Politica

Oltraggio alla Catalogna

Con la vicenda della indipendenza catalana la categoria della farsa fa ufficialmente il suo ingresso nella storia spagnola. La storia di un paese che, nel bene e nel male, siamo sempre stati abituati a considerare permeata, attraversata, intrisa di una certa tragica grandezza, una serietà a volte eccessiva, ma comunque ammirevole. Soprattutto da parte di chi, come il nostro paese ed il nostro popolo, ha ammantato di toni tragicomici, da operetta molti momenti che avrebbero dovuto essere vissuti come assai più drammatici.

Chissà se Carles Puidjemont e Mariano Rahoy, per le rispettive competenze, hanno una vaga idea del danno arrecato all’immagine internazionale del loro paese. E con loro i sostenitori rispettivamente di una indipendenza ridicola e di una linea dura che avrebbe meritato se non una miglior causa un miglior momento.

La sera del 6 ottobre, mentre si attendeva che il Parlament de la Generalitat de Catalunya si riunisse per ascoltare lo storico discorso del suo presidente, si poteva avere la sensazione che la storia si ripetesse. La data non era scelta a caso. Sempre il 6 ottobre, nel 1934, la Catalogna si era dichiarata indipendente e repubblicana. Erano i tempi in cui il Frente Popular ereditava la difficile situazione creata dalla fine della monarchia di Alfonso XIII, dalla dittatura di Miguel Primo de Rivera, dalla progressiva prima e repentina poi svolta a sinistra che un’Europa sempre più a destra mal tollerava, insieme agli ambienti clericali e militari spagnoli.

L’epilogo fu immediato e drammatico. Madrid rispose il giorno dopo sospendendo le istituzioni catalane e occupando Barcellona con l’esercito. Erano i prodromi della Guerra Civile che avrebbe insanguinato il paese e tenuto poi la Spagna in disparte nella storia europea per quarant’anni.

A sentire le voci dei catalani intervistati all’uscita del Parlament il 6 ottobre di 83 anni dopo, probabilmente gli stessi discorsi di allora, ma molta, molta minore consapevolezza. Sentir parlare di opresores fascistas aveva un senso nel 1934, ne ha molto meno nel 2017. Soprattutto in bocca a ragazzi che non si rendono conto del mondo in cui vivono, grazie a sforzi e sacrifici anche sanguinosi delle generazioni precedenti. Quegli sforzi che loro, e chi fa finta di guidarli, adesso si accingono a compromettere di nuovo, allegramente.

Soprattutto perché, in questa seconda edizione dell’indipendenza della Catalogna stavolta appunto la fa da padrona la farsa, non certo la tragedia.

Puidjemont tiene un discorso che non è destinato a passare alla storia, né a promuovere eventi suscettibili di farlo. Lo si capisce, per chi ha un po’ di orecchio politico addestrato, fin dalle prime battute. Pressato da una parte dalla tigre che cerca di cavalcare, quella di un indipendentismo risvegliato incautamente e senza motivo (o per prosaici motivi di cassetta), e dall’altro da un gobierno central che – come 83 anni prima, mutatis mutandis – non pare veder l’ora di intervenire con la forza, come già pochi giorni prima durante la consultazione referendaria, Puidjemont se la cava con un escamotage da politico d’aula, non da capo rivoluzionario. L’indipendenza è non dichiarata ma prospettata, e tuttavia subito sospesa. Per non compromettere un dialogo che ai più appare subito inesistente, inattuabile.

Palla a Madrid, e soprattutto sguardo e atteggiamenti rivolti all’Europa, all’opinione pubblcica internazionale, nel tentativo di farle intervenire accreditando un’immagine brutale, antidemocratica, inammissibile del governo spagnolo. Da quel momento, diventa una farsa a due, anzi a tre. Prima il re dimostra di non aver appreso nulla né dalla lezione di suo padre né dalla sua storia patria, e parla alla Catalogna come ad un gruppo di ribelli a cui minaccia il peloton de ejecuciòn.

Poi Mariano Rahoy, che dimostra di non aver capito nulla, o di aver capito tutto fin troppo bene. Mi dovete dire se avete dichiarato l’indipendenza o no, cosicché io possa far intervenire le forze speciali e possa sopprimere (Costituzione alla mano, art. 155) la vostra autonomia. Insomma, parlate all’Europa o parlate alla Spagna?

Da quindici giorni, portando avanti un dramma storico di cui l’Europa, la Spagna, il Mondo non avevano alcun bisogno e che rischia di complicare tra l’altro la già difficile situazione della UE (ogni paese ha almeno una regione che ogni tanto rinfocola uzzoli di autonomia se non di secessionismo), Rahoy e Puidjemont portano avanti una manfrina, un dialogo tra sordi, parlando a nuora perché suocera intenda, minacciandosi a vicenda di fare o non fare se l’altro farà o non farà quello che in realtà nessuno avrebbe rispettivamente voglia di fare. Ma tant’é, si sono cacciati in un angolo, e con loro ci hanno cacciato tutti gli spagnoli, e tutti noi che assistiamo impotenti.

Abbiamo in mente George Orwell, mentre assistiamo agli eventi di Barcellona. Ma il suo Omaggio alla Catalogna (a quella Catalogna che si meritava di essere omaggiata in un’epoca ben più difficile di questa) dei ragazzotti che parlano non appena si mette loro un microfono sotto il naso in realtà non l’ha letto sicuramente nessuno.

Questi ragazzi vanno alla rivoluzione con la maglia di Messi.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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