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O Fortuna/Carmina Burana

Di tutte le trasposizioni cinematografiche della saga di Re Artu e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, quella del 1981 per la regia di John Boorman resta a tutt’oggi una delle più convincenti. Il visionario regista inglese non rivisita il mito, ma si limita a riportarlo sul grande schermo così come tutti noi, grandi e piccini, l’abbiamo sempre immaginato.

Il film ha un titolo suggestivo, il nome della spada attorno a cui ruota tutta la magia – è il caso di dire – della storia e delle immagini che la raccontano: Excalibur, la spada forgiata da fabbri appartenenti ad un’epoca fatata, sorta dalle acque per essere impugnata da un re leggendario, ed alle acque destinata a tornare alla fine della sua epopea. Del resto, se il Re Artu è un giovanissimo e shakespeariano attore come Nigel Terry, se Morgana è un’altrettanto giovane Helen Mirren e se Galvano è un Liam Neeson agli esordi, parlare di leggenda è il minimo.

Last but not least, il film si avvale di una colonna sonora eccezionale, frutto anch’essa della fantasia di un altro visionario. Diventarono famosi presso il grande pubblico proprio grazie a questo film, ma i Carmina Burana lo erano già per gli addetti ai lavori musicali almeno da prima della guerra. Questo strano Codex misto tra il sacro ed il profano, tra il mistico ed il licenzioso, esisteva fin dall’Alto Medioevo. L’avevano elaborato e trascritto i monaci benedettini amanuensi del convento di Benediktbeuern (l’antica Bura Sancti Benedicti  nei pressi di Bad Tölz in Baviera).

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Codex Latinus Monacensis 4550 o Codex Buranus

Nel XIX, i Carmina erano riemersi dall’oblio in cui li aveva gettati una Chiesa Cattolica preoccupata della loro scarsa ortodossia grazie allo studioso linguista Johann Andreas Schmeller, divenuto curatore della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera. Schmeller cercò di ricostruire con pazienza anche gli spartiti musicali di stampo gregoriano con i quali gli antichi autori avevano inteso accompagnare il testo poetico, anche se la mancanza di un pentagramma rendeva incerta la ritmica.

Il problema rimase fino a Carl Orff, che nel 1937 pubblicò una sua versione dei Carmina Burana, riscrivendone la musica secondo un gusto wagneriano novecentesco. La prima rappresentazione in assoluto avvenne l’8 giugno 1937 a Francoforte sul Meno, mentre la prima rappresentazione italiana invece si tenne al Teatro alla Scala a Milano il 10 ottobre 1942. In un mondo che si avviava a ridiventare più o meno quello della Saga dei Nibelunghi, la musica di Orff era destinata ad avere gran successo.

In particolare ne avrebbe avuta, anche dopo la fine della saga dei discendenti dei Nibelunghi, il prologo dell’Opera. Quella O’ fortuna che John Boorman avrebbe poi felicemente scelto come leit motiv della colonna sonora del suo film.

A tutt’oggi la storia non sa dirci esattamente chi fosse davvero Re Artu, ma una cosa è certa: ce lo immaginiamo tutti così come ce lo ha messo davanti agli occhi Excalibur. E’ la musica che accompagna la cavalcata degli eroi della Tavola Rotonda è O’ Fortuna. Altra non potrebbe essere.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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