Nella foto: Nadia Comaneci, la più giovane atleta di sempre a vincere un oro olimpico. A Montreal aveva 14 anni.
A Innsbruck nel 1976 i Winterspiele, Giochi Invernali, furono teatro dell’ultimo acuto della Valanga Azzurra. Pierino Gros, piemontese di Sauze d’Oulx in Val di Susa, l’unico italiano capace di interrompere il predominio di Gustav Thoeni nel 1973 vincendo la Coppa del Mondo assoluta di Sci Alpino, gli finì davanti anche nello Slalom Speciale disputato nella località austriaca, che valse all’Italia l’unica medaglia d’Oro di quella edizione.
Fu il canto del cigno della gloriosa squadra azzurra. Nuovi attori si erano affacciati alla ribalta internazionale. In Discesa il beniamino di casa Franz Klammer, negli Slalom il fuoriclasse svedese Ingemar Stenmark che avrebbe spadroneggiato per il resto degli anni Settanta e oltre. Thoeni vinse anche la Combinata, confermandosi ancora il più versatile degli sciatori azzurri oltre che il più forte in assoluto, ma quella specialità nel 1976 non assegnava più medaglie olimpiche, solo piazzamenti valevoli per la Coppa del Mondo. Che finì per la prima volta nelle mani di Stenmark. Tra le donne, la tedesca Rosi Mittermaier andò vicina ad uno storico en plein, vincendo Discesa e Speciale e arrivando a soli 12 centesimi di secondo dalla terza medaglia d’Oro, in Gigante.
In estate, la fiamma ri partì da Olimpia per la ventunesima volta. Direzione Nordamerica. Negli anni Settanta il Canada era già un’isola felice, in mezzo a quell’Oceano dalle acque burrascose a cui assomigliava sempre di più il resto del mondo. Spiccava ancor più questa sua condizione se paragonata a quella del vicino con cui confinava a sud, gli Stati Uniti d’America, che tentavano di riprendersi faticosamente dalla batosta subita in Vietnam e di far fronte all’offensiva sovietica che stavano subendo un po’ in tutto il pianeta.
Come tutte le isole felici, anche il Canada si era conquistato questa felicità a caro prezzo, anche se ormai pagato a distanza nel tempo. Ex colonia francese, era passato dalla metà del Settecento sotto la corona britannica, alla quale formalmente ancora apparteneva in quanto membro del Commonwealth. Fu infatti la Regina Elisabetta II ad aprire i Giochi della XXI^ Olimpiade il 17 luglio del 1976 nello Stadio Olimpico di Montreal. O Montréal, capitale dello Stato del Quebec, la più grande comunità francofona sopravvissuta alla conquista inglese. In omaggio ai difficili equilibri interni canadesi, furono due i tedofori che portarono la fiaccola nello stadio fino al braciere olimpico. E per la seconda volta dopo Mexico 68 si trattò di donne: la francofona Stephane Prefontaine e l’anglofona Sandra Henderson.
Tutto sommato, le problematiche relative ai rapporti tra le due comunità canadesi suscitavano quasi tenerezza rispetto a quelle a tinte ben più fosche che agitavano il resto del mondo. Montreal 76 avrebbe potuto essere veramente una tregua salutare in un’isola felice come lo era stata l’antica Olimpia. Lo fu solo in parte, perché quella edizione dette il via all’Età dei Boicottaggi.
A metà degli anni Settanta la questione sudafricana era esplosa ormai in tutta la sua complessità e virulenza. Il simbolo più odioso del razzismo perdurante nel mondo era l’Apartheid sudafricano, con Nelson Mandela che languiva da più di dieci anni a Robben Island e con la sua gente confinata nelle baraccopoli come Soweto da una minoranza bianca che non si faceva scrupolo ad usare ogni mezzo per perpetuare il proprio potere.
Il Sudafrica era ormai al bando da qualsiasi organismo internazionale, meno che da quelli sportivi. Nel 1974 aveva vinto la Coppa Davis del tennis, primo paese a spezzare il quadripolio USA, Gran Bretagna, Australia, Francia, grazie ai ritiri di chi doveva affrontarlo (tutti meno l’Italia, che perse meritatamente sul campo in semifinale). Nel 1976 il C.I.O. lo dichiarò non ammissibile ai Giochi canadesi, ma non squalificò gli All Blacks neozelandesi del Rugby (sport peraltro da tempo fuori dal programma olimpico) che andarono a giocare in tournée contro gli Springbocks sudafricani. La decisione pilatesca del C.I.O. provocò l’insurrezione dell’Africa, che disertò in massa i Giochi, compromettendo il livello tecnico almeno di buona parte delle discipline dell’Atletica.
Al boicottaggio del Continente Nero si aggiunse quello di Taipei, o Cina nazionalista con sede a Formosa. L’isola dove si era rifugiato Chang Kai Shek con i resti del Kuomingtang superstite alla rivoluzione di Mao Tze Tung era rimasta orfana del suo leader da un anno ma non aveva deposto le armi nel rivendicare davanti al mondo la propria esistenza come unica Cina legittimamente riconoscibile. Anche il Grande Timoniere era alla fine dei suoi giorni, ma il mondo – dopo l’apertura di qualche anno prima operata da Richard Nixon verso di lui e verso la marea rossa della Repubblica Popolare Cinese – non se la sentiva più di escludere un paese dove bene o male abitava un quarto dell’umanità di allora (ed era un utile contraltare all’U.R.S.S., visti i pessimi rapporti tra i due compagni). Taipei la prese male, e restò a casa.
Le Olimpiadi di Montreal furono le prime in cui il Comitato organizzatore ammise di essere andato incontro ad un disastro economico. Come sarebbe successo al nostro paese per Italia 90, la municipalità di Montreal sarebbe stata costretta a imporre nuove tasse ai propri cittadini per i successivi 30 anni per coprire il pagamento dei costi della XXI^ Olimpiade.
Eppure, dal punto di vista tecnico ed al netto dell’assenza degli africani, furono grandi Giochi, che presentarono al mondo grandi figure destinate a rimanere nella storia. Dalla ginnasta rumena Nadia Comaneci, che incantò tutti con i suoi volteggi e si meritò il primo 10,00 della storia olimpica (da notare che la proclamazione della sua vittoria fu ritardata poiché i computer erano programmati per registrare votazioni fino al 9,99). Al cubano Alberto Juantorena detto El caballo, capace di vincere per la prima volta 400 e 800 metri piani. Al finlandese volante bis Lasse Viren, che bissò i 5.000 e 10.000 di Monaco. Al francese Guy Drut che tolse i 110 ostacoli agli U.S.A. per la prima volta dopo 20 anni. Al grande Edwin Moses, che vinse i 400 ostacoli con la cadenza record di tredici passi costanti tra un ostacolo e l’altro. Alla saltatrice tedesca Rosemarie Ackermann, che a Montreal riuscì a tenere dietro di sé (una delle ultime volte) la nostra Sara Simeoni, con la quale si sarebbe disputata in seguito l’onore del superamento del muro dei due metri.
Nel nuoto, l’americano John Naber tentò di emulare Mark Spitz fermandosi a 4 ori e un argento. Nel basket, gli U.S.A. si ripresero l’oro dopo la storica sconfitta di Monaco ma persero anche il secondo posto nel Medagliere a vantaggio della Germania Est. Nei tuffi, Klaus Dibiasi emulò se stesso per la terza volta vincendo ancora l’oro dalla piattaforma, mentre nel trampolino Giorgio Cagnotto conquistava l’argento. Fabio Dal Zotto riportò l’Italia a vincere l’oro nel Fioretto dopo 40 anni. Il medagliere azzurro di Montreal, uno dei più scadenti della storia, si fermò a questi due ori.
Il 1° agosto 1976, il mondo si dette appuntamento a Mosca per il 1980. Un evento storico, la prima Olimpiade in un paese comunista, dopo che il calcio era andato a giocare gli Europei in Jugoslavia proprio quell’anno. Un evento il cui successo però era appeso ad un filo. E quel filo puntualmente sarebbe stato tranciato dalle Parche, perché il mondo nei quattro anni successivi avrebbe conosciuto una recrudescenza della Guerra Fredda al cui confronto la crisi dei missili di Cuba sembrò ad un certo punto una bazzecola.
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