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Philadelphia, 4 luglio 1776

«Si decide: che queste Colonie Unite sono, e di diritto debbono essere, stati liberi e indipendenti, che sono assolte da ogni dovere di fedeltà verso la corona Britannica e che ogni vincolo politico fra esse e lo stato di Gran Bretagna è, e deve essere, del tutto sciolto.»

La risoluzione proposta da William Henry Lee rappresentante della Virginia, la più antica e prospera delle colonie britanniche in Nordamerica, fu votata il 2 luglio 1776 dal Congresso Continentale riunito a Philadelphia. Le tredici entità che lo componevano entrarono sostanzialmente in seduta come colonie e ne uscirono come stati indipendenti, dopo la sua approvazione.

Quella sera il deputato del Massachussets John Adams, che un giorno sarebbe diventato il secondo presidente della storia della Federazione che stava nascendo, scrisse alla moglie: «Il secondo giorno di luglio del 1776 sarà l’evento più memorabile della storia dell’America. Sono portato a credere che sarà celebrato dalle generazioni future come una grande festa commemorativa. Dovrebbe essere celebrato come il giorno della liberazione, attraverso solenni atti di devozione a Dio Onnipotente. Dovrebbe essere festeggiato con pompe e parate, con spettacoli, giochi, sport, spari, campane, falò ed illuminazioni, da un’estremità di questo continente all’altra, oggi e per sempre».

La previsione era azzeccata, solo la data era imprecisa. La ricorrenza memorabile sarebbe stata quella di due giorni dopo, allorché il deputato virginiano Thomas Jefferson presentò al Congresso la sua dichiarazione redatta insieme ad altri quattro (John Adams del Massachussets, Benjamin Franklin della Pennsylvania, Robert R. Livingston di New York e Roger Sherman del Connecticut), con la quale veniva formalizzato il nuovo status giuridico delle ex colonie e veniva – appunto – dichiarata al mondo intero la filosofia del diritto sulla base della quale i cittadini che da quel momento si chiamavano americani vi avrebbero vissuto.

La Dichiarazione di Indipendenza veniva da lontano. Dalla Magna Charta del 1215 con cui i nobili inglesi avevano per la prima volta posto limiti al diritto divino del loro monarca, Giovanni Senzaterra, e da un lungo processo storico e normativo culminato nel Bill of Rights del 1689, con cui al termine della Gloriosa Rivoluzione il parlamento inglese aveva stabilito una volta per tutte i diritti dei sudditi nei confronti di re, nobiltà ed ogni potere costituito.

Salvo poi però dimenticarsene quando circa un secolo dopo i sudditi inglesi del Nordamerica, vessati dalle tasse che Sua Maestà Giorgio III imponeva loro senza remissione per finanziare le sue guerre di conquista in tutto il mondo, reclamarono per sé gli stessi diritti e se li sentirono negare, sulla base dell’assunto che essi si estendevano soltanto agli inglesi della Madrepatria.

In mano a pensatori radicali come Tom Paine e soprattutto ai moschetti dei Minutemen che avevano aperto il fuoco contro le Giubbe Rosse circa un anno prima a Concord e Lexington, la questione era degenerata passando dall’ambito della filosofia del diritto a quella della rivoluzione. La prima rivoluzione popolare della storia moderna.

Quando Jefferson lesse la sua Dichiarazione al Congresso di Philadelphia, inglesi e americani si combattevano ormai da più di un anno e da un anno esatto George Washington era stato nominato comandante in capo dell’esercito continentale con cui le Colonie si difendevano dalla rappresaglia del re. Il 4 luglio, con il voto del Congresso cessò ogni illusione di poter ricomporre la contesa secondo il vecchio schema imperiale. Quel giorno, gli Stati Uniti d’America ebbero il loro certificato di nascita. Il giorno che Adams aveva previsto che sarebbe stato commemorato dalle generazioni di americani a venire sarebbe stato quello.

«In Congresso, 4 luglio 1776

Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo e assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata e uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione.

Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.»

John Hancock firma per primo la Dichiarazione di Indipendenza la sera del 4 luglio 1776

E’ uno degli incipit più famosi della storia. L’originale del documento che si apre con esso, ormai quasi illeggibile, è esposto nei National Archives di Washington, la capitale federale che avrebbe preso il nome dal vittorioso comandante militare dei ribelli che poi lo avrebbero eletto loro primo presidente, insieme alla Costituzione degli Stati Uniti d’America ed ai suoi Emendamenti, nonché al Bill of Rights americano.

«Noi pertanto, Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, riuniti in Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell’Universo per la rettitudine delle nostre intenzioni, nel nome e per l’autorità del buon popolo di queste Colonie, solennemente rendiamo di pubblica ragione e dichiariamo: che queste Colonie Unite sono, e per diritto devono essere, stati liberi e indipendenti; che esse sono sciolte da ogni sudditanza alla Corona britannica, e che ogni legame politico tra esse e lo Stato di Gran Bretagna è, e deve essere, del tutto sciolto; e che, come Stati liberi e indipendenti, essi hanno pieno potere di far guerra, concludere pace, contrarre alleanze, stabilire commercio e compilare tutti gli altri atti e le cose che gli stati indipendenti possono a buon diritto fare. E in appoggio a questa dichiarazione, con salda fede nella protezione della Divina Provvidenza, reciprocamente impegniamo le nostre vite, i nostri beni e il nostro sacro onore».

Il 4 di luglio è l’anniversario della nascita del mondo moderno, e della nostra libertà. Lo festeggiano i cittadini americani, e dovremmo tutti festeggiarlo con loro.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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