Nella foto: Beijing National Stadium, 8 agosto 2008, cerimonia d’apertura della 29^ Olimpiade
Dice un antico proverbio cinese, se una disputa va per le lunghe, significa che tutti e due i contendenti hanno torto. Nel 2001, dopo aver deliberato di pagare il debito assunto con Atene per la mancata assegnazione delle Olimpiadi del Centenario, il Comitato Olimpico Internazionale – alla cui presidenza si era appena insediato il belga Jacques Rogge in sostituzione dello spagnolo Juan Antonio Samaranch, dimissionario per sopraggiunti limiti di età – prese la decisione di pagare anche quello contratto successivamente con Pechino, alla quale era stata preferita Sidney per l’assegnazione dei primi Giochi del terzo secolo delle Olimpiadi moderne.
Pur arrivato con otto anni di ritardo, il governo della Repubblica Popolare Cinese accettò di buon grado il risarcimento, maturato addirittura al secondo turno di votazione (fatto senza precedenti, mai una candidata aveva raggiunto così presto la maggioranza assoluta). «La vincita dell’offerta olimpica del 2008 è un esempio internazionale della Cina, di stabilità sociale, del progresso economico e della vita in buona salute per il popolo cinese». Al di là della prosa involuta, ciò che il vice-premier cinese Li Lanqing intendeva dire era che questo benedetto ventunesimo secolo sembrava finalmente avviarsi a poter essere considerato il secolo cinese, così come il precedente era stato considerato il secolo americano.
Negli stessi giorni, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (W.T.O.) aveva ammesso nel suo consesso la stessa Cina, aprendole le porte principali della poderosa espansione economica che stava comunque già prendendo il via. I giochi della XXIX^ Olimpiade erano un grandioso spot pubblicitario per questa nazione di oltre un miliardo di abitanti (senza contare i suoi figli sparsi per il globo) che aveva dichiarata chiusa nei fatti l’esperienza comunista e aveva cominciato a comprarsi quel mondo verso cui una volta aveva provato tanta ostilità, peraltro ricambiata.
La macchina organizzativa che si mise in moto all’indomani della decisione del C.I.O. ha dell’incredibile, se considerata senza tener conto delle capacità direttive di uno stato che affondava le proprie origini nella notte dei tempi e che poteva vantare un passato imperiale prima e comunista poi durante i quali era stato realizzato più di un miracolo, nonché delle capacità di risposta di un corpo sociale dalle infinite doti di sopportazione da un lato e di produzione in senso lato dall’altro.
Le Olimpiadi del 2008 costarono alla collettività cinese 40 miliardi di dollari per la costruzione di impianti, infrastrutture, energia, trasporti e approvvigionamenti di risorse varie. I due miliardi necessari alla costruzione degli impianti furono finanziati da imprese americane in cambio della partecipazione ai diritti di proprietà post-olimpici. Furono realizzati dal nulla in soli due anni impianti come lo Stadio Nazionale di Pechino e lo Stadio Nazionale Indoor, l’Olympic Green o Parco Olimpico, il Wukesong Baseball Field.
Un ulteriore sforzo prodigioso fu sopportato dalla Cina nel reperimento del personale necessario al funzionamento delle strutture olimpiche, circa 11.000 volontari. La Cina inoltre forzò se stessa, per la prima e forse unica volta finora, al rispetto degli standard internazionali in materia sia di inquinamento che di qualità alimentare. Di più, funzionari governativi percorsero il paese in lungo e in largo, come avevano fatto i vecchi funzionari imperiali in altre epoche, per selezionare e reclutare tutti quei bambini e ragazzi che minimamente promettevano nelle discipline sportive che sarebbero andate in gara nel 2008. Attraverso un processo di selezione durissimo, i migliori venivano alla fine iscritti alla squadra olimpica, mentre gli altri tornavano ad un oblio ed a condizioni di vita inimmaginabili.
Difficile spiegare, se non con l’intervento di una pianificazione ultradeterminata o addirittura spietata, il boom della Cina anche in termini di successi sportivi. Fino ad Atene, la RPC era stata una potenza olimpica al massimo da quarto posto nel Medagliere, quando le era andata più che bene. A Pechino, la squadra di casa stravinse, con 51 medaglie d’oro, 21 d’argento e 28 di bronzo. Un risultato che non aveva precedenti nemmeno ai tempi delle superpotenze dopate della Guerra Fredda. Una presenza cinese ai vertici di tutte le discipline olimpiche che non aveva riscontro né spiegazioni plausibili, a meno di non voler credere alle storie di magia.
La fiamma olimpica arrivò a Pechino girando i quattro angoli del mondo, ma evitando accuratamente Taipei, con cui la Cina che continuava a definirsi comunista non aveva trovato pace malgrado né Mao Tze Tung né Chang Kai Shek fossero più di questo mondo. Altri simboli di un passato restio a morire, le due Coree illusero tutti di volersi presentare come una Squadra Unificata, rinunciandovi quando ormai il braciere stava per essere acceso. Si discusse a lungo anche dell’opportunità di portare la fiaccola sulla vetta dell’Everest. Dalla cima della montagna più alta del mondo si vede il Tibet. E la Cina vuole che il mondo si dimentichi del Tibet, e della sorte che ha avuto per sua mano. Per solidarietà sempre con il Tibet, una quantità di personalità – da Carlo Principe di Galles a Pietro Mennea – finirono per disertare i Giochi di Pechino.
La suggestiva cerimonia di apertura, orchestrata dal regista Zhang Yimou come se fosse uno dei suoi film evocativi del passato e della cultura cinesi, riepilogò la strada millenaria che quel paese aveva percorso per presentarsi finalmente ad un mondo colto assolutamente di sorpresa come la probabile superpotenza del futuro. Steven Spielberg, a cui era stata offerta l’organizzazione sia di quella cerimonia che di quella di chiusura, aveva rifiutato per protesta contro la politica cinese in un altro angolo sofferente del mondo, il Darfur sudanese.
Ma ormai era tempo di Giochi, di gare e di medaglie. E Olimpia rinnovò la sua magia anche in terra cinese. L’Italia si confermò nei primi dieci del Medagliere, con otto ori, nove argenti e 10 bronzi. Sul gradino più alto finirono una Valentina Vezzali all’apice della sua leggenda nel Fioretto, una Federica Pellegrini che aveva appena cominciato la sua nel Nuoto, un Alex Schwarzer che non aveva ancora iniziato il suo controverso rapporto con il doping, un Roberto Cammarelle che rinnovava la prestigiosa storia della Boxe azzurra olimpica, altri campioni come Matteo Tagliariol nella Spada, Giulia Quintavalle nel Judo, Chiara Cainero nel Tiro a Volo, Andrea Minguzzi nella Lotta Greco-Romana. Leggende che si prolungavano all’infinito erano inoltre quelle scritte sugli argenti di Alessandra Sensini e di Josefa Idem.
Michael Phelps compì l’impossibile: superare quel mostro che era stato Mark Spitz a Monaco 72, con otto medaglie d’oro. Gli Stati Uniti fecero incetta in quasi tutti gli sport di squadra. Le sorelle Williams aggiunsero la medaglia d’oro olimpica al loro palmares tennistico nel Doppio. Nel Calcio, l’Argentina bissò Atene, prendendosi la rivincita del 1996 sulla Nigeria. Al quarto posto del Medagliere complessivo sorprese la Gran Bretagna, che aveva preparato per tempo evidentemente l’Olimpiade successiva. Quella che si sarebbe svolta a casa sua.
Please Stay, Guests from Afar, cantava un coro di 56 cantanti in rappresentanza di tutte le etnie cinesi nella cerimonia di chiusura. Restate, per favore, ospiti che venite da lontano, alla fine anche la superba Cina si era commossa a contatto con le nazioni ed i popoli del resto del mondo, rimpiangendo la fine di quei quindici favolosi giorni dell’agosto 2008.
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