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Storia delle Olimpiadi 1896: Atene

Atene 1896, Stadio Panathinaikos

Atene 1896, Stadio Panathinaikos

Citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte) fu da subito il motto delle Olimpiadi moderne, che intesero così riallacciarsi a quelle antiche come se non ci fosse stata nel frattempo una soluzione di continuità durata circa millecinquecento anni.

Per la Carta Olimpica, l’elenco dei princìpi a cui dovevano ispirarsi atleti e nazioni nel gareggiare sotto la fiamma del sacro fuoco di Olimpia, bisognò attendere il 1899. Mentre la celebre bandiera dei cinque cerchi arrivò soltanto nel 1914, quando già cinque edizioni erano state disputate ed il mondo si illudeva di veder disputare a breve la sesta.

Autore di tutto ciò fu il barone Pierre de Coubertin, ma il mondo intero rispose con un entusiasmo francamente inaspettato. Voglia di riscoperta di antichi favolosi miti, voglia di instaurazione di un nuovo mondo moderno fatto di pace e prosperità, sia come sia, le Olimpiadi furono un marchio che sfondò fin da subito.

Pierre de Coubertin

La Grecia fu l’entusiasta organizzatrice della prima edizione, e non poteva essere altrimenti. Il greco Demetrios Vikelas fu il primo presidente del C.I.O., con l’incarico esplicito di preparare l’edizione della rinascita. La Grecia si buttò nell’avventura con gioia e ardore, consapevole che i Giochi erano il veicolo anche della propria rinascita nazionale dopo i lunghi secoli della decadenza e della dominazione ottomana.

La Grecia per la verità chiese di diventare sede permanente dei Giochi, aspirando ad essere per il mondo intero ciò che Olimpia era stata per lei nell’Antichità. Ma il C.I.O. e de Coubertin avevano altre idee. Le Olimpiadi, decisero, avrebbero viaggiato, venendo assegnate di volta in volta ad una città diversa a giro per il pianeta. Quelle del 1900 furono assegnate a Parigi, che nello stesso anno sarebbe stata sede anche dell’Esposizione Universale.

Allo Stadio Panathinaikos di Atene, costruito all’epoca degli antichi giochi in onore della dea Atena, riscoperto durante scavi archeologici nel 1870 e restaurato appositamente per l’Olimpiade moderna, si ritrovarono per la cerimonia di apertura il 6 aprile 1896 241 atleti provenienti da quattordici nazioni. Non male per un mondo in cui gli spostamenti intercontinentali avvenivano ancora via mare a bordo di navi. Questi atleti, nei nove giorni di gare, si cimentarono in 43 competizioni raggruppate in nove discipline sportive, con l’Atletica a fare fin da allora la parte del leone.

Il livello tecnico non fu e non poteva essere eccelso. Il romanticismo e neoclassicismo che permeavano le idee di de Coubertin e dei suoi collaboratori li avevano portati ad escludere dalle competizioni gli atleti che in qualunque modo erano riconducibili a condizioni di professionismo, anche occasionale. I medagliati furono dunque solo dilettanti. Altre grandi escluse di quei primi Giochi moderni, come lo erano state di quelli antichi, le donne.

Il ginnasta e lottatore tedesco Carl Schumann fu il vincitore del maggior numero di competizioni, quattro. Il suo connazionale Hermann Weingartner, ginnasta anch’egli, vinse il maggior numero di medaglie complessive, sei. Da notare che all’epoca la medaglia più pregiata era quella d’argento, che andava al secondo classificato già allora. Al primo spettava una corona d’olivo proveniente da quella valle dell’Altis nei pressi di Olimpia dove un tempo era sorto il tempio di Zeus, settima meraviglia del mondo.

Il vincitore destinato a rimanere impresso maggiormente nell’immaginario collettivo e ad avere un posto d’onore in quel primo medagliere olimpico fu Spiridion Louis. Era un corridore greco proveniente dai sobborghi di Atene. Ebbe il merito di vincere una gara sola, ma era quella destinata a infiammare i cuori dei suoi connazionali come nessun altra.

Nel 490 a. C. i soldati ateniesi avevano combattuto a Maratona una battaglia decisiva per la sopravvivenza non solo della loro città contro i persiani di Re Dario. E l’avevano vinta. I comandanti scelsero un soldato per assolvere la missione di andare a informare il Senato della città che aveva sede nell’Acropoli di Atene. Quel soldato si chiamava Filippide, e corse a perdifiato la distanza di 42,195 chilometri che separava le due località. La missione fu assolta, e Filippide crollò al suolo morto subito dopo averla portata a termine. Ma i posteri lo hanno onorato da allora tributandogli la ripetizione della sua impresa in una gara olimpica che si chiama appunto maratona, e che di volta in volta si ripete su tracciati di pari lunghezza a quello che lui percorse.

La prima maratona, regina di quella disciplina, l’atletica, destinata ad essere considerata a sua volta la regina di tutte le Olimpiadi, si svolse il 10 aprile 1896 su un percorso quasi coincidente con quello di Filippide, dal Ponte di Maratona allo Stadio Panathinaikos. Spiridion Louis coprì la distanza con il tempo di 2 ore, 58 minuti e 50 secondi, diventando il secondo greco della storia a cogliere l’immortalità correndo su quella pista. A differenza di Filippide, Spiridion trovò il tempo anche di fermarsi in un’osteria a bere vino, lungo il tragitto per la gloria.

Spiridion Louis, l'erede di Filippide

Spiridion Louis, l’erede di Filippide

L’eroe di Maratona fu il portabandiera della Grecia nella cerimonia di chiusura del 15 aprile 1896. Dopodiché visse a lungo in condizione agiata grazie agli onori tributatigli dai suoi connazionali, che lo vollero ancora portabandiera nelle Olimpiadi di Berlino del 1936, dove si trovò ad offrire il proverbiale ramoscello d’olivo dell’Altis nientemeno che ad Adolf Hitler.

Non fece a tempo a vedere il suo paese contraccambiato dai tedeschi con l’invasione del 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale. Era morto l’anno prima. L’anno in cui avrebbero dovuto disputarsi i Giochi della Dodicesima Olimpiade. Una edizione che non ha mai avuto luogo.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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