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Storia delle Olimpiadi 1932: Los Angeles

Los Angeles memorial Coliseum

La bandiera a stelle e strisce saliva di nuovo sul pennone olimpico dopo l’esperienza fallimentare di Saint Louis del 1904. Ma stavolta, erano stati scelti la sede giusta ed anche il momento giusto. La città prescelta, ancora ai primi del ventesimo secolo, era poco più del villaggio di agricoltori e peones che aveva ispirato la fantasia di Johnston McCulley nel dar vita al personaggio di El Zorro. Ma Nuestra Señora de Los Angeles, a cavallo della Grande Guerra, grazie all’industria petrolifera e a quella cinematografica era diventata rapidamente una delle capitali del sogno americano. La città che nel 1932 attendeva gli atleti del resto del mondo contava ormai oltre un milione di abitanti ed era una delle porte verso la modernità del ventesimo secolo.

Quello che nessuno aveva potuto immaginarsi, all’atto dello spegnimento del braciere di Amsterdam, era che il mondo sarebbe stato profondamente differente al momento di accendere quello di Los Angeles. Il 24 ottobre del 1929 insieme a Wall Street erano andate in pezzi l’illusione del capitalismo di governare insieme processi economici e dinamiche sociali e quella coltivata dall’umanità attraverso la Società delle Nazioni di avere ingabbiato per sempre gli istinti peggiori di uomini e stati e comunque di poterne neutralizzare le conseguenze.

Olimpiadi1932LosAngeles200304-002Quattro anni dopo, gli Stati Uniti che attendevano la fiamma olimpica erano quelli della Grande Depressione, sconvolti dai fallimenti e dalla fame di un numero sempre crescente di cittadini (con il New Deal di F.D.Roosevelt ancora di là da venire). La Germania era, ancora per poco, quella di Weimar. Alle imminenti elezioni – da tenersi in un paese economicamente disastrato che non ce la faceva più a pagare agli ex Alleati le ingenti riparazioni stabilite a Versailles nel 1919 e ad assicurare la sopravvivenza a cittadini che viaggiavano ormai con le proverbiali carriole cariche di inutili marchi senza valore – si sarebbe presentato il Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler e questa volta la sua prospettiva era di fare il pieno di voti. L’Asia era in fiamme, con il Giappone che perseguiva il suo destino imperiale a scapito di una Cina che aveva appena visto dissolversi il suo, con gli occhi già puntati minacciosamente sulle colonie delle potenze europee. L’Europa dal canto suo vedeva l’insorgere di regimi dittatoriali a macchia d’olio, contro i quali sembrava che non ci fosse più deterrente.

Gli U.S.A. ce la misero tutta per far dimenticare a se stessi ed al mondo i propri guai. La costruzione del Los Angeles Memorial Coliseum, The Old Gray Lady, lasciò in eredità post-olimpica una meraviglia del mondo moderno, che sarebbe tra l’altro tornata utile nel 1984 quando la fiaccola sarebbe ritornata in California per la XXIII^ edizione. La tecnologia statunitense, già avanzata per l’epoca, fece bella mostra di sé: impianti ultramoderni, cronometri elettrici, cineprese speciali sul traguardo, perfezionamento del fotofinish, calcolo dei centesimi di secondo, altoparlanti per gli spettatori. A tutto ciò fece da contraltare una insolita sciatteria e negligenza da parte dei giudici di gara, di cui si lamentarono molte squadre.

Olimpiadi1932LosAngeles200304-005Il guaio era che il mondo convenuto a Los Angeles aveva molta meno voglia di giocare che in passato. Il numero degli atleti presenti era praticamente dimezzato. Ne beneficiò l’Italia, che finì per piazzarsi al secondo posto del medagliere dietro gli U.S.A. con 12 medaglie d’oro, un risultato che è stato migliorato di nuovo a Los Angeles, nel 1984. Il Duce aveva avuto la brillante intuizione del dilettantismo di stato, che aggirava il divieto di professionismo. Gli atleti italiani erano tutti dipendenti dello stato fascista, ed era consentito loro di allenarsi a fondo in deroga a qualsiasi altro dovere professionale. Tra i successi italiani non ci fu quello nel calcio, disciplina che nel 1932 non era stata ammessa al programma olimpico (per rimostranza contro la recente istituzione dei Campionati Mondiali) e che sarebbe tornata in cartellone nel 1936.

Clint Eastwood e Tsuyoshi Ihara (l'interprete di Takeishi Nishi) sul set di lettere da Ivo Jima

Clint Eastwood e Tsuyoshi Ihara (l’interprete di Takeishi Nishi) sul set di lettere da Ivo Jima

Per il resto, pochissime figure di rilievo. Con il senno di poi, soltanto una: quel Takeichi Nishi vincitore dell’unica medaglia d’oro giapponese nell’equitazione della storia. Sarebbe morto nel 1945 nella disperata difesa dell’arcipelago Ogasarawa, la porta del territorio nipponico, e Clint Eastwood ne avrebbe fatto poi uno dei protagonisti del suo Lettere da Ivo Jima.

L’edizione invernale si era disputata sempre in America (decisione per quanto possibile applicata anche in altre edizioni successive), a Lake Placid nello Stato di New York. Gli U.S.A. si presero una sentita rivincita sulla Scandinavia, vincendo il medagliere con sei ori contro i tre della Norvegia. La pattinatrice norvegese Sonia Hejne fu tuttavia il personaggio di quella olimpiade, la terza consecutiva da lei dominata nella sua specialità.

Il programma fu tuttavia ancora limitato dalla mancanza dello sci alpino, e dall’assenza di nazioni come l’Italia la cui vocazione allo sport d’inverno era tutta ancora da scoprire.

Olimpiadi1932LosAngeles200304-003Quando fu il momento di ammainare le bandiere e spegnere il braciere, il mondo si dette appuntamento in Germania, a Berlino. I tedeschi erano in ritardo di vent’anni rispetto ai loro programmi, poiché avrebbero dovuto ospitare l’edizione del ’16, mai disputata a causa dello scoppio della Grande Guerra, da loro in ultima analisi provocata.

La bandiera che scese dal pennone di Los Angeles era quella tradizionale a tre colori, lasciata in eredità dal Kaiser alla Repubblica di Weimar. Quella che sarebbe salita su nuovamente a Berlino sarebbe stata di tutt’altro colore: rossa, e con la croce uncinata in campo bianco.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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