Il ioEra il periodo dell’anno in cui evidentemente al regime fascista piaceva regolare i suoi conti. Nel 1924 era toccato a Giacomo Matteotti, parlamentare socialista che aveva denunciato i brogli elettorali alle elezioni appena svoltesi, e che si accingeva soprattutto a portare agli atti parlamentari una torbida e scandalosa vicenda di tangenti petrolifere che coinvolgeva addirittura il capo del governo Benito Mussolini ed il Re d’Italia in persona, Vittorio Emanuele III.
Matteotti era stato affiancato sul Lungotevere Arnaldo da Brescia da una autovettura a bordo della quale viaggiava la squadraccia di Amerigo Dumini, mandata da Mussolini o da chi per lui ad ammorbidire il deputato. Che sparì nel nulla, per essere ritrovato cadavere due mesi dopo alla Macchia della Quartarella, nell’hinterland romano.
Nel 1937, 13 anni dopo ed esattamente 83 anni fa, fu la volta di Carlo e Nello Rosselli, ex rampolli di una famiglia agiata fiorentina (abitavano in Via Giusti), ex allievi di Gaetano Salvemini e Piero Calamandrei, intellettuali di area liberal-democratica diventati con il tempo le due figure di maggior spicco dell’antifascismo italiano. Le loro idee venivano da lontano, da Giuseppe Mazzini e dalla Giovine Italia, ma erano idee che l’Italia fascista sembrava aver accantonato irreversibilmente.
Nella primavera del 37, il regime era all’apice delle sue fortune. Mussolini era ormai acclamato come il Duce del Fascismo ed il suo prestigio personale offuscava addirittura quello del Re, in Italia ed anche nel mondo. L’Impero era stato proclamato un anno prima, la guerra civile di Spagna stava imboccando inesorabilmente la china favorevole a Francisco Franco ed ai suoi alleati italo-germanici. La sorte di Guernica aveva appena rappresentato al mondo intero quella che sarebbe stata la propria, di lì a poco. Mussolini era ritenuto il capo prestigioso di un paese in crescita, che viveva un boom economico ed un progresso civile che molti invidiavano e volevano imitare, ed a cui tra l’altro l’opinione pubblica internazionale si rivolgeva sempre più speranzosa che fosse in grado di tenere a bada il crescente famelico appetito di Hitler.
Le voci degli antifascisti erano sempre meno ascoltate, e in quella primavera del 37 forse vivevano la loro ora più buia. I fratelli Rosselli, che dalla prima guerra mondiale fino alla fondazione di Giustizia e Libertà nel 1929 avevano soppiantato nel panorama liberale vecchie icone come Benedetto Croce e Gioacchino Volpe, raccogliendo l’eredità dei Gobetti e degli Amendola, erano degli esuli la cui voce aveva ancora una eco -per quanto sempre più flebile – in patria.
Il maggiore, Carlo Alberto, era in Francia dal 1929, dalla fuga dal confino di Lipari. Da Radio Barcellona aveva cercato di spronare le coscienze italiane ed europee affinché sostenessero il legittimo governo spagnolo contro il golpe di Franco. «Oggi qui, domani in Italia», era stato il motto di Rosselli, fatto proprio in seguito da tutti gli antifascisti.
Anche il minore, Sabatino Enrico detto Nello, era stato a modo suo una spina nel fianco per il regime, facendo dentro e fuori dalla galera in continuazione. Nel 1937 chiese ed ottenne il visto per espatriare in Francia, in visita al fratello. La rapidità con cui gli venne concesso insospettì peraltro il gruppo degli antifascisti. Calamandrei disse apertamente che era un espediente per arrivare al rifugio francese del fratello e prendere due piccioni con una fava.
Così avvenne. Nello raggiunse Carlo alle cure termali a Bagnoles-de-L’Orne, una stazione di villeggiatura della Bassa Normandia. L’OVRA, la polizia segreta fascista istruita da Galeazzo Ciano, il genero di Mussolini e suo ministro degli esteri, li raggiunse entrambi il 9 giugno. Un giorno prima dell’anniversario di Matteotti, e senza le sbavature che ne avevano caratterizzato l’eliminazione.
La macchina che affiancò quella dei Rosselli portava a bordo i cagoulards, una squadraccia di estremisti della destra francese simpatizzante con il fascismo ed il franchismo. Carlo fu falciato subito da una gragnola di colpi di rivoltella, per finire Nello si dovette ricorrere al coltello. I corpi furono trovati due giorni dopo.
La Francia del Front Populaire di Leon Blum tributò ai fratelli italiani antifascisti il massimo delle onoranze funebri, tumulandoli al cimitero del Pere Lachaise, il luogo dell’eterno riposo delle più eminenti personalità della storia transalpina, o che comunque ne avevano fatto parte in qualche modo pur provenendo dall’estero.
Nel 1951, la risorta democrazia italiana chiese e ottenne la traslazione delle loro spoglie mortali al cimitero fiorentino di Trespiano, dove riposano tutt’ora. Sulla lapide fu incisa la frase coniata appositamente per loro da Calamandrei: «GIUSTIZIA E LIBERTÀ, PER QUESTO MORIRONO, PER QUESTO VIVONO».
E vissero davvero. Le loro idee sono diventate il bagaglio morale, culturale e politico dei movimenti partitici e d’altro genere che nel dopoguerra si sono ripromessi di riformare al società italiana in senso sempre più democratico, laico, civile, dal Partito d’Azione al Partito Radicale.
Giustizia e Libertà, il movimento fondato da Carlo Rosselli a Parigi nel 1929, aveva continuato a vivere sotto la guida clandestina ed in esilio di Emilio Lussu, a cui poi si aggiunsero Ernesto Rossi, coredattore dal manifesto di Ventotene, Leo Valiani, Alberto Tarchiani e Randolfo Pacciardi. Questi nomi si imposero definitivamente all’attenzione dell’opinione pubblica liberal-democratica che a partire dal 1943 fece capo appunto al Partito d’Azione, che ebbe parte attiva nella lotta partigiana e adottò il programma morale e politico dei Rosselli. Il partito non sopravvisse peraltro alla radicalizzazione della lotta politica post-bellica causata dalla Guerra Fredda, finendo per sciogliersi nel 1947.
Gli azionisti confluirono nel P.S.I. e nel Partito Repubblicano di Ugo La Malfa, mentre a livello intellettuale il loro bagaglio culturale e politico fece da sostanza alla creazione di importanti testate giornalistiche quali il Mondo di Mario Pannunzio, L’Espresso e La Repubblica di Eugenio Scalfari.
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