Ci risiamo. Quando si gioca a tennis e basta, senza interferenze di alcun genere, el vince semper lu, come dicevano una volta a Milano di un noto beniamino di entrambe le sponde calcistiche, Maurizio Ganz.
C’é stato un momento in cui Novak Djokovic sembrava spacciato, a fine carriera. Non per la maggior forza dei suoi avversari Roger Federer e Rafael Nadal, ma per il maggior ossequio semmai di questi ultimi al bigottismo di una federazione internazionale più realista del re nella gestione della pandemia Covid19.
Appiedato più volte da americani e australiani che gli avevano vietata la partecipazione alla rispettiva prova del Grande Slam, Nole aveva visto andare avanti lo spagnolo a quota 22 titoli vinti nei cosiddetti Majors (i tornei che compongono il cosiddetto Grande Slam), e lui era sembrato dover restare inchiodato per l’eternità alle sue sole 21 prove. Tutto questo per essersi rifiutato di farsi vaccinare contro il Covid. «Buttate via giornali e televisione e ragionate con la vostra testa», aveva detto rivolto all’opinione pubblica internazionale. E aveva pronunciato un NO pesantissimo come quello di Mohamed Alì 50 anni prima.
Macché, pochi hanno la sua testa purtroppo, ed ecco dunque il serbo costretto a saltare a pié pari il 2022, proprio l’anno in cui avrebbe potuto ritentare con probabilissimo successo la conquista del Grande Slam dopo la delusione patita nel settembre 2021 a Flushing Meadows, USA, per mano dell’emergente russo Danil Medvedev.
Ma ecco il 2023, l’OMS che dichiara la fine della pandemia, i vigliacchi ed i bigotti di tutto il mondo che si fanno da parte, smettono di chiamare il ribelle Djokovic privilegiato, ecco Rod Laver (foto sopra) premiarlo per la vittoria agli Australian Open che dello Slam tradizionalmente sono la prima prova.
Ecco Novak anche lui a quota 22, in vista della terra battuta su cui ha sempre tenuto testa a Nadal ed ai migliori. In vista del Roland Garros, les championnats internationaux de France de tennis, da giocare tutti d’un fiato, senza l’infortunato (la natura fa il suo corso?….) Nadal, per portarsi in solitaria a quota 23. Puntualmente raggiunta domenica scorsa.
Novax Novak, come lo chiamano sia aficionados che detrattori, è il primo a farlo, almeno tra gli uomini. Le donne, come spesso succede, sono più avanti, Serena Williams ha chiuso la carriera a 23 Majors vinti, Margaret Court la chiuse a 24 (che le valsero un Grand Slam nel 1970, tra l’altro). Ma il serbo ha la possibilità di andare a pari anche con lei tra un mese o giù di lì.
Già, ci risiamo. Il grande tennis si sposta dal Bois de Boulogne di Parigi alla londinese Church Road. Proprio così. E’ tempo di the Championship. Di Wimbledon. Di erba, che Djokovic mastica come pochi altri. Lui ha il ventiquattresimo Slam sulla racchetta, e anche se rifiuta di sentirsi apostrofare come il più grande di tutti i tempi, per rispetto – dice – ai grandi di ogni epoca, è lui stesso a confessare di avere una grande, grandissima «fiducia in quello che fa». E sull’erba fa tutto benissimo, come hanno imparato per esempio, per stare agli ultimi anni, il nostro Berrettini e l’australiano Kyrgios.
Poi sarà tempo di volare a New York, dimenticare gli sgarbi pandemici subiti l’anno scorso e riprovarci con quel dannato Grand Slam. Medvedev ovviamente permettendo.
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