».

La morte lo avrebbe colto a Pitigliano, dove si era ritirato a fare il sindaco nel 1995. I suoi vecchi scolari non dimenticano. E ringraziano.

L’Italia tutta ringrazia.

Non è mai troppo tardi, titoli di apertura

Alberto Manzi – Ultima intervista

Orzowei – Sigla sceneggiato

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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