Accadde Oggi

Norma Cossetto, italiana

(Nella foto: Selene Gandini, interprete di Norma Cossetto nel film Red Land – Rosso Istria)

Il 10 dicembre del 1943 fu il giorno in cui i vigili del fuoco di Pola localizzarono la foiba dove giacevano i resti di Norma Cossetto, assieme a quelli degli altri italiani martirizzati con lei, nei pressi di Antignana, a pochi chilometri da Parenzo d’Istria. La terra dov’era nata e vissuta e che aveva percorso per tutta l’estate precedente in sella alla sua bicicletta, per raccogliere il materiale per la sua tesi di laurea sulla rossa terra dell’Istria che di lì a poco sarebbe diventata ancora più rossa per lo spargimento del suo stesso sangue.

Era scomparsa ai primi di ottobre, arrestata dall’Esercito di liberazione jugoslavo del Maresciallo Tito, che stava occupando l’Istria. Aveva una sola colpa, essere la figlia del Federale fascista locale. Oltre al fatto di essere italiana, e quindi bersaglio naturale delle vendette e delle bramosie slave.

Dal diario di Giuseppe, cugino di Norma e testimone oculare

Dal diario di Giuseppe, cugino di Norma e testimone oculare

Chi ha visto il film Red Land Rosso Istria si è fatto un’idea di quella che fu la sua sorte, anche se giustamente il film mostra in minima parte i dettagli, riuscendo lo stesso a colpire allo stomaco. Ma la realtà supera l’immaginazione. Il corpo di Norma era nudo, le mani legate ancora con il fil di ferro con cui gli slavi incatenavano gli italiani a due a due prima di spingerli nella foiba, riservando ad uno soltanto dei componenti di ciascuna di quelle tragiche coppie la orribile misericordia di un colpo in testa. Roba che neanche i nazisti avrebbero saputo escogitare.

Ma non basta. Su quel corpo nudo oltraggiato, gli slavi avevano infierito fino alla fine. Oltre ai segni delle percosse e delle sevizie perpetratele durante le ripetute violenze sessuali seguite al suo arresto, Norma presentava segni di ferite da taglio, sui seni e dappertutto. Nei genitali aveva conficcato un pezzo di legno, l’ultimo stupro. Negli ultimi momenti prima di morire doveva aver passato le pene dell’inferno, per mano di quei sedicenti combattenti per la libertà e la giustizia.

Jozip Broz, nome di battaglia Tito

Jozip Broz, nome di battaglia Tito

Il suo riconoscimento fu immediato, i vigili che estrassero il suo corpo da quei 150 metri di profondità sapevano chi era, l’avevano vista mille volte sulle strade dell’Istria in bicicletta. La bella figlia del Federale Cossetto era straziata, ma ancora identificabile e non ancora in stato di decomposizione. Al riconoscimento ufficiale pensò uno zio. Nel frattempo, la sorella Licia aveva scansato la stessa sorte di Norma per un miracolo, e perché l’esercito tedesco era arrivato nel frattempo a ricacciare indietro gli slavi con l’Operazione Wolkenbruch, Nubifragio. Alcuni dei partigiani che avevano brutalizzato Norma furono riconosciuti e fucilati dai tedeschi dopo essere stati costretti a vegliarne il cadavere straziato per una notte intera. Gli altri la fecero franca, e poterono tornare dopo il 1945 a prendersi il resto.

Uno psicoanalista bravo sarebbe capace probabilmente di estrapolare dalle gesta di quei partigiani le loro reali motivazioni psicologiche. Avventarsi sulle donne italiane in quel modo, così come avrebbero fatto poco dopo sui beni delle loro famiglie e sui nomi delle località da secoli italiane, ribattezzati e storpiati nei loro idiomi, sottintendeva una brama di rivalsa che affondava le radici nel passato.

Nei Balcani soggetti a Venezia prima ed all’Austria poi, la componente italiana era sempre stata la più ricca, benestante, evoluta. Gli slavi erano perlopiù i contadini dell’entroterra, arretrati, invidiosi, desiderosi un giorno di mettere le mani su tutto quello che avevano sotto gli occhi del benessere italiano lungo le coste. Cosa che fecero a partire dal 1943.

Salvo presentarsi poi al mondo come uno dei paesi che aveva combattuto dalla parte giusta, e approfittare di tutte le occasioni storiche offerte dalla Guerra Fredda per far dimenticare i crimini alla base della nascita della Jugoslavia, e soprattutto la natura selvaggia della sua popolazione, rivestita appena di una patina di vernice di civiltà puntualmente scivolata via non appena le condizioni l’hanno nuovamente permesso, negli anni novanta.

Serbia, Croazia e Bosnia sono piene di altre foibe in cui anche allora sono finite vittime inermi. Su quelle vittime, soprattutto la Croazia ha continuato a prosperare come del resto ha sempre fatto.

FalceMartello191214-001I comunisti nostrani, fiancheggiatori dei compagni slavi, fecero sì che nel dopoguerra non si parlasse più di questi tragici fatti, e men che meno dell’esodo istriano che seguì a quei primi massacri. Siccome la storia la scrive sempre chi vince, si accertarono che nel poco che si sarebbe detto nei settant’anni successivi prevalesse la loro versione, sintetizzata dalla frase subdolamente tendenziosa: sì, ma cosa avevano fatto prima i fascisti in Jugoslavia?

Come a dire che chi finì nelle foibe se l’era meritato, e che l’equazione stabilita da Tito e dai suoi liberatori era corretta: italiani = fascisti = bestie da macellare con giustizia sommaria. Ancora oggi i superstiti di un’ANPI che ha cessato da tempo la sua funzione ed i loro nipotini dei Centri Sociali antagonisti o delle cooperative in-culturali come la famigerata WuMing vorrebbero accreditare questa tragica ed ignobile equazione, mettendo perfino in discussione quanto è stato ricostruito da testimoni oculari della vicenda di Norma e di altre vittime della furia slava e dell’opportunismo di certi italiani.

A Firenze, non passa Giorno del Ricordo senza che in Via Martiri delle Foibe la celebrazione trascorra in scontri tra antagonisti di sinistra e manifestanti nazionalisti. La strada stessa ha dovuto attendere a lungo prima di meritarsi quel nome, le amministrazioni PD si sono palleggiate a lungo la questione. Come hanno fatto con Oriana Fallaci, concittadina illustre a cui Firenze solo di recente si è sentita in dovere di dedicare una via, e non certo una delle più prestigiose. Come sta facendo anche quella di Milano, che aveva tutto pronto per inaugurare una Via Norma Cossetto ed all’ultimo momento ha annullato tutto, mentre sui giornali si leggevano titoli di questo tenore: problemi a Milano per la strada intitolata alla fascista Cossetto.

Norma Cossetto (Visinada, 17 maggio 1920 – Antignana, 4 o 5 ottobre 1943)

Si discute ancora nelle nostre – o forse sarebbe meglio dire: loro – amministrazioni a proposito di strade intitolate a uomini politici del passato come Bettino Craxi e Giorgio Almirante. Si discute in tempi più recenti se intitolare toponimi a Carlo Giuliani, che tirava gli estintori ai poliziotti, o a Stefano Cucchi, che tirava su qualcos’altro. Sono questi i concorrenti con cui Norma Cossetto ha a che fare, pur avendo tirato su soltanto, in tutta la sua vita, la gonna perché non le si impigliasse nei raggi della bicicletta con cui andava giro per motivi di studio.

istria180211-001-600x600Recentemente è stata istituita una associazione Una rosa per Norma che si è fatta carico dello sblocco della pratica nei 122 comuni italiani nei quali risulta avviata la dedica stradale che la riguarda. Non le restituirà la vita, breve e atrocemente spezzata. Non le restituirà l’onore, del resto non ne ha bisogno perché non le è stato certo tolto, insieme alla vita, dalla bestialità degli jugoslavi. Restituirà soltanto a noi popolo italiano una parte di verità. Da via Norma Cossetto potremo finalmente passarci tutti senza sentirci a disagio, se non per quella che è stata la sua triste vicenda. Sua e nostra.

Sorridi Norma, abbiamo quasi vinto.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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