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Storia delle Olimpiadi 1948: Londra

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Il 1° settembre 1939 all’alba l’esercito tedesco iniziò l’invasione della Polonia. Cominciò così una competizione internazionale destinata a concludersi quasi sei anni dopo con l’omologazione di un unico, tragico record: quello dei morti, oltre settanta milioni tra militari e civili. Un intero continente ridotto da un unico immenso cumulo di macerie, dall’Atlantico agli Urali. La fine di un’epoca segnata dall’illusione che il progresso scientifico avrebbe assicurato di per se stesso la pace al mondo. A partire dal 6 agosto 1945, anzi, il progresso scientifico sarebbe stato irrimediabilmente associato nell’immaginario collettivo al fungo atomico di Hiroshima.

L’Imperial Stadium di Wembley

La Seconda Guerra Mondiale cancellò tante cose, oltre a quei milioni di vite umane ed alle città e luoghi dove avevano vissuto. La tregua olimpica fu una di queste. L’illusione di trasferire sulle piste di atletica e sui campi di gara le pulsioni competitive di una razza umana disarmata, che dai sacerdoti di Zeus a Olimpia era passata intatta attraverso i secoli a de Coubertin e ai suoi entusiasti seguaci del Comitato Olimpico Internazionale, era sopravvissuta di soli tre anni all’ultima edizione dei Giochi effettiva, quella di Berlino del 1936.

Il barone non aveva fatto in tempo a vedere gli orrori della nuova guerra. Era morto nel 1937 nel suo buen retiro di Ginevra, a due passi dalla sede del C.I.O. a Losanna. Il suo successore, il belga Henri de Baillet-Latour, lo aveva seguito nella tomba nel 1942, morto di crepacuore proprio nel mezzo di quella tragedia che aveva condotto all’annullamento di due edizioni olimpiche, la dodicesima che si sarebbe dovuta disputare a Tokyo nel 1940 e la tredicesima che sarebbe dovuta toccare a Londra nel 1944, per la seconda volta dopo quella del 1908.

Il Settebello italiano campione olimpico

Il C.I.O. stesso aveva sospeso per forza di cose i propri lavori a tempo indeterminato. Li aveva ripresi nel 1945, riunendosi proprio a Londra e confermandovi la disputa della quattordicesima edizione (la numerazione inalterata era un ipocrita omaggio alla santità della tregua olimpica di fatto non rispettata) da tenersi tre anni dopo nella città che aveva resistito a tutto, dal blitz della Luftwaffe alle V2, incarnando la volontà di non arrendersi alle armate delle tenebre.

L’omaggio a Londra era doveroso, anche se mise a dura prova le capacità di ripresa di una delle città che avevano subito la guerra più pesantemente in Europa. All’organizzazione del villaggio olimpico ed agli approvvigionamenti per gli atleti concorsero in gran parte le strutture militari presenti sul territorio britannico. Il parco di Windsor fu la sede delle gare ciclistiche, mentre il Tamigi lo fu di quelle di nuoto e di canottaggio. Nel vecchio stadio di Wembley fu riallestita la pista di atletica del 1908.

Emil Zatopek, la locomotiva umana

A Londra, non furono ammesse – come già era successo dopo la Prima Guerra – le potenze sconfitte. Con l’unica eccezione dell’Italia, in favore della quale pesò l’armistizio di Cassibile che l’aveva disallineata dall’Asse e schierata a fianco degli Alleati. La possibilità di partecipare fruttò all’Italia otto medaglie d’oro per un quinto posto finale nel medagliere di tutto rispetto. Tra i successi di maggior prestigio, quelli del discobolo Adolfo Consolini e della nazionale di pallanuoto, il Settebello.

La mancanza della Germania, molti dei cui atleti peraltro non avrebbero comunque risposto all’appello in quanto caduti di guerra (come quel Lutz Long coraggioso amico del Figlio del vento Jesse Owens, che cadde in Sicilia ed è sepolto nel cimitero di guerra di Motta Sant’Anastasia in provincia di Catania), oltre che quella autoimposta come ormai di consueto dell’Unione Sovietica, fu compensata dall’arrivo di nuovi paesi nati dall’avvio del processo di decolonizzazione. Le nazioni in gara furono 59.

Fanny Blankers Koen, la mammina volante

Veri e propri personaggi quella Olimpiade non ne consegnò alla storia. Ad esclusione di Emil Zatopek, ufficiale dell’esercito cecoslovacco prestigioso vincitore dei 10.000 metri, e della mammina volante l’olandese Fanny Blankers-Koen, così chiamata perché agli Europei che avevano preceduto quelle Olimpiadi tra una gara e l’altra aveva allattato la figlia appena nata. La mammina compì un’impresa simile a quella di Owens a Berlino vincendo 100 m. piani, 80 m. ostacoli, 200 m. piani e staffetta 4 x 100 m.

A proposito di Owens, gli successe nei 100 metri un altro atleta di colore americano, Harrison Dillard, che dopo la vittoria dichiarò: «Quando i bianchi ci lasciano fare qualcosa, noi cerchiamo di rifarci. Così è nello sport, come è stato nella musica». In effetti, gli atleti afroamericani cominciarono proprio a Londra ad affermare una loro supremazia nel’Atletica.

La seconda olimpiade londinese è rimasta nella storia per un altro motivo. Nel 1948, l’Inghilterra fu il primo paese europeo ad avere la televisione. La B.B.C. trasmise i Giochi Olimpici in diretta dalla cerimonia di apertura alla presenza di re Giorgio VI il 28 luglio fino a quella di chiusura il 14 agosto.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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