Cinema

Orfani di Albertone

A Piazza San Cosimato, a Trastevere, una targa ricorda Alberto Sordi, romano de Roma nato il 15 giugno di più di cento anni fa. E te credo, avrebbe detto lui….. Nel suo rione, come in tutta Italia, egli ha incarnato l’italiano medio come nessun altro, con tutti i suoi grandi difetti e le sue piccole virtù.

Pensa un po’ te, come avrebbe detto Albertone…. Perfino Stefano, figlio di Giulio Andreotti, volle omaggiarlo ricordando il rapporto speciale (e non a caso significativo) che lo statista ebbe con l’attore e regista al punto da lasciarsi coinvolgere – lui, uomo schivo per antonomasia – nel film Il tassinaro.

Stefano Andreotti pubblicò una lettera che Sordi aveva scritto a suo padre anni prima per ringraziarlo a sua volta degli auguri ricevuti da lui per il compimento dei 70 anni. «Grazie Presidente – aveva scritto Sordi – per il suo affettuoso pensiero. Tratteniamoci a lungo e bene altri tre o quattro decenni (dall’espressione del S. Padre) con la Sua Apostolica Benedizione. Cento di questi giorni Presidente dal suo dev.mo Alberto Sordi».

Quante volte l’abbiamo detto? Sì, Albertone è l’italiano medio. E con questa frase breve, concisa e carica di significati per nulla reconditi abbiamo sempre inteso sintetizzare al massimo – e a volte magari con un po’ di sufficienza – una vita ed una carriera: quella del più grande attore italiano di tutti i tempi.

Senza se e senza ma. E’ stato il più grande per la bravura in scena, per la simpatia sul set e nella vita di tutti i giorni, e soprattutto per quella sua capacità di far ridere ma anche riflettere incarnando come nessun altro pregi e difetti dei suoi connazionali. Il tenente colto di sorpresa l’8 settembre («Signor comandante, accade un fatto incredibile, i tedeschi si sono alleati con gli americani!»), il medico della mutua, il venditore di armi, l’americano a Roma, l’italiano in America, il tassinaro, e altri cento. Storia di un italiano, intitolò tanti anni fa la RAI una antologia dei suoi film che spopolò. Li avevamo visti tutti decine di volte, li rivedemmo per l’ennesima volta. Era la storia di tutti noi italiani, non di uno solo, per quanto fosse il più simpatico.

Simpatica canaglia, come a volte lo siamo un po’ tutti noi abitanti del Belpaese. Con quella faccia un po’ così riassumeva tutte le nostre facce, di italiani del dopoguerra, del boom economico, degli anni di piombo e del riflusso. Con quella voce e quella mimica poteva dire e fare quello che voleva. Da doppiare Oliver Hardy come nessun altro (la voce italiana di Ollio supera in comicità di gran lunga quella originale di Babe), a rendere immortale il gesto dell’ombrello nei Vitelloni («Lavoratoriiiiii!», quante volte l’abbiamo rifatto, pronti a scappare via come lui rincorsi da qualche malcapitato operaio?).

Poteva perfino cantare, senza sfigurare rispetto a nessuno. Come in quella You never told me (Breve amore) colonna sonora di uno dei suoi capolavori, Fumo di Londra, sulle cui note si lasciò indietro nientemeno che Julie Rogers, e che oggi vogliamo riproporvi come brano del giorno. Il suo giorno.

Goodbye Albertone. Non è stato un amore né breve né di poco conto. Non ti dimenticheremo mai. Non possiamo. Sei la nostra storia.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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