Alle ore 14,00 del 26 giugno 2019, dopo 14 giorni trascorsi all’ancora al largo di Lampedusa, la capitana Carola Rackete rompe gli indugi, dà ordine di issare il Jolly Roger e subito dopo quello dell’avanti tutta al macchinista. Direzione, acque territoriali italiane, porto di Lampedusa, e poi chissà.
Se fosse un film della Disney o un romanzo d’appendice ambientato nella Manica al tempo di Napoleone, al largo delle coste del North Carolina durante la guerra civile americana, nello Jutland al tempo della prima guerra mondiale, sarebbe anche una storia avvincente, da seguire col fiato sospeso fino all’ultima pagina.
La verità è che è una storia che ormai ha stuccato, se non disgustato, a meno di non essere Vauro o De Falco. La Sea Watch, la nave pirata che da stanotte sfida apertamente la legge italiana ed internazionale standosene beffardamente alla fonda davanti a Lampedusa, non è un brigantino della Tortuga datosi alla guerra di corsa contro gli odiati conquistadores spagnoli, ma una nave battente bandiera ONG (ed in secondo luogo anche olandese) che si presenta per l’ennesima volta alle porte di casa nostra a provocare il nostro ordinamento giuridico ed il nostro buon senso, prima ancora delle nostre istituzioni.
La capitana Rackete dice di essere cosciente di ciò che aspetta lei, l’equipaggio, l’armatore, una volta che si è messa fuorilegge al cospetto di ogni legge del mare. La sensazione è che quello che lei e chi per lei (o con lei) si aspettano realmente è un nuovo braccio di ferro mediatico e giuridico con il governo italiano. In ballo, più che la vita di 40 migranti clandestinamente arrivati alle coste italiane e che non corrono alcun pericolo, ci sono i rapporti politici e di forza che condizioneranno l’Italia e l’Europa del futuro.
Il vento sta girando impetuosamente nei Mari del Sud, dove fino a poco fa il salvataggio dei naufraghi era un business redditizio. Né le istituzioni europee, né le magistrature comunitarie e nazionali hanno più il coraggio di chiamare sul banco degli imputati un governo e dei ministri che gli italiani hanno legittimamente eletto perché la farsa indegna dei migranti in fuga (nessuno sa bene da cosa, se li mettete accanto a Usain Bolt a primo sguardo avrete difficoltà a capire chi va a Tokyo alle Olimpiadi l’anno prossimo) avesse fine, insieme al carico economico che il loro mantenimento a spasso per le nostre città comporta loro. L’Europa che il 26 maggio scorso ne ha seguito l’esempio, adesso applaude a Matteo Salvini e qualcuno lo propone addirittura per il premio Nobel.
Ma tutto questo nessuno l’ha spiegato alla Rackete, capitana di breve (speriamo) corso e pasionaria del soccorso marittimo strafottente ed extragiudiziale. Con quella particolare fattispecie di fanatismo di cui sono capaci i suoi connazionali tedeschi qualunque sia la causa a cui si votino, lei ripete come un mantra: «sono nata, bianca, tedesca e ricca, aiutare gli africani è un dovere morale». E ignorando sia la risposta del Viminale («e proprio qui devi venire a farlo?») che gli altolà intimati dalla guardia costiera, Carola forza il blocco e va avanti incontro al suo destino.
Che purtroppo, temiamo, non sarà quello di chi viola gravemente la legge (provate voi comuni mortali a forzare un qualsiasi posto di blocco delle Forze dell’Ordine), ma piuttosto quello di chi ha già un posto nei talk show ed un contratto con qualche casa editrice pronti ad attenderla.
La nave corsara Sea Watch con il suo carico di carne umana che farebbe invidia ai negrieri dei secoli dello schiavismo e del colonialismo attende lo svilupparsi o addirittura il precipitare degli eventi. Il circo equestre del PD si è già messo in moto, e sul molo di Lampedusa c’é già chi canta Oh capitana, mia capitana! Nella stessa compagine governativa, scricchiola qualcosa se Di Maio parla di «inopportunità di trascorrere l’estate a litigare con le ONG», senza peraltro chiarire come da questo auspicio più che altro di tipo balneare si possa passare ad una presa di posizione politica concreta.
Dall’altra parte del tavolo governativo, Salvini invoca l’ordine di arresto da parte di un qualunque magistrato. Malgrado il Decreto Sicurezza l’abbia dotato di salvaguardie e risorse che al tempo della Diciotti non aveva, quello zibaldone che è diventato il nostro Codice Penale non consente più evidentemente ad un Ministro della Repubblica – ancorché capo delle Forze dell’ordine – di operare quello che una volta si chiamava fermo di polizia. Ci vuole il magistrato, ed indovinate un po’, nel sistema delle competenze territoriali e soprattutto nel silenzio e nell’indifferenza generale affettata dai colleghi, a chi tocca muoversi? Proprio a lui, l’ormai celebre Luigi Patronaggio, procuratore di Agrigento che tempo fa avrebbe messo volentieri in catene nella stiva il Ministro dell’Interno e che adesso brilla per comportamento omissivo, avendo fatto sapere di non volersene distogliere e con ciò schierandosi di fatto con la ONG fuorilegge.
Tutto tace sul fronte diplomatico, Roma fa un passo formale, Amsterdam non risponde. Ma del resto c’é da chiedersi se è giusto che un governo si faccia carico del comportamento da spostato di qualunque suo cittadino a giro per il mondo. Ci mettiamo anche nei panni dell’Olanda. Un po’ meno in quelli, sempre più laidi, dell’Unione Europea.
Giorgia Meloni nel frattempo invoca a gran voce, usando un vecchio titolo cinematografico riadattato: Affondate la Sea Watch!
Vai a darle torto.
Lascia un commento