Doveva arrivare quel giorno. E alla fine è arrivato e passato, anche se, come scrissero i tifosi romanisti a Francesco Totti, speravamo de mori’ prima.
Valentino Rossi pilota ha chiuso la sua storia ieri, ed è entrato nella leggenda. La storia lo colloca al numero tre della classifica dei piloti più titolati di tutti i tempi, in coabitazione con Carlo Ubbiali e Mike Hailwood. Al primo posto resta Giacomo Agostini con i suoi quindici titoli, e probabilmente a questo punto per sempre visto che nemmeno Vale è riuscito a spodestarlo. Ma il Dottore chiude con un piazzamento più che onorevole: nove titoli, insidiato nel prossimo futuro solo da Marc Marquez che ne ha collezionati finora otto. Anche se c’è un titolo che né Marquez né nessun altro fenomeno degli anni a venire potrà mai togliergli. Valentino Rossi sarà per sempre l’unico pilota ad aver vinto l’iride in quattro categorie diverse: 125, 250, 500 e Moto Gp. Inarrivabile, anche perché la 500 ormai non c’é più.
Ma se fossero i numeri a spiegare la grandezza di un campione e la portata del suo mito, lo sport in generale ed il motociclismo in particolare sarebbero alla fine ben poca cosa. Non si parlerebbe mai di sogno, e invece per tutta la carriera del figlio di Graziano non si è fatto altro. Vale ha avvicinato al motociclismo una gran folla di persone per le quali era stato fino al momento del suo arrivo sulla scena uno sport a volte non interessante, a volte addirittura temuto se non detestato.
E’ lo sport che ogni mamma spera che il figlio non scelga mai di praticare, quello della moto. Stefania Palma, moglie di Graziano Rossi promettente pilota degli anni 70, oltre al marito ha avuto due figli per cui trepidare ad ogni curva, ad ogni staccata, ad ogni istante della loro carriera. Valentino, che a due anni già faceva le derapate nel piazzale dove il padre lo portava a scorrazzare con il suo motorino a rotelle, e Luca Marini, il fratellastro avuto in seconde nozze e che a sua volta era inevitabile che ripercorresse le pur proibitive orme del fratello leggendario.
Vale sulla moto in pratica c’è da quando aveva tre anni. E’ nato a Tavullia in provincia di Pesaro Urbino, quando il babbo Graziano sembrava che potesse raccogliere l’eredità del grande Ago insieme ad altri enfants prodiges del motociclismo italiano di allora come Lucchinelli e Uncini. Ma più del motorhome con cui il padre si spostava lungo i circuiti del campionato mondiale la sua vera casa è diventata ben presto Misano Adriatico, non appena ha cominciato la scalata alle categorie a partire dal campionato Sport Production in cui esordì a 13 anni nel 1992 fino a quella classe regina, la MotoGp, che ieri l’ha salutato commossa e che adesso si chiede chi potrà raccoglierne il testimone nel cuore degli aficionados di tutto il mondo.
Sì, perché – non ce ne voglia nessuno, tantomeno quel Marquez che vorrebbe eguagliare e superare i suoi successi e che sfida la sorte ogni domenica quanto e come faceva lui ai tempi d’oro – prendere il posto di Valentino nel mondo delle due ruote sarà un’impresa proibitiva per chiunque. Non c’è pista del motomondiale che non avesse il suo parterre interamente dedicato ai tifosi dal colore giallo e dalla bandiera con il numero 46. Quel numero che Vale si era scelto in omaggio al padre ed all’idolo di gioventù Noorifumi Abe e che adesso andrebbe soltanto ritirato, perché non c’è carena di moto che si meriti d’ora in poi di averlo verniciato sopra.
Vale non era un campione, era molto di più. Era un sogno, come gli ha detto abbracciandolo ieri nel paddock di Valencia il fenomeno Ronaldo venuto apposta dal Brasile ad omaggiare il passo d’addio di un altro fenomeno.
Ce n’è uno o poco più di uno per ogni sport, Ronaldo appunto, Valentino Rossi, Michael Jordan, Ayrton Senna, John McEnroe, Fausto Coppi, Mohamed Alì, fenomeni che eccitano l’immaginario delle folle a bordo pista, a bordo campo, a bordo ring come nessun’altro, a prescindere dai loro risultati che comunque non sono da poco, anzi. E’ il loro modo di stare in campo e poi quello di starne fuori, davanti ai microfoni, davanti ai tifosi, davanti agli avversari, davanti alle autorità, davanti al mondo intero che sogna con loro e per loro, ma che i significati di quel sogno non potrà in verità comprenderli mai. Men che meno il giorno dopo il risveglio, quello dell’addio.
Come Alì, Vale svolazzava come una farfalla e pungeva come un’ape. Diversamente da Alì, lo faceva tenendo a briglia l’attrezzo sportivo più pesante, faticoso, pericoloso che ci sia: la moto da corsa. Un cavallo imbizzarrito di una tonnellata che ad ogni curva affrontata piegandoti parallelamente al terreno combatte con l’istinto di sbalzarti di sella e con il tuo braccio e le tue spalle che tentano di ripetere una volta di più il miracolo con cui riesci ogni volta a domarlo.
Come i più grandi dei campioni e dei fenomeni, Vale non ha mai temuto niente e nessuno. Né il rischio per sé, che probabilmente ha lasciato da gestire interamente alla madre, al padre e a chi lo ha aspettato in tutti questi anni a bordo pista. Né quello per gli altri, anche se forse c’è stata una volta in cui lo abbiamo visto sconfitto, prostrato, malgrado il suo carattere sempre positivo ed esuberante ad ogni costo: quel 23 ottobre del 2011 a Sepang, quando non riuscì ad evitare che la sua ruota andasse assieme a quella di Hayden sul collo di uno dei suoi più cari amici, Marco Simoncelli.
Quel giorno il Dottore decise di continuare, come ci dicevano da piccoli dopo le cadute di bicicletta: risali subito in sella, o non ci risali mai più. Decise di continuare anche dopo Valencia 2015, quando la sorte gli inflisse la più amara delle beffe. Dovettero mettersi in tre quel giorno, Jorge Lorenzo, Marc Marquez e Dani Pedrosa per tenere Valentino lontano dal podio e da quel titolo mondiale che si era strameritato, che sarebbe stato il suo decimo e che l’avrebbe issato al terzo posto assoluto dei plurivincitori, dietro Agostini (15) ed Angel Neto (13). Il trio spagnolo fece squadra e galleta (biscotto) e dette quella corona iridata alla penisola iberica. Fu l’ultimo titolo anche per Jorge Lorenzo, che visse poi anni complicati alla Ducati e che ha finito per precedere il suo amico rivale nel ritiro. Da allora, come era successo nel tennis a McEnroe dopo l’addio di Borg, a Valentino forse era come se fosse venuto a mancare un punto di riferimento esistenziale imprescindibile prima ancora che sportivo. La fine della corsa si era fatta d’improvviso più vicina anche per lui.
Ieri Valencia ha restituito allo sconfitto di allora gli onori che si tributano al vincitore. La gigantografia del volto di Valentino basta più di mille parole a descrivere il sentimento che gravava su tutta la MotoGp. Vale ha concluso decimo, ma è un dettaglio che non interessa a nessuno. Da tempo le moto che inforcava non rispondevano più ai suoi requisiti, al suo istinto, al suo stare in pista. Da tempo, forse, anche il suo fisico non rispondeva più esattamente ai suoi impulsi cerebrali. E’ la legge dello sport e della vita, la testa ti direbbe ancora cosa fare ad ogni match, ma il tempo è passato ed il tuo corpo è diventato più simile a quello del tuo manager che a quello dei tuoi agguerriti avversari, giovanissimi leoni che ti portano sempre meno rispetto.
Nella testa sei ancora il bambino che papà Graziano portava su quel piazzale a prendere confidenza con il tuo primo motorino a rotelle. Ma i tuoi nervi ed i tuoi muscoli ormai sono quelli di un signore di quarant’anni che sta aspettando a sua volta il suo primo bambino. Tra poco sarà lui a chiederti di portarlo su quel piazzale a provare quel motorino, e puoi ringraziare il Dio dei piloti che tu quel giorno ci potrai essere.
Dopo il traguardo, Vale è sceso dalla sua ultima moto da corsa ed è andato ad abbracciare tutti, meccanici, tifosi, amici. Tutto il mondo, che ha sognato con lui ad occhi aperti per l’ultima volta. Se ha pianto, l’ha fatto dopo, da solo, nascosto alla vista di chiunque, come la sera in cui morì il Sic.
The show must go on, dice la regola dello sport spettacolo. E allora, perché stamani c’è in tutti la sensazione che sia finita ben più che un’epoca?
«Cosa vorrei come regalo? Vorrei indietro il Sic.»
(Valentino Rossi)
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