«In questa finale ci sono vent’anni di vita. E’ stato un viaggio incredibile, bellissimo e difficile. Sono fiera di me, di come sono cresciuta e della donna che sono diventata negli anni. Ho preso a pugni il mondo (anche me stessa, a volte), per tanto tempo, per tanti anni, lottando sempre fino all’ultimo centimetro disponibile. Sono felice, veramente felice oggi. Era l’ultimo 200 che volevo, in un’altra finale olimpica. Ho dato tutta la mia vita a questo sport, e da questo sport ho preso tutto quello che volevo».
Ha gli occhi umidi la Fede, mentre consegna alla stampa ed alla storia la sua ultima dichiarazione post-gara ufficiale. E’ la gara a cui teneva di più, anche se sembra strano dirlo per una atleta che ha appena concluso la sua quinta finale olimpica in altrettante edizioni dei Giochi. Cominciò ad Atene nel 2004, finisce a Tokyo quasi 20 anni dopo. Non riassumiamo qui il suo palmares, non ce n’è bisogno e poi sarebbe come limitarla, commisurando la sua grandezza di donna e di atleta azzurra a fredde cifre che non rendono l’idea della statura di questa signora dello sport, di questa figlia cresciuta ma rimasta quella che ogni genitore italiano vorrebbe avere.
Non ce ne sarà un’altra come lei, così come non ci sarà un altro Aldo Montano. O forse sì, chissà. Finora da Nedo Nadi in poi la nostra scuola di scherma ha sfornato campioni a ripetizione fin dai tempi di D’Artagnan.
Hanno gli occhi umidi anche Federica Cesarini e Valentina Rodini, canottiere del 2 senza pesi leggeri, che negli ultimi 25 secondi e nelle ultime poche decine di metri del bacino olimpico scrivono una pagina di sport e compiono un’impresa che per ritrovarne una eguale bisogna andare indietro fino a Giuseppe e Carmine Abbagnale. Federica e Valentina remano a ritmo di leggenda, e in questa giornata in cui tutto si inchina a loro, a cominciare dalle loro agguerritissime avversarie, forse manca al loro trionfo soltanto una cosa: la voce di Giampiero Galeazzi.
Il medagliere italiano dice, oltre a tanta emozione e commozione, decimo posto, con soltanto due ori, sette argenti e nove bronzi. Siamo in linea con Rio 2016, pur se gli ori sono molti meno anche rispetto alla media degli ultimi quarant’anni, da Mosca 1980 in poi. Paradossalmente, è proprio questa constatazione che ci inorgoglisce di più, alla conclusione della prima settimana olimpica. Tra vittoria e sconfitta, diceva Kipling, moralmente corre poca differenza, si tratta di due impostori che il vero atleta, il vero uomo, la vera donna, se vogliono essere considerati tali, devono imparare a gestire allo stesso modo.
Tra oro e argento, tra primo posto e secondo sul podio, o tra secondo e terzo e tra terzo e quel crudele nulla che è il quarto alle Olimpiadi, corre spesso un millimetro, un filo d’erba, un alito di vento, un avversario che ha più fame di te che ne hai ancora tanta, ma lui a differenza di te non ha ancora vinto nulla. E poi, quei benedetti quattro anni (in questo caso addirittura cinque) che sono passati e che estendono anche a te gli effetti indesiderati ma inesorabili della legge fondamentale della vita.
Ma se nell’annata in cui quel millimetro manca a molti dei nostri azzurri, o la loro e nostra sorte viene decisa da quel filo di vento, da quella mano che trema impercettibilmente a differenza di quattro o cinque anni fa, se in una simile annata, dicevamo, tu comunque ti confermi al decimo posto, significa che adesso sei a disputare una grande Olimpiade. Più grande forse di quelle del passato, perché è adesso che il tuo movimento sportivo si conferma di eccellenza, anche senza gli acuti – spesso anche episodici – che ti hanno regalato altre volte un’incetta del metallo più prezioso.
Il nostro è uno strano paese. Un popolo che non è mai riuscito ad ottenere dalla sua classe politica condizioni di vita più civili e decenti, investimenti per la Mens Sana in Corpore Sano che sono quelli che determinano la reale qualità di vita dei cittadini, riesce a mandare ad ogni competizione sportiva di rilievo internazionale atleti che lo rappresentano sempre al meglio. Sicuramente meglio di quello che dimostra di essere nella vita di tutti i giorni. I calciatori di Mancini e la squadra olimpica di Tokyo ci stanno regalando un’estate che non sappiamo se ci meritavamo realmente, per tanti motivi, ma che comunque ci teniamo stretta. Grazie, ragazze e ragazzi.
La fame sportiva degli italiani è grande, scrivevamo cinque anni fa a proposito dei Giochi di Rio. Dovessimo mantenerci a questo decimo posto, a prescindere dal numero degli ori, degli argenti, dei bronzi e da come sono stati guadagnati, vorrebbe dire che è grande anche la voglia di diventare finalmente un paese civile. Fiero di come è cresciuto, come dice la Fede Pellegrini, a forza di prendere a pugni il resto del mondo. E qualche volta – mai abbastanza – anche noi stessi.
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