Il 9 luglio 2006 all’Olympiastadion di Berlino l’Italia conquista il quarto Mondiale di calcio della sua storia, 24 anni dopo il precedente e a conclusione di un cammino abbastanza simile. Gli Azzurri partono accompagnati dalla disistima generale di tifosi e addetti ai lavori, e con lo scandalo di Calciopoli appena scoppiato, che fa temere per la stessa sopravvivenza del calcio italiano.
Ma una volta in Germania, scatta dentro di loro la stessa molla che era scattata in Spagna 24 anni prima. Il gruppo fa quadrato, i gol arrivano (segnano tutti, non solo i goleadores), gli avversari sono superati uno alla volta in un crescendo che non ammette repliche e che culmina nell’ennesima batosta inflitta ai padroni di casa tedeschi. Sembra una questione da dirimere ai calci di rigore, stavolta, ma prima una magia di Pirlo finalizzata dalla sorpresa Grosso e poi un’altra magia di Del Piero imbeccato da Gilardino portano l’Italia sugli scudi e lasciano la Germania nella polvere. A Berlino in finale ci andiamo noi, come esclama il telecronista Fabio Caressa. Che ancora non lo sa, ma è destinato pochi giorni dopo a ripetere la celebre esclamazione finale di Nando Martellini dallo stadio madrileno Santiago Bernabeu, 24 anni prima. Campioni del mondo, solo adesso ripetuto quattro volte, e non più tre.
Con la Francia in finale è roba dura, rissa da clan dei marsigliesi e la testata di Zidane a Materazzi sembra chiarire una volta per tutte a che gioco si giochi, anche se finisce per tarpare le ali ai galletti transalpini per i quali tifa platealmente la stessa FIFA. A Luca Toni viene annullato un gol che grida vendetta, alla fine la roulette dei rigori assegnerà il titolo 2006, come aveva già fatto per quello 1994, una ricorrenza infausta per gli Azzurri.
Ma stavolta Baggio è vendicato, a sbagliare è Trezeguet, a scrivere la sentenza è un altro romano dagli occhi di ghiaccio, dopo Francesco Totti che aveva salvato la patria contro l’Australia: Fabio Grosso spiazza Barthez, libera la gioia italiana ed il grido di vittoria di Caressa e Bergomi.
Sono passati quattordici anni, e da allora il calcio italiano sembra essere precipitato in una crisi irreversibile, anche se l’attuale CT della Nazionale Roberto Mancini si è pubblicamente impegnato a dimostrare il contrario. Nel frattempo, si vive di ricordi, immagini accompagnate dalla musica come quella rivisitazione della Seven Nation Army dei White Stripes che diventò il tormentone di quel Mondiale e di quell’estate italiana.
O come quella canzone leggendaria che Bono e gli U2 avevano già concesso a Mary J. Blige di rivisitare, ed a cui i ragazzi di Marcello Lippi offrirono il contributo di immagini per la confezione di un video sportivo musicale che non ci stancheremo mai di rivedere.
Fino a che qualcun altro vestito di azzurro ci farà gridare campioni del mondo cinque volte di seguito.
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