Ombre Rosse

Quale Costituzione?

Se lo chiedeva Giuseppe Guarino in un suo saggio del 1980, e con lui tutti noi studenti di diritto pubblico nell’anno accademico 1980-81 alla facoltà di Scienze Politiche e dintorni. Giurista di grido durante tutta quella che di lì a poco avrebbe smesso di chiamarsi Prima Repubblica, ne avrebbe accompagnato fattivamente il collasso, sostenendone convintamente la dissoluzione in quel cimitero delle sovranità nazionali che risponde oggi al nome di Unione Europea.

Noi studenti tutto questo allora non lo sapevamo, sapevamo solo che a leggere con attenzione il saggio del prof. Guarino si delineava davanti a noi una chiave di lettura della storia e del futuro repubblicani che avrebbe di sicuro portato a qualcosa. Chi è vissuto, ha visto.

Giuseppe Guarino

La Costituzione del 1948 era ed è, sulla carta, una delle più formali del mondo. Regima e regola ogni aspetto della vita istituzionale nazionale e dei diritti dei singoli cittadini. Nelle intenzioni dei padri costituenti non tralasciava nulla. Questo per chiudere la porta a ritorni di fiamma come quello che vent’anni prima aveva incenerito lo stato liberale e dato il via alla dittatura da cui ci eravamo appena liberati.

Il potere ed il suo esercizio non piacevano ai costituenti. Ne avevano – ne avevamo – visto all’opera uno che si era reso particolarmente odioso ed il cui esercizio alla fine era costato sangue alla popolazione italiana. I presidenti, a tutti i livelli, erano intesi volutamente come regnanti che non governano, come il re d’Inghilterra, o governano poco, come i nostri presidenti del consiglio che non sono premier ma piuttosto primi inter pares.

La storia dei presidenti della repubblica che abbiamo raccontato è emblematica. Nato con funzione di mera rappresentanza e di notariato governativo, il presidente oltre ad essere il capo di uno stato dove apparentemente non contava nulla si limitava ad un potere di esternazione che andava poco oltre il messaggio di fine anno al popolo italiano. Così l’aveva voluto la Costituzione, e con la Costituzione – almeno in apparenza – allora non si scherzava.

Tutto questo è cambiato nel 1992. Mani Pulite ha abbattuto un regime, o per meglio dire un sistema politico, basato su una specie di gigantesco manuale Cencelli in vigenza di cui le forze politiche si scambiavano il potere ed i suoi proventi gestendo tutto spesso in forma condominiale. Tutto questo con il beneplacito del notaio di turno del Quirinale. Certo, Segni e perfino Gronchi erano sembrati pericolosamente devianti rispetto a un De Nicola o ad un Einaudi. Saragat e Leone in compenso rappresentavano poco o nulla, supervisionando uno stato ed una comunità politica che ogni giorno che passava scadevano in dignità e perdevano appeal nei confronti della cittadinanza e degli alleati stranieri.

Kennedy e Segni sull’auto scoperta, la penultima per JFK prima di Dallas)

Che cosa si sia potuto dire un John Fitzgerald Kennedy nella sua visita in Italia del 1962 con un Segni o un Fanfani lo sa a questo punto solo Dio. Erano due mondi costretti a stare insieme per forza, per le contingenze internazionali. Del resto la nostra stessa Costituzione era figlia della vittoria alleata nella seconda guerra mondiale, con il contributo (spesso anch’esso eterodiretto) della resistenza partigiana al fascismo. La democrazia in Italia era stata importata. Come sottolineava appunto Guarino, la Costituzione materiale, reale, ed i valori che volenti o nolenti esprimeva erano questi.

Era ed è una Costituzione sempre più disattesa, formalmente e materialmente. Man mano che la reminiscenza della dittatura si allontanava nel tempo e nella memoria, la voglia di riprovarci (per vie più o meno traverse) ad avere un capo forte si faceva irresistibile, portandosi dietro una volontà di riforma – per parafrasare Nietzsche – che non ha fatto danni soltanto perché la procedura di modifica della Carta fondamentale è stata saggiamente appesantita dai suoi Padri. Così, D’Alema ha potuto imporci di straforo le sue puttanate regionaliste sul Titolo Quinto, Renzi invece no. E che sia stato un bene o un male lo lasciamo al giudizio di ogni lettore.

Le celebri corna di Giovanni Leone agli studenti che lo contestavano

La Costituzione italiana del Ventunesimo secolo viene tirata per la giacchetta ogni giorno, ed alla fine si strapperà. Nessuno la studia più, nemmeno sotto forma di educazione civica scolastica. In compenso i giuristi alla Guarino (che sosteneva una professionalità degli stessi simile a quella dei sacerdoti egizi, interpreti dell’interesse popolare al di sopra della testa del popolo), alla Cassese, alla Bassanini sono in costante aumento.

Per dirne una, non da poco, la clamorosa violazione di buona parte del dettato costituzionale nel triennio che andrà alla storia come quello della pandemia Covid è avvenuta con il beneplacito non soltanto della classe medica ma anche della corporazione dei giuristi. E con la bonaria (si fa per dire, l’uomo bonario non lo è affatto) benedizione del presidente della repubblica di turno. Mattarella ha fatto molto di più che esternare, anche rispetto al predecessore Napolitano di cui il paese commemora la scomparsa in questi giorni. De mortuis nihil nisi bonum, sui morti non si dice niente che non sia qualcosa di buono. Ma il presidente in carica è ancora vivo e vegeto, su di lui si può dire ciò che si vuole. E almeno alla storia dovrà rispondere per tutte le volte che ha disatteso la volontà del popolo del suo paese, come parlamentare prima e come capo dello stato poi.

Al Quirinale dal 1946 ad oggi sono saliti complessivamente in 12. Dopo quelli sopra citati è toccato a Sandro Pertini, uomo del popolo, a cui si perdonava tutto perché il popolo aveva bisogno di tornare a credere nello stato. Poi a Francesco Cossiga, uomo che gli storici faticheranno a decifrare correttamente: cinque anni da pedissequo notaio e gli ultimi due da forsennato picconatore. Poi a Oscar Luigi Scalfaro, il primo che avrebbe agito volentieri in regime di Quinta Repubblica francese, nominando a genio suo i capi del governo in totale disinteresse della volontà popolare. Poi a Carlo Azeglio Ciampi, sicuramente migliore come inquilino del Quirinale che come Governatore della Banca d’Italia o come superministro economico di un governo Amato che nessuno aveva votato, ma insomma anche a lui grazie a quelle mani stese sulle bare dei nostri soldati di ritorno da Nassiryia si perdona molto se non tutto.

Poi a Napolitano, re Giorgio è stato chiamato, ed abbiamo detto tutto. Che riposi in pace anche lui, al paese che di fatto lui ha governato come primo presidente di una terza repubblica presidenzialista (sul presupposto ditemi voi quanto costituzionale che l’Europa lo vuole), chissà se e quando toccherà di riposare. Come a lui, anche al suo successore Mattarella, ultimo di questa storia fino ad oggi, è toccato l’onore – e per noi tutti l’onere – di uno storico bis. I francesi hanno ridotto a cinque gli anni di carica del loro presidente, noi li abbiamo estesi a quattordici.

Se ha ragione Guarino, i casi sono due: o è colpa dei giuristi che sono tutt’altro che i saggi di Platone, o è colpa del popolo che glielo lascia fare.

Mattarella dovrebbe regnare e, al bisogno della classe politica che l’ha designato, governare fino al 2029. Un tempo lunghissimo, per noi e per la nostra povera Costituzione dalle maniche strappate.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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