«Abbiamo veduto con orrore con quanta facilità nella passata Legislazione era decretata la pena di Morte per Delitti anche non gravi, ed avendo considerato che l’oggetto della Pena deve essere la soddisfazione al privato ed al pubblico danno, la correzione del Reo figlio anche esso della Società e dello Stato, della di cui emenda non può mai disperarsi, la sicurezza nei Rei dei più gravi ed atroci Delitti che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il Pubblico esempio; che il Governo nella punizione dei Delitti, e nel servire agli oggetti ai quali questa unicamente è diretta, è tenuto sempre a valersi dei mezzi più efficaci col minor male possibile al Reo … avendo altresì considerato, che una ben diversa Legislazione potesse più convenire alla maggior dolcezza, e docilità di costumi del presente secolo….. Siamo venuti nella determinazione di abolire come Abbiamo abolito con la presente Legge per sempre la Pena di Morte contro qualunque Reo.»
Alla fine, il Secolo dei Lumi produsse il suo progresso di civiltà più alto. Non lo fece a Parigi, dove i Philosophes e gli Enciclopedisti dall’inizio del XVIII secolo spargevano i semi che stavano per far deflagrare la Rivoluzione Francese. Non lo fece a Londra, dove la Gloriosa Rivoluzione aveva prodotto da tempo un liberalismo che era già allora il brodo di coltura del mondo moderno e della libertà. Non lo fece nelle Colonie americane, dove proprio la libertà stava celebrando il suo primo trionfo, e uno dei più grandi della storia. Non lo fece a Vienna o a Berlino, dove la grande Maria Teresa o il grande Federico II avevano incarnato quel sovrano ideale che l’Illuminismo aveva sognato alla guida di un mondo pronto finalmente per uscire dalla barbarie dei secoli bui e a dare attuazione concreta ai precetti cristiani.
Lo fece in riva all’Arno, a Firenze. Il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, nono figlio della grande Imperatrice d’Asburgo e del duca Francesco di Lorena che aveva ereditato la corona degli ultimi Medici, fu davvero l’uomo del destino atteso per decenni dagli illuminati di tutta Europa. Alla vigilia della sua incoronazione, nel 1764, Cesare Beccaria aveva potuto pubblicare proprio a Livorno la sua opera più celebre, Dei delitti e delle pene, la base filosofica del diritto moderno, che aveva come punto cardine del suo programma di riforma degli ordinamenti europei proprio l’abolizione della pena di morte.
Pietro Leopoldo, per i toscani Leopoldo I, regnò beneamato sul Granducato dal 1765 al 1790, quando la mancanza di eredi al trono asburgico lo richiamò a Vienna. Il suo breve regno come Imperatore annoverò altri successi, ma il nono figlio di Maria Teresa era destinato a rimanere nella storia dell’umanità per quel suo decreto del 30 novembre 1786, quando ancora sovrano del solo Granducato aveva per primo posto fine alla più grande delle barbarie, che risaliva alla notte dei tempi.
E con lui rimane nella storia la Toscana, che vanta molti primati storici in molti campi, ma che solo nel 2000 ha finalmente dato la giusta enfasi a quello probabilmente più importante, con la legge approvata dal Consiglio Regionale che istituisce la Festa della Regione Toscana, celebrata al pari di altre ricorrenze importanti con la sospensione delle lezioni scolastiche. Il primo anno, quello in cui si chiudeva il vecchio millennio carico di tanti orrori e si apriva quello nuovo carico di tante speranze, le campane a Firenze suonarono a distesa alle 17,00, ora in cui secondo le cronache fu promulgato l’editto granducale che aboliva per sempre la pena capitale, la tortura, la mutilazione e quant’altro di barbaro sopravviveva negli ordinamenti giuridici. Una festa in cui laicità e religiosità si incontravano finalmente senza rivalità, ma anzi con eguale soddisfazione.
Dopo più di due secoli, l’esempio di Pietro Leopoldo di Lorena e del piccolo Granducato di Toscana che rimise sotto i riflettori la città dove aveva preso il via il Rinascimento stenta ad essere seguito in un mondo per quasi tutto il resto globalizzato e in via di uniformazione di culture, usi, costumi. Secondo Amnesty International sono solo 89 gli Stati che hanno abolito completamente la pena di morte. In 68 Stati essa è ancora prevista dal codice penale ed effettivamente utilizzata (tra queste, gli Stati Uniti d’America, per molti altri aspetti pilastri della civiltà moderna), 30 Stati mantengono la pena di morte anche per reati comuni ma di fatto non ne hanno fatto uso per almeno 10 anni, in 10 Stati è in vigore ma solo limitatamente a reati commessi in situazioni eccezionali, ad esempio in tempo di guerra.
L’Italia abolì la pena di morte con la Costituzione del 1948. Prima, anche durante il regime fascista, era prevista soltanto in caso di attentato al Re e al Duce, oppure in caso di delitti particolarmente efferati. Di fatto non era stata comminata neppure in caso di regicidio. Quando Gaetano Bresci uccise Umberto I nel parco reale di Monza fu poi condannato all’ergastolo. E’ uno dei pochi primati morali e culturali che sopravvivono al nostro paese, ed in particolare a quella tra le sue città che si vanta di aver dato origine alla sua lingua e a molta parte della sua attuale cultura.
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