«La nostra unica garanzia è Cesare Prandelli». Furono le ultime parole in questa vita, o quasi, di Manuela Righini, prima di soccombere al male che se la portò via prematuramente, privando Firenze della sua coscienza critica più limpida ed efficace.
Erano i giorni in cui la proprietà Della Valle stava perdendo il senso della propria avventura fiorentina. Manuela fece giusto a tempo a vedere liquidare – dai padroni che improvvisamente avevano la Fiorentina e Firenze in gran dispetto, per dirla con Dante – quell’ultima garanzia. Chiuse gli occhi per sempre nei giorni in cui Cesare Prandelli lasciava per l’ultima volta i Campini per trasferirsi a Coverciano. Azzurro al posto del viola.
Quando ad ottobre l’ormai CT della Nazionale tornò a Firenze a giocare una amichevole in preparazione agli Europei del 2012, Andrea Della Valle fece il simpatico apostrofandolo: «Cesare, un giorno mi ringrazierai». E Cesare, imperturbabile, lo freddò con una risposta che è rimasta storica: «Se vuoi, posso farlo anche subito».
Chissà se Manuela Righini si sarebbe mai immaginata che dieci anni dopo quei fatti, e tanta acqua passata sotto i ponti dell’Arno e quasi tutta inquinata, Cesare Prandelli sarebbe stato ancora l’ultima garanzia di Firenze per veder rinascere – ma intanto almeno sopravvivere – la sua Fiorentina. Non se lo immaginava nessuno.
Un anno e mezzo fa Rocco Commisso veniva portato in trionfo dal popolo fiorentino come un signore antico. Aveva appena firmato la compravendita della società viola dai Della Valle, alla fine di una stagione estenuante, l’ultima di una lunga serie peggiorata per soprammercato da un nuovo incubo retrocessione. Firenze aveva seppellito Davide Astori, e temeva fortemente di dover seppellire un’altra volta il labaro viola. Come se per liberarsi di una proprietà ormai vissuta come distante, nemica, non ci fosse altro modo che quello del 2002: retrocessione e fallimento.
Allo zio d’America, per un anno e mezzo, è stato consentito tutto e perdonato anche di più. Dalle smargiassate in stile vetero-Pontello («In borsa ci va chi ha bisogno di soldi, io i soldi ce li ho, e li spenderò per vincere») ai fatti che andavano in direzione uguale e contraria, la stessa che avevano preso i sogni di gloria e di business dei fratelli marchigiani.
Un anno e due allenatori dopo, la luna di miele di Rocco Commisso con Firenze si può dire finita. Le beghe amministrative per la costruzione del centro sportivo e del nuovo stadio, ereditate peraltro da tutte le proprietà precedenti a cominciare da quella del marchese Ridolfi, il fondatore, non riscuotono più la simpatia e la solidarietà di nessuno. Sul tavolo, pardon, sull’erba verde c’è un solo fatto: una Fiorentina inguardabile, salvata forse l’anno scorso dall’emergenza Covid e sulla strada di aver bisogno di analogo evento miracoloso anche quest’anno.
Il patron ha reagito male alle prime critiche. Oscure minacce a giornalisti ed opinionisti gli hanno alienato la simpatia – non certo l’obbiettività – della stampa indipendente citatdina e di chi la tiene ancora come riferimento. Dello stadio improvvisamente non si parla più, i fiorentini si son resi conto che trattasi di favola della buona notte, dove il lupo cattivo peraltro non si sa più chi è, se Nardella o questo Commisso venuto dall’America a ripetere fast, fast, fast! e a concludere (per ora) poco d’altro.
Non è piaciuta nemmeno la fuga a Brooklyn, o dove diavolo risiede il boss, nel momento in cui la Fiorentina sbandava sotto i colpi del non gioco di Iachini, dei prevedibili strascichi dell’affaire Chiesa, di un ridimensionamento che è nella realtà dei fatti e che sta spingendo tutti i giocatori di nome (tanto o poco che sia) rimasti a guardarsi intorno e a prepararsi una prossima stagione altrove.
Con la media di un punto a partita, per la terza annata consecutiva, fai male a rimanere affezionato ad una proprietà che francamente non ne indovina una, né con le parole né con i fatti. Che ha scaricato sulle spalle del povero Iachini tutta la colpa di questa situazione equivoca e largamente prevista come tale questa estate. Non sappiamo se è vera la versione di Bucchioni o quella di Barone, ci sia consentito dire senza rischio di querele (che brutto atteggiamento, mr. Commisso, quando si arriva a minacciare i giornalisti!) che la prima, chissà perché, ci convince di più. Chissà che avrebbe detto a proposito Manuela Righini….
Iachini, questo è certo, non si è dimesso, evitando di sgravare in tal modo la proprietà dal pagamento degli stipendi a più allenatori in contemporanea. Sono e restano tre, dopo Montella e Iachini si aggiunge quello di Prandelli. Chi spende poco spesso spende male, dice un vecchio detto. Ed alla fine finisce per spendere di più. Ma una Fiorentina retrocessa in B, l’ha capito alla fine anche il capo, varrebbe molto meno del prezzaccio a cui lui l’ha strappata ai Della Valle. E poi, vai un po’ a giro per Firenze ostentando come diadema una serie B….. allo store della Tod’s in Via Tornabuoni hanno cominciato adesso a respirare, dopo un paio d’anni di flash mobs e di aria che tira poco simpatica.
E veniamo al mister. Umanamente un grande ritorno. La Fiorentina di Prandelli, quella di Liverpool e di Monaco per intendersi, è assieme a quella del primo Montella la più bella che abbiamo visto all’opera dai tempi di Trapattoni e di Batistuta. Affettivamente, il pensiero di tutti – non solo della povera Manuela Righini, se fosse ancora qui con noi – va inevitabilmente a quel mister che sembrava un motivatore milgiore di Mourinho ed un allenatore migliore di Trapattoni stesso. Senza contare che ormai Cesare è fiorentino adottivo, vive qui e per lui tornare alla Fiorentina è come riassumere una carica pubblica al Comune. E’, come si suol dire, uno di noi.
Certo, il tempo è passato, ed i risultati hanno smesso di parlare per lui dal 2014, dopo il flop della Nazionale azzurra ai mondiali brasiliani, e poi la brutta esperienza sul Bosforo sulla panchina del Galatasaray ed il piccolo cabotaggio che ne è seguito e culminato in quella panchina del Genoa che l’anno scorso lo vide affrontare al Franchi un’altra nostra vecchia gloria, Vincenzo Montella, in uno spareggio salvezza da far parafrasare il titolo di un vecchio film: mio dio come siamo cadute in basso!
Titolo per titolo, film per film, parafrasi per parafrasi, i suoi ultimi risultati fanno dire: come si distrugge la reputazione del più grande allenatore del mondo. Di sicuro, tuttavia, a Firenze Cesare è a tutt’oggi il più benvoluto, e oggettivamente a questo punto della stagione c’è anche poco da scegliere in alternativa.
Resta da vedere, e anche abbastanza presto vista la classifica viola attuale, se lui ha mantenuto quel tocco magico che dieci anni fa tingeva di viola tutto quello su cui si posava. Se questo ritorno sulla panchina che per due volte con lui diventò d’oro può essere destinato a ripetere una vecchia e mai dimenticata magia. Montella non c’è riuscito, i cavalli di ritorno – a Firenze si chiamano così – difficilmente ci riescono.
E’ ancora la nostra miglior garanzia Cesare Prandelli? La rosa che Commisso gli mette a disposizione è largamente inferiore a quella che gli consegnò Della Valle a suo tempo. La difesa in qualche modo può essere assestata come ai bei tempi, se Cesare riesce a motivare i due quasi transfughi Pezzella e Milenkovic e a inquadrare Martinez Quarta in un calcio italiano che come era prevedibile gli sta facendo pagar dazio.
Ma il resto? A centrocampo, ci si può sbizzarrire a paragonare il Castrovilli di adesso al Montolivo di dieci anni fa. Il resto, non si offenda nessuno, è ribongia, più o meno inguardabile. Così come è ribongia l’attacco, a parte Ribery che in quanto a piedi buoni può essere accostato ad Adrian Mutu, ma il resto sono seconde, terze o anche quarte punte.
Aiutaci, Cesare Prandelli, sei la nostra unica garanzia. Così come Obi Wan kenobi era la nostra unica speranza. Se va male anche a te, di cavalli che vogliano tornare a Firenze non ce ne sono più. E dio solo sa del resto cosa troverebbero, a quel punto.
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