Musica

Perché Sanremo è Sanremo

Mi avessero detto che un giorno avrei scritto un articolo a difesa del Festival di Sanremo, non ci avrei creduto. Appartengo da tempo ormai immemorabile alla categoria (consapevolmente minoritaria) di coloro che, se appena possono, non lo guardano.

Ne seguo spezzoni più per compiacere la mia compagna, che appartiene altrettanto consapevolmente e gioiosamente alla maggioranza, che per mero atteggiamento giornalistico. Anche se a Sanremo succede sempre qualcosa, nel bene e nel male. Qualcosa di cui è difficile non parlare, i giorni seguenti.

Questa edizione, la settantatreesima, la quarta a conduzione Amadeus, non ha fatto eccezione, anzi. Come ognuna delle precedenti, almeno in epoca contemporanea, si lascia dietro il suo bel bagaglio di polemiche. Come sempre, per lo più artefatte.

E’ l’edizione in cui distinguere la musica italiana da quella del resto d’Europa e del mondo ormai è quasi impossibile, e non è detto che sia un male. E’ l’edizione record, 63% di share, non succedeva dal 1997, l’anno dei Jalisse. 66% se si aggiunge il picco scontato della proclamazione di Marco Mengoni vincitore, e quello meno scontato e francamente assai discutibile del discorso di Zelensky. Come se di discorsi non ci bastassero quelli del nostro presidente della repubblica ed avessimo bisogno di sorbirci anche quelli del presidente dell’Ucraina. In compenso, il picco assoluto dei telespettatori si è registrato durante l’esibizione dei Depeche Mode, nell’ultima serata, con 15 milioni e 674mila spettatori, e questo francamente per quelli della mia generazione è un dato fuori discussione.

E’ l’edizione del bacio gay di Rosa Chemical a Fedez, con tanto di finta indignazione della di lui consorte e conduttrice aggiunta Chiara Ferragni. I due, marito e moglie, sono due notori furboni, sanno come comunicare ed influenzare la platea dei giovani spettatori di oggi. Ha un bel dire il Chemical che il suo bacio non era preparato a tavolino, ci crediamo come alla validità di una moneta da tre euro.

E’ l’edizione forse anche del record di polemiche. Il centrodestra attacca la RAI per aver imbastito l’ennesima edizione di ispirazione comunista (cfr. Salvini e Berlusconi), il centrosinistra attacca tutti quelli che non sottoscrivono il testo dei monologhi. In mezzo, Amadeus e Gianni Morandi, che possono godersi adesso il meritato riposo consapevoli di aver sbancato il botteghino una volta di più con la loro bravura e simpatia. Dice Amadeus, a chi chiede la sua testa: «se devo andare, vado, ma per me parlano i numeri». Gianni non dice niente, ne ha viste talmente tante da sapere, e se non lo sa lui, che uno su mille ce la fa. Da sessant’anni a questa parte, del resto, quell’uno è sempre lui.

E’ l’edizione dei monologhi, e come per il bacio gay non comprendiamo le intemperanti esternazioni degli indignados di una parte e dell’altra. Il Festival è il momento di massima penetrazione televisiva nelle case degli italiani. Lo spettacolo più seguito insieme al campionato di calcio, e non solo in Italia. Se vuoi dire qualcosa, se pensi di avere qualcosa da dire, quello è il momento.

Il body-dress di Chiara Ferragni

Certo, ognuno lo fa con il suo stile, e non a tutti piace. La letterina stile a Pinocchio di Chiara Ferragni o il delirio finto-rozzo e antigovernativo del marito Fedez (ad ogni buon fine prima ha interpellato il suo avvocato penalista, per sua stessa ammissione). Il monologo antirazzista di Paola Egonu (non siamo italiani brava gente come ci hanno cantato le filastrocche nazionali da tutto il secolo precedente a questo, ma forse il nostro razzismo apparente dipende solo dalla difficoltà di accettare una immigrazione a cui la nostra economia, non la nostra psicologia, non era preparata, e questo sarebbe bene che Paola Egonu lo considerasse un po’ di più). Il monologo contro il carcere minorile di Nisida, quello contro regime iraniano, l’atmosfera generale pro-Ucraina e il sentimento contrario al regime della vicina Russia. Chi più ne ha più ne metta, e finalmente quest’anno un sobrio ma efficacissimo Amadeus ci ha messo anche quello di comemmorazione del Giorno del Ricordo e dei martiri delle foibe nella Venezia Giulia.

L’Ariston di Sanremo è una grande vetrina per tutti, non solo per i cantanti. Chi vuole farsi vedere e sentire salga sopra il palco e chieda il microfono. Il gioco è questo, e lo abbiamo accettato da settantatre anni a questa parte senza battere ciglio, anzi chi più e chi meno divertendoci. C’é ancora chi si scandalizza? C’é ancora chi vuole le dimissioni di tutta la RAI, e l’esilio per Amadeus e compagni? C’é ancora chi accusa Gianni Morandi di essere comunista?

Intanto, mentre infuria la polemica, c’é già magari chi lavora all’edizione dell’anno prossimo. E siccome per scandalizzare pubblico e benpensanti c’é rimasto ben poco, sta pensando di far baciare sulla bocca un cane o un gatto (o perché no, un varano di Komodo) da parte della stellina di turno.

Sanremo è Sanremo, diceva ai suoi tempi d’oro uno che il Festival lo conosce bene. Vero, Pippo Baudo? Quanta strada dai monologhi di Benigni a quelli di Fedez. L’anno prossimo chissà dove ci porterà questa strada.

Intanto io ho dato il buon esempio. Ho difeso – io! – Sanremo, e non perché me lo ha chiesto la mia compagna. Libertà vo cercando ch’é sì cara…..

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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