«Dopo quattro anni di duro servizio segnato da insorpassato coraggio e fermezza, l’Armata della Virginia del Nord è costretta a cedere davanti a forze e risorse immensamente superiori. Porterete con voi la soddisfazione che deriva dal sapere di aver compiuto fedelmente il vostro dovere. Prego sinceramente che Dio Misericordioso estenda su tutti voi la sua benedizione e la sua protezione»
Robert Edward Lee era arrivato ad Appomattox, un villaggio nei pressi di Richmond capitale della Virginia e della Confederazione degli Stati del Sud, il 1° aprile del 1865, al comando dell’ultima Armata che il Sud confederato, ormai esausto, era stato in grado di mettergli a disposizione.
L’Armata Confederata della Virginia settentrionale era ridotta ad un effettivo di 30.000 giacche grigie. Le giacche blu erano molte di più. Avevano conquistato Richmond pochi giorni prima e stringevano ormai le truppe di Dixieland in una morsa.
L’8 aprile Robert Lee aveva lanciato l’ultima disperata carica di cavalleria per ricacciare indietro il nemico, una tattica che all’inizio della guerra aveva dato al Sud schiavista molte soddisfazioni e la convinzione di potercela fare. Ma quel tempo era passato, dopo Gettysburg il Sud era in difesa, dopo la messa a ferro e fuoco di Atlanta era solo questione di tempo.
I cavalleggeri sudisti riuscirono ad arrivare in cima alla collina che sovrastava Appomattox solo per assistere allo spettacolo impressionante dello schieramento soverchiante delle giacche blu che li attendevano sull’altro versante del crinale. «Non c’è nulla da fare se non recarsi a vedere il generale Grant, (anche se) avrei preferito morire di mille morti», disse sconsolato Lee ai suoi subalterni, nessuno dei quali ebbe più l’animo di opporsi alla sua decisione, ed alla richiesta di resa che fu inoltrata poco dopo al comandante unionista Ulysses Simpson Grant.
La mattina dopo Grant e Lee si incontrarono alla Appomattox Court House, e misero fine alla guerra civile (a tutt’oggi il più sanguinoso conflitto in cui siano mai stati impegnati soldati americani) iniziata quasi esattamente quattro anni prima, il 12 aprile 1861 a Fort Sumter, Charleston, South Carolina, il giorno in cui la secessione del Sud si era tradotta nei primi colpi di arma da fuoco.
L’incontro tra i due comandanti è rimasto nell’iconografia ufficiale come quello tra due gentiluomini di vecchio stampo, non tanto i capi di due fazioni che si erano scannate senza nessuna pietà fino alla sera prima. Vestito con un’immacolata uniforme grigia, gli stivali perfettamente puliti, una sciarpa rossa ai fianchi, la sciabola con l’elsa d’oro cesellato, Lee arrivò prima di Grant. Questi si presentò vestito con un’uniforme non regolamentare tutta impolverata e con gli stivali infangati, in cui solo le spalline rivelavano il suo grado di comandante in capo delle forze armate unioniste. Si giustificò dicendo che il suo bagaglio personale da vari giorni era rimasto indietro.
Dopo essersi stretta la mano, dicono che ci fu fra i due anche un sentimento di malinconia condivisa. Lee e Grant ricordarono infatti brevemente i loro passati comuni trascorsi quando, nei ranghi del medesimo esercito, avevano combattuto durante la guerra con il Messico che aveva portato all’indipendenza del Texas e della California.
Grant offrì condizioni di resa generose. Gli ufficiali e i soldati dell’esercito di Lee si sarebbero arresi dando la propria parola di non combattere più contro gli Stati Uniti, e tutto il materiale e le armi, salvo quelle degli ufficiali, sarebbero stati consegnati, mentre cavalli e muli di tutti gli uomini che ne avessero reclamato la proprietà sarebbero restati nella loro disponibilità.
Entrambi i generali firmarono il documento alle 15.45 di domenica 9 aprile 1865. Al momento in cui Lee lasciò la casa e fece ritorno galoppando verso le sue linee, gli ufficiali di Grant presero a fischiare e a inneggiare, ma Grant chiese che cessassero immediatamente, in segno di rispetto per Lee e in generale verso quello che si era dimostrato un formidabile e onorevole nemico. Tutti i reparti sudisti sfilarono il giorno dopo davanti ai nordisti schierati, i quali tributarono loro l’onore delle armi. «È un onore rispondere a un onore», dichiarò il generale nordista Chamberlain al suo omologo sudista Gordon, riassumendo il sentimento di tutti o quasi.
Terminava così, con il discorso di Robert Lee ai suoi soldati che abbiamo citato all’inizio e che è rimasto nella storia americana come uno dei più nobili di sempre, la guerra civile che aveva rischiato di distruggere per sempre la neonata democrazia e potenza statunitense. La soddisfazione del Nord per averla vinta e degli schiavi neri per esserne stati affrancati ebbe tuttavia breve durata. Sei giorni dopo, John Wilkes Booth uccideva Abraham Lincoln, l’uomo che – volontariamente o meno – l’aveva provocata, sparandogli nel suo palco di teatro a Washington.
Con Lincoln se ne andò ogni illusione di un dopoguerra altrettanto improntato a nobili e onorevoli sentimenti così come lo era stata la resa della Confederazione. Prevalse il partito dei vendicativi affaristi che sottomisero alle proprie vessazioni i vecchi e prosperosi Stati del Sud, che impiegarono tutto il resto del XIX° secolo per risollevarsi ritornando alle condizioni di vita e prosperità che avevano avuto prima della guerra.
Se ne andò con il presidente ucciso anche il sogno degli ex schiavi africani di poter essere subito riconosciuti americani a tutti gli effetti. Ben presto, l’ex comandante Grant, diventato nel frattempo uno dei successori di Lincoln come Presidente, dovette fronteggiare un nuovo nemico sudista più o meno in armi: il Ku Klux Klan.
Della nobiltà espressa nel suo discorso da Robert Lee, venuto a mancare cinque anni dopo la resa nella sua residenza di Arlington – che anche per sua volontà sarebbe stata trasformata in cimitero nazionale dei caduti americani di tutte le guerre -, non era rimasto più nulla.
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