Alla fine a braccia alzate sul centre court di Wimbledon ci resta lui, come un anno fa. Come se quest’anno appena trascorso fosse stato un anno normale. Non lo è stato, anzi è stato il più difficile della sua straordinaria carriera. Non perché nuovi o vecchi avversari siano emersi a far meglio di lui, ma semplicemente perché la bigotta ed allineata Federtennis internazionale non l’ha lasciato giocare.
Emblematico il fatto che di là dalla rete non c’era il nostro Matteo Berrettini, a cercare la rivincita della sconfitta di un anno fa, ma l’australiano Nick Kyrgios. Il nostro campione ha dovuto ritirarsi causa positività al Covid. Volente o nolente, si è allineato. Nole i suoi guai li aveva già avuti, ed a Wimbledon ha avuto il parziale ed effimero risarcimento. Ha potuto giocare, ed ha rivinto.
Non per rinfocolare polemiche epidemiologiche, ma la posizione assunta dalla federazione del tennis, come quella di molte altre discipline sportive, è semplicemente vergognosa. Impedire al serbo di scendere in campo a Melbourne (anche se l’iniziativa è stata tecnicamente delle autorità australiane, ma prontamente avallata da quelle internazionali) e negargli così in partenza un altro tentativo di Grande Slam ha fatto di lui il campione ombra per tutta la stagione.
Il mondo dei vax-free ha eletto Novak Djokovic suo eroe fin da gennaio, ma in Australia ha vinto Nadal, vaccinato e allineato, che ostenta anno dopo anno una condizione tra l’altro che fa gridare un po’ troppo al miracoloso. Nole ci ha messo metà di questa annata, tutta la stagione sulla terra rossa in pratica, per ritrovare una forma all’altezza di se stesso, prima di tutto – crediamo- a livello mentale.
E così – mentre la bigottissima Peugeot gli ritirava la sponsorizzazione adducendo un danno di immagine del quale dovrebbe a questo punto imputare esclusivamente se stessa – ha vinto a Roma, ma ha lasciato a terra Montecarlo, Belgrado, Madrid e soprattutto il Roland Garros, spettatore in questo caso di un’altra vittoria del Nadal che non accusa mai stanchezza, e chissà perché.
Finalmente è arrivato Wimbledon. I campi di Church Road, ormai, sono l’erba di casa sua. Era il momento ideale per risorgere. Buon sangue – e per di più sicuramente pulito – non ha mentito.
Il politicamente corretto Berrettini e quel Kyorgios australiano che qui è stato trattato meglio di quanto al suo paese trattano i forestieri, sono rimandati a settembre. O all’anno prossimo. O a mai più. Intanto Nole si preparerebbe volentieri ad un’altra resa dei conti con Rafa Nadal, sul veloce dell’U.S. Open a New York. Ma sappiamo già che è stato bocciato senza nemmeno rinvio ad esami di riparazione. A settembre a Flushing Meadows non ci sarà, gli statunitensi sono parenti stretti degli australiani, e in quanto a bigottismo quando vogliono non sono secondi a nessuno. Il politicamente corretto e farmacologicamente inesplorato Nadal allungherà sicuramente la striscia degli Slam vinti a 23. Nole resterà a 21, grazie a questo Wimbledon, senza poter combattere per riavvicinarsi al rivale.
Peccato perché il tennis di questo passo diventa uno sport di energumeni privi di un vero talento e di raccomandati da una Federazione sempre più ossequiosa di un potere politico stupido come quello che ancora insiste sul rischio pandemia. Si è già salvato una volta, all’inizio degli anni settanta, quando capì appena in tempo, per il rotto della cuffia, che era ora di aprire ai giocatori veri, ai professionisti. Proprio a Wimbledon, nel 1973, i giocatori dettero una prova di forza boicottando il torneo più prestigioso del mondo. Questa volta Nole è stato lasciato solo. Lui ha alzato le braccia al cielo gridando la sua rabbia ed il suo trionfo, come fa sempre. Ma stavolta c’era un velo di malinconia in più, nei suoi occhi.
El vince semper lu, si potrebbe dire in dialetto meneghino parafrasando ciò che dicevano di una vecchia gloria calcistica, Maurizio Ganz, i tifosi interisti e milanisti qualche anno fa.
Quando si gioca a tennis, vince sempre lui. Peccato che dal mese prossimo si ricomincia a giocare a Covid. O ad altra farmacopea. E allora dietro Nadal c’è una fila che non finisce più.
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